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JACOPO DA LENTINO (NOTAJO).

Fiori verso il 1250.

CANZONE.

Madonna, dir vi voglio

Come l'Amor m' ha priso.
Inver lo grande orgoglio

Che voi, bella, mostrate, e' non m' aita.
Ahi lasso! lo meo core

In tante pene è miso,

Che vive, quando muore,

Per bene amare, e teneselo a vita.

Dunque morira' eo?

No: ma lo core meo
More più spesso e forte
Che non faria di morte
Per voi, donna, cui ama;
Più che se stesso brama,
E voi pur lo sdegnate:
Donqua vostr' amistate
Del mio 'nnamoramento

Alcuna cosa ho detto:
Ma sì com' io lo sento

naturale

vide male.

Cor non lo penseria, nè 'l diria lingua.
Ciò, ch' eo dico, è neente

In ver ch' eo son distretto;

Tanto coralemente

Foco aggio, che non credo mai s' estingua.

Anzi, se pur alluma,

Perchè non mi consuma?
La salamandra audivi
Che dentro il foco vivi,
Ed eo già per lungo uso
Vivo in foco amoruso,
E non saccio ch' eo dica;
Lo meo lavoro spica,

Madonna, sì mi avvene

stando sana.

e non mi grana.

Ch' eo non posso invenire,
Com' eo dicesse bene

La propria cosa, ch' eo sento d'amore.

E' parmi uno spirito,

Ch' al cor mi fa sentire,

E giammai non son chito,

S' eo non posso trar lo suo sentore.

Lo non poder mi turba,

e sè riprende;

Com' uom che pinge e sturba,
Perocchè gli dispiace
Lo pingere che face,
Che non fa per natura
La propria pintura:
E non è da biasmare
Uomo, che cade in mare,
Lo vostro amor, che m' ave,
M'è mare tempestoso:

Ed eo, siccom' la nave

ove s' apprende.

Che gitta alla fortuna ogni pesanti,
E scampane, per gitto,

Di loco periglioso,

Similemente eo gitto

A voi, bella, li miei sospiri e pianti:

Es' eo non li gittasse,
Parria che s' affondasse.
E bene s'affondara
Lo cor, tanto gravara
Tanto si frange a terra
Tempesta, che s' atterra:
Ond' eo così mi frango;
Quando sospiro e piango,
Assai mi son mostrato

A voi, donna spietata,

Com' eo so 'nnamorato:

in suo disio.

e posar crio. I

Ma credo che dispiaceria voi pinto.

Perchè a me solo, lasso!

Cotal ventura è data?

Perchè non minde 2 lasso?

Non posso: di tal guisa Amor m' ha vinto.

Ben vorria che avvenisse

Che lo meo core uscisse
Come incarnato tutto

E non dicesse mutto

a voi, sdegnosa:

Chè Amore a tal m' addusse

Che, se vipera fusse,

Naturia perderia:

Ella mi vederia? fora pietosa.

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Quella che in cor l'amorosa radice

Mi piantò nel primier che mal la vidi,
Cioè la dispietata ingannatrice,

A morir m' ha condotto; e stu 2 nol credi,
Mira gli occhi miei morti in la cervice
E del cor odi gli angosciosi stridi:
E dell' altro mio corpo ogni pendice
Che par ciascuna che la morte gridi.
A tal m'ha giunto mia donna crudele

4

Ch' entro tal dolor sento in ogni parte,
Che l'alma a forza dallo cor si parte.
Che 'l mio dolzor con l' amaror del fele

Aggio ben visto, Amor, com' si comparte:
Ben ti consiglio; di lui servir guarte.

DANTE DA MAIANO.

Fiori verso il 1290.

ALLA NINA SICILIANA.

La lode e 'l pregio e 'l senno e la volenza,
Ch' aggio sovente audito nominare,
Gentil mia donna, di vostra piacenza,
M' han fatto coralmente innamorare;

E miso tutto in vostra canoscenza

Di guisa tal, che già considerare

Non degno ormai, che far vostra voglienza;
Si m' ha distretto Amor di voi amare.

Di tanto prego vostra signoria;

In loco di mercede e di pietanza
Piacciavi sol ch' eo vostro servo sia.
Poi mi terraggio, dolce donna mia,

Fermo d' aver compita la speranza
Di ciò che lo meo core ama e disia.

2 in

1 nel primo dì, nel primo istante che per mio danno la vidi. vece di Se tu. tutto il capo; mente, intelletto. parte, luogo qua

lunque.

14

LA NINA SICILIANA.

GUITTONE D' AREZZO.

LA NINA SICILIANA.

[Una delle prime tra le donne Siciliane a coltivare la poesia volgare.

A DANTE DA MAIANO.

2

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Qual sete voi, che cara profferenza 1
Si fate a me, senza pur voi mostrare?
Molto m'agenzeria vostra parvenza
Perchè 'l meo cor potessi dichiarare.
Vostro mandato aggrada a mia intenza 3;
In gioia mi conteria d' udir nomare
Lo vostro nome, che fa profferenza
D' essere sottoposto a me innorare.
Lo core meo pensar non si savria

Alcuna cosa, che sturbasse amanza;
Così affermo, e voglio ognor che sia.
L'udire a voi parlare è voglia mia,

Se vostra penna ha buona consonanza
Col vostro core; od è tra lor resia? 4

GUITTONE D'AREZZO.

Comunemente detto Fra perchè era dell' Ordine religioso e militare de' Cavalieri Gaudenti; creatore o riformatore del sonetto.

1210-94.

ALLA MADONNA.

O benigna, o dolce, o graziosa,

O del tutto amorosa

Madre del mio signore, e donna mia,

Ove fugge, ove chiama, o' sperar osa

L'alma mia bisognosa,

Se tu, mia miglior madre, haila in obbria 5?
Chi, se non tu, misericordiosa?

Chi saggia, o poderosa,

O degna in farmi amore o cortesia?

Mercè dunque, non più mercè nascosa

Ne paia in parva cosa;

Chè grave in abondanza è carestia.

Nè sanaria la mia gran piaga fera

Medicina leggera.

Ma se tutta sì fera e brutta pare,

Sdegnerai la sanare?

Chi gran mastro, che non gran piaga chera?

1 profferta, offerta. 2 presenza. discordia.

5 obblio.

3 intenzione. 4 eresia, contesa,

Se non miseria fusse, ove mostrare
Si porìa, nè laudare

La pietà tua tanta e sì vera?
Conven dunque misèra,

A te, Madonna, miserando orrare.

Ahi lasso! come mai trovar porìa
Cortese donna, poichè m' è villana
La più cortese, ch' a 'sto mondo sia,
Ch'è per ragion tanto cortese e piana.
Rechest' ho che mi don sua signoria?

Chè orso, o drago, o qual fera è più strana,
Sin n' averìa mercede e cortesia,

E fora ver di me dolce ed umana.
Deh! come può sua dolce bocca dire
Parola amara sì crudelemente,

Che fammi crudel morte sofferire?
Ahi! com' mal vidi sua beltà piacente,

E suo chiar viso, e suo dolce avvenire,
E il dire e il far di lei più ch' altro gente! *

Già mille volte, quando Amor m' ha stretto,
Eo son corso per darmi ultima morte,
Non possendo ristare all' aspro e forte
Empio dolor, ch' io sento dentro al petto.
Voi veder lo potete qual dispetto

Ha lo meo core; e quanto a crudel sorte
Ratto son corso già sino alle porte
Dell' aspra morte per cercar diletto.
Ma quando io son per gire all' altra vita,
Vostra immensa pietà mi tiene e dice:
Non affrettar l' immatura partita.

La verde età, tua fedeltà il disdice,
Ed a ristar di quà mi priega e 'nvita
Sicch' eo spero col tempo esser felice.

Doglioso e lasso rimase 'I meo core,
Poichè partiste, dolce rosa aulente,
che stato vi son servidore,
E sarò sempre a tutto 'l meo vivente.

Da me,

1gentile, grazioso.

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