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Nel ciel che più della sua luce prende
Fu'io, e vidi cose che ridire

Nè sa nè può qual di lassù discende;

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pre

e che noi dobbiamo essergli conoscenti di queste sue riflessioni, le quali, se non altro, serviranno a togliere una falsa venzione dall'animo di coloro che si daranno a leggere ed a meditare quest'ultimo sforzo del sovrumano ingegno di Dante. Or veniamo al Comento. La gloria di Colui ec. La grandezza e magnificenza di questo principio premostra tutta quella del soggetto, ch'è la condizione del celeste regno, esaltando insieme l'anima di chi legge, perchè possa andar dietro stretta alle meraviglie che è per dispiegargli dinanzi il Poeta. BIAGIOLI. Per devenir Dante a giustificatamente dire, ciò che in appresso dice, che fu egli nel cielo che più della divina luce partecipa, premette che La gloria di Colui che tutto muove, d'Iddio, penetra e risplende bensì per l'universo, cioè in ogni parte dell'universo, in cielo ed in terra ( giusta il detto dell' Ecclesiastico: gloria Domini plenum est opus eius [a]); ma che però non risplend' ella dappertutto ugualmente. Chiarisce assai bene il senso vero di questa terzina ciò che Dante stesso dice nella sua Dedicatoria a Can Grande, da Patet ergo quomodo ratio manifestat, sino a illa vero corruptibilia sunt. Il signor prof. Portirelli riporta qui acconciamente un passo di Boezio, lib. 3. ( →→ ricordato anche dal Landino e dal Daniello.)

O qui perpetua mundum ratione gubernas

Terrarum caelique sator, qui tempus ab aevo

Ire iubes, stabilisque manens das cuncta moveri. E. R. 4 al 6 Nel ciel che più della sua luce prende: nel cielo empireo, il quale, come sede creduto de' beati, più di luce della divina gloria partecipa, che non gli altri cieli sotto di esso, od altra cosa. Fu' per fui, apocope. e vidi cose che ridire ec.; ad imitazione di quel riferire di s. Paolo, rapporto alle cose da lui in Paradiso vedute: audivit arcana verba, quae non licet homini loqui [b]. qual per chi o qualunque [c]. → Così anche il Torelli. Il rapporto che ha

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[a] Capo 42. [b] Corinth, capo 12. [c] Vedi Cinonio, Partic. 108. 9.

C. 10.

Perchè, appressando sè al suo disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quant' io del regno santo
Nella mia mente potei far tesoro
Sarà ora materia del mio canto,

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questo terzetto col precedente ne obbliga a intendere come se incominciasse questo colla particella or, o somigliante, per ellissi taciuta. chi di lassù, legge la Nidob., a differenza di tutte le altre edizioni. Nota del sig. Portirelli, che poi segue la comune. - Vedi anche qui la precitata pistola a Can Grande: Dicit quod fuit in caelo ec.; come pure, per la terzina che segue, quell' altre parole della pistola stessa: Adhuc et posset adduci quod dicit Apostolus ec. ←

7 al 9 al suo disire, metonimia, per al sommo bene da lui desiderato. — si profonda tanto, entra tanto addentro, -Che retro la memoria ec.: che non potendo al pari dell'intelletto internarsi la memoria, rimane addietro, e perciò non può essa riferire quanto l'intelletto vede. Non vuol dir questo, dice il sig. Biagioli, ma sì bene, come lo stesso Dante nella sua pistola a Can Grande ci dà a capire, che la memoria post reditum non può andar dietro alle cose vedute dall' intelletto. E la ragione che di questo fenomeno oggi si darebbe si è che parte della memoria sta nel senso, e che quelle sensazioni essendo tutte intellettuali, niun vestigio in nessun senso poteva rimanere. Che dietro, la Nidob., come attesta il sig. Portirelli, che segue la vulgata. ◄◄

10 al 12 Veramente dee qui valere come il latino veruntamen, contuttociò, e manca il Vocabolario della Crusca non dando a veramente altro significato che di con verità, certamente. Ma il Torelli pensa che questo Veramente abbia qui la stessa forza del verum dei Latini. Vedine la sua nota, da noi aggiunta al v. 61. del c. vII. di questa cantica. ← regno santo, il regno de' beati con Dio, supposto, com'è detto, nell'empireo. mente per memoria adopera il Poeta qui ed altrove [a]. potei far tesoro per potei adunare, metafora

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[a] Vedi, tra gli altri luoghi, Inf. 11. S., c 11. 132.

O buono Apollo, all'ultimo lavoro
Fammi del tuo valor sì fatto vaso,

Come dimandi a dar l'amato alloro.

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fondata su l'essere il tesoro adunamento di ricchezze. →→→ Vedi Ep. cit.: Postea dicit se dicturum ec.←

13 Apollo, Dio della poesia. Vedi Ep. cit.: Deinde cum dicit, o bone Apollo, ec. Il buon Poggiali fa qui uno spiritual soliloquio; cioè: Ma qual convenienza, dirà taluno, del ricorso ad un falso Nume d'un poeta cristiano, e per un argomento, quale è questo, per la fede cristiana si importante? Noi vorremmo poter trovar qui in Apollo una qualche intelligenza, o spirito angelico, o simile; ma il contesto nol permette. Convien dunque anche qui condonare al cattivo gusto del dantesco secolo una tanta incongruenza. E. R. Ma il Poggiali doveva prima ricordarsi, rispondono gli Editori della E. B., che Dante nel Convivio dice che il senso allegorico si nasconde sotto belle menzogne, quali sono le favole greche. Apollo qui significa, nel senso allegorico, il maggior nerbo, la maggior virtù del poetare. ← 14 Fammi del tuo valor sì fatto vaso: riempimi della tua virtù si fattamente.

15 Come dimandi a dar l'amato alloro: come tu lo richiedi per dar corona d'alloro, albero da te amato per la conversione in quello della diletta tua Dafne [a]. L'edizioni diverse dalla Nidob. leggono invece Come dimanda dar l'amato alloro; la Nidob. però, oltre del lampante buon senso, ha compagni eziandio parecchi mss. veduti dagli Accademici della Crusca, e due altri della biblioteca Corsini [6]. Dobbiamo aggiungere a questi l'autorità del cod. Cass. ed anche del Caet. E. R.» « Lombardi (dice il sig. Biagioli ) legge » Come dimanda a dar; ma piacemi più assai come porta il » nostro testo, Come dimanda dar. » Ma ci dica di grazia, in quale edizione del Lombardi trova egli cotale lezione? La prima del 1791, la ristampa del sig. De-Romanis 1817, ed il sig. Portirelli, che segue pure la Nidob., leggono come il nostro testo, Come dimandi a dar, lezione riscontrata anche dal ch. sig. Prof. Parenti in un testo antichissimo, e da lui alla comune preferita, rimanendo per essa tolta la cacofo

[a] Vedi Ovidio, Met. 1. v. 452. [b] Segnati 611. e i

1265.

Infino a qui l'un giogo di Parnaso

Assai mi fu; ma or con amendue

M'è uopo entrar nell'aringo rimaso.

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nia del verso, regolato il costrutto, e chiarito il senso. - Come dimanda a dar legge la E. B.; ma, sponendo poi come il Lombardi, forza è concludere che sia questo un errore di stampa.

16 al 18 Infino a qui l'un giogo ec. A questo passo chi degli Espositori ci dice di più, e chi di meno; ma tutti in fine ci lasciano al buio. Il Venturi se la sbriga dicendo che forse il Poeta per i due gioghi intende la filosofia e teologia. Stendesi alquanto più il Daniello; ma solo a provare che ha il monte Parnaso due sommità. Più di tutti esteso è il comento del Landino, seguito appuntino dal Vellutello. Parnaso (dice) è monte in Beozia, ovvero in Focide, il quale è altissimo, ed ha due gioghi, l'uno dedicato ad Apolline, e l'altro a Bacco, il quale similmente gli antichi volevano esser Iddio de' poeti; onde si coronavano ancora di edera, la quale è dedicata a Bacco questi due gioghi afferma Servio essere nominati Helicone e Citerone... E pare che ponga (Dante) il giogo Citerone, consacrato a Bacco, per le scienze inferiori.....ed Helicone ponga per la teologia. Il Boccaccio in un suo sonetto che leggesi nella raccolta delle sue poesie liriche:

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...

Mentre sperai e l'uno e l'altro colle
Trascender di Parnaso.

E qui comenta, come annotasi nella E. F.: « Il monte Par» naso avea due corna, cioè due colli: nell' uno era il tempio d'Apollo, e questa cima di monte si chiamava Cirra; l'al» tra cima si chiamava Nisa, ed eravi su il tempio di Bacco. >> - Ad egual modo chiosa Pietro di Dante, citando i seguenti passi, l'uno di Ovidio, e l'altro di Lucano: Mons tibi verticibus petit arduus astra duobus, - Nomine Parnassus ec.; e poscia: Mons Phoebo, Bromioque sacer, ec.

Ma qui, dico io, non lascia a noi il Poeta la briga di cercare quale cosa per amendue i gioghi intenda, facendoci egli stesso bastantemente chiaro capire che pel secondo giogo, che abbisognagli per la presente cantica, intende il di fresco invocato Apolline; e pel primo, non Bacco, che mai non ha egli invocato, ma le Muse.

Entra nel petto mio, e spira tue,
Sì come quando Marsia traesti
Della vagina delle membra sue.

Ma qui la morta poesia risurga,

O sante Muse, poi che vostro sono,
E qui Calliopea alquanto surga [a].

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Solo tocca a noi d'investigare su di qual fondamento separi Dante le Muse da Apolline, e pongale sul giogo dedicato a Bacco.

Compirà adunque l'intelligenza del presente passo ciò che scrive Probo al fibro terzo della Georgica di Virgilio, v. 43.: Cithaeron mons est Beotiae. Ibi arcana Liberi patris sacra celebrantur tertio quoque anno, quae trieterica dicuntur. Existimatur autem Liber esse cum Musis; et ideo ex hedera fronde eius corona poetis datur.

Ritiene poi (v'aggiunteremo per ultimo) l'aiuto già in addietro invocato delle Muse, per essere queste credute l'aniina e l'armonia delle celesti sfere, alle quali è ora per passareje chiede inoltre l'aiuto d'Apolline, perchè presidente delle Muse, e moderatore universale di tutti i lumi celesti[b]. Sin qui gli è bastato il soccorso delle sole Muse; ora dice essergli d'uopo anche quello di Apollo: con che ci vuol far capire, come annotasi nella E. B., che per le cose che gli restano a narrare gli è necessaria maggiore alacrità d'ingegno e maggior arte di poeta. nell'aringo rimaso, laconica metafora, invece di dire nell'impresa difficile, che mi rimane, di descrivere il Paradiso.

19al 21 spira tue (per tu, paragoge de' Toscani antichi [c]): manda fuori tu dal mio petto cotal dolce suono.spirare al senso di cantare, o mandar fuori la voce, l'usò Dante anche al v. 25. xix., e al v. 82. xxv. di questa cantica, e come annotasi nella E. F. quando Marsia ec:: quando, vinto il satiro Marsia (ch' ebbe l' ardimento di sfidarti a chi suonava meglio, o egli la cornamusa, o tu la cetra), lo scorticasti vivo [d].

[a] Purg. c. 1. v. 7. e segg. [b] Vedi, tra gli altri, Macrobio in Somn. Scip. lib. 2. cap. 3., e Natal Conti, Myth. lib. 7. cap. 15. [c] Vedi l Vocabolario della Crusca alla voce Tu. [d] Vedi Natal Conti, Myth. lib. 6. cap. 15.

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