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Con legge insoffribile
Ti fe' inesorabile;

Ond' all' imperio tuo superbo e duro
Di non tornar mai più prometto e giuro.
Batti pur, batti tamburo.

Spiega Amor nuova bandiera:
Arrolarmi alla tua schiera,
Fiero Duce io più non curo.

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Quest' età, non torna più,

Ed al rotar degli anni

Scema sempre il gioir, crescon gli affanni.

La tua beltà,

Ora ch'è amabile,

Gioja ineffabile

Goder potrà.

Ma se del viso tuo la fresca rosa

Per pioggia grandinosa

Tempestata dagli anni alfin cadrà,

La tua beltà,

Fattasi pallida,

Tremante e squallida

Lacrimerà,

Chè dell' etade il verde,

Per decreto fatal d' iniqua stella,

Non ritorna giammai quando si perde.

SONETTI.

Negli occhi di Madonna è sì gentile
Talor lo sdegno, e sì vezzoso appare,
Ch' egli rassembra un increspato mare
Dall' aura dolce del novello Aprile.
Se questo mare alteramente umile,

L'onde movendo orgogliosette, e chiare,
Da se rispinge in vaghe foggie, e care
Ciò, che in lui si posò d' immondo, e vile :
Tal di Madonna il vezzosetto sdegno

D'ogni amante rispinge ogni desire, Che di sua purità le sembri indegno. Ma sa ben' anco inferocirsi all' ire, Sollevando tempeste ad alto segno, Se sommerger sia d' uopo un folle ardire.

Donne gentili, divote d' Amore

Che per la via della pietà passate,
Sù fermatevi un poco, e poi guardate
Se v' è dolor, che agguagli il mio dolore.
Della mia Donna risedea nel core,

Com' in trono di gloria, alta onestate;
Nelle membra leggiadre ogni beltate,
E ne' begli occhi angelico splendore.
Santi costumi, e per virtù baldanza:

Baldanza umile ed innocenza accorta,
E fuor ch' in ben oprar nulla fidanza.
Candida fè, ch' a ben' amar conforta,
Avea nel seno, e nella fè costanza;
Donne gentili, questa Donna è morta.

Quasi un popol selvaggio, entro del cuore
Vivean liberi, e sciolti i miei pensieri;
E in rozza libertade incolti, e fieri,
Nè meno il nome conoscean d' Amore.
Amor si mosse a conquistargli; e il fiore
Spinse de' forti suoi primi guerrieri;
E degl' ignoti inospiti sentieri
Superò coraggioso il grande orrore.
Venne, e vinse pugnando; e la conquista
A voi, Donna gentil, diede in governo;
A voi, per cui tutte sue glorie acquista.
Voi dirozzaste del mio cuor l'interno;

Ond' io contento, e internamente, e in vista,
L'antica libertà mi prendo a scherno.

CARLO MARIA MAGGI.

1630-1699.

SONETTI.

Scioglie Eurilla dal lido. Io corro, e stolto
Grido all' onde, che fate? Una risponde:
Io, che la prima ho il tuo bel nume accolto,
Grata di sì bel don, bacio le sponde.
Dimando all' altra: Allor che 'l Pin fu sciolto
Mostrò le luci al dipartir gioconde?
E l'altra dice: Anzi serena il volto,
Fece tacere il vento, e rider l'onde.
Viene un' altra, e mi afferma: or la vid' io
Empier di gelosia le Ninfe algose,

Mentre sul mare i suoi begli occhi aprio.
Dico a questa: e per me nulla t' impose?
Disse almen la crudel di dirmi Addio?
Passò l'onda villana, e non rispose.

Punto d' ape celata infra le rose

Nella man, che vi stese, incauto Amore,
Pianse alla madre, e la perfidia espose,
Che si copria nella beltà del fiore.

Or le ferite intendi, ella rispose,

Che fai nell' alme altrui, dal tuo dolore;
Ben le pruova più crude, e insidiose
Di quelle del tuo dito il nostro core.

Pur la tua spina a noi tu non iscopri,

E in paragon di questa, ape infedele,
Più crudeltade, e con più frode adopri.
Ci pungi a morte in promettendo mele,

E in rose di beltà tue punte copri;
Ma l'inganno più bello è il più crudele.

Io grido, e griderò, finchè mi senta

L' Adria, il Tebro, il Tirren, l' Arno e 'l Tesino,
E chi primo udirà, scuota il vicino,

Ch'è periglio comun quel, che si tenta.
Non val, che Italia a' piedi altrui si penta,
E obbliando il valor, pianga il destino;
Troppo innamora il bel terren Latino,
E in disio di regnar pietate è spenta.
Invan con occhi molli, e guance smorte

Chiede perdon; che il suo nemico audace
Non vuole il suo dolor, ma la sua morte.
Piaccia il soffrire a chi 'l pugnar non piace:
E' stolto orgoglio in così debil sorte
Non voler guerra, e non soffrir la pace.

FRANCESCO DE LEMENE.

1634-1704.

SONETTI.

La Violeta.

Messaggiera dei fior, nunzia d' Aprile,
De' bei giorni d' Amor pallida Aurora,
Prima figlia di Zeffiro, e di Flora,
Prima del praticel pompa gentile.
S' hai nelle foglie il tuo pallor simile
Al pallor di colei, che m' innamora:
Se per immago sua ciascun t'adora;
Vanne superba, o violetta umile.
Vattene a Lidia, e dille in tua favella,

Che più stimi degli ostri i pallor tuoi,
Sol perchè Lidia è pallidetta anch' ella.
Con linguaggio d' odor dirle tu puoi:

Se voi, pompa d' Amor, siete sì bella,
Son bella anch' io, perchè somiglio a voi.

Amore abituato.

Deh per pietà, chi la mia fiamma ammorza,
Che mai non mi consuma, e m' arde sempre?
Onde mi sembra in sì penose tempre,
Fatta immortal questa mia frale scorza.
Per estinguer in van l' ardente forza,

Fia, ch' in acqua di pianto il cor si stempre;
Nè fia, che coll' età l'ardor si tempre,
Che quanto invecchia più, più si rinforza.
Non so come bastante il cor riesca

A nutrir sì gran fiamma, e appoco appoco
Non manchi in me la vita, e 'l foco cresca.
Morte, ed Amor, voi per pietate invoco:
Fate debile il foco, e debil l'esca,

E manchi o 'l foco all' esca, o l'esca al foco.

MADRIGALI.

Loda il soave cantare di bella giovane.

Offesa verginella

Piangendo il suo destino,

Tutta dolente e bella,

Fù cangiata da Giove in augellino,

Che canta dolcemente, e spiega il volo:

E questo è l' usignuolo.

In verde colle udì con suo diletto

Cantar un giorno Amor quell' augelletto;

E del canto invaghito,

Con miracol gentil, prese di Giove

Ad emular le prove;

Onde, poi ch' ebbe udito

Quel musico usignuol, che sì soave

Canta, gorgheggia e trilla,

Cangiollo in verginella: e questa è Lilla.

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