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X. 1

Due donne in cima della mente mia
Venute sono a ragionar d' amore:
L' una ha in sè cortesia e valore,
Prudenza ed onestate in compagnia.
L'altra ha bellezza e vaga leggiadria,
E adorna gentilezza le fa onore.
Ed io, mercè del dolce mio signore,
Stommene a piè della lor signoria.
Parlan bellezza e virtù all' intelletto,

E fan quistion, come un cuor puote stare
Infra due donne con amor perfetto.
Risponde il fonte del gentil parlare:

Che amar si può bellezza per diletto,
E amar puossi virtù per alto oprare.

XI. 2

Nulla mi parrà mai più crudel cosa,
Che lei, per cui servir la vita smago
Chè 'l suo desire in congelato lago,
E in fuoco d' amore il mio si posa.
Di così dispietata o disdegnosa

La gran bellezza di veder m' appago;
E tanto son del mio tormento vago,
Ch' altro piacere agli occhi miei non osa.
Nè quella, ch' a veder lo Sol si gira,
E' non mutato amor mutata serba,
Ebbe quant' io giammai fortuna acerba:
Onde, quando giammai questa superba

Non vinca; Amor, fin che la vita spira,
Alquanto per pietà con me sospira.

Parla il Dante delle due femmine, cioè l' una Beatrice, l'altra la sofia, delle quali fu acceso.

2 La donna di cui qui parla il Poeta, è la filosofia; ed ei la chiama degnosa e crudele perchè eragli duro e malagevole l' entrare addentro le sentenze di lei. smarrire, perdere.

BALLATA.

Deh nuvoletta, che in ombra d' Amore
Negli occhi miei di subito apparisti,
Abbi pietà del cor che tu feristi,
Che spera in te, e desiando muore.
Tu, nuvoletta, in forma più che umana,
Foco mettesti dentro alla mia mente
Col tuo parlar ch' ancide,

Poi con atto di spirito cocente

Creasti speme, che 'n parte m'è sana:
Laddove tu mi ride,

Deh non guardare perchè a lei mi fide,

Ma drizza gli occhi al gran disio che m' arde;
Chè mille donne già, per esser tarde,
Sentito han pena dell' altrui dolore.

CANZONI.

I. 1

Morte, poich' io non truovo a cui mi doglia,
Nè cui pietà per me muova sospiri,

Ove ch' io miri, o in qual parte ch' io sia;
E perchè tu se' quella, che mi spoglia
D'ogni baldanza, e vesti di martìri;
E per me giri ogni fortuna ria;
Perchè tu, Morte, puoi la vita mia
Povera e ricca far, come a te piace,
A te conven ch' io drizzi la mia face,
Dipinta in guisa di persona morta.
Io vegno a te, come a persona pia,
Piangendo, Morte, quella dolce pace,
Che 'l colpo tuo mi tolle, se disface
La donna, che con seco il mio cor porta,
Quella ch'è d' ogni ben la vera porta.
Morte, qual sia la pace che mi tolli,

Perchè dinanzi a te piangendo vegno,
Qui non l'assegno; chè veder lo puoi,
Se guardi agli occhi miei di pianto molli;
Se guardi alla pietà ch' ivi entro tegno;

1 Apparisce dettata nel tempo della mortale malattia di Beatrice. All Morte dirige le sue parole il Dante perchè vuol far prova d' ammansarla

Se guardi al segno ch' io porto de' tuoi.
Deh! se paura già co' colpi suoi

M' ha così concio, che farà 'l tormento?
S' io veggio il lume de' begli occhi spento,
Che suol essere a' miei sì dolce guida,
Ben veggio che 'l mio fin consenti e vuoi:
Sentirai dolce sotto il mio lamento:

Ch' io temo forte già, per quel ch' io sento,
Che per aver di minor doglia strida,
Vorrò morire, e non fia chi m' occida.
Morte, se tu questa gentile occidi,

Lo cui sommo valore all' intelletto
Mostra perfetto ciò che 'n lei si vede,
Tu discacci virtù, tu la disfidi;
Tu togli a leggiadria il suo ricetto;
Tu l'alto effetto spegni di mercede;
Tu disfai la beltà ch' ella possiede,
La qual tanto di ben più ch' altra luce,
Quanto conven, che cosa che n' adduce
Lume di cielo in creatura degna:
Tu rompi e parti tanta buona fede
Di quel verace Amor, che la conduce,
Se chiudi, Morte, la sua bella luce,
Amor potrà ben dire ovunque regna:
Io ho perduto la mia bella insegna.
Morte, adunque di tanto mal t' incresca,
Quanto seguiterà se costei muore;
Che fia 'l maggiore si sentisse mai.
Distendi l'arco tuo sì, che non esca
Pinta per corda la saetta fore,
Che, per sassare il core, messa v' hai.
Deh! qui mercè per Dio: guarda che fai:
Raffrena un poco il disfrenato ardire,
Che già è mosso per voler ferire
Questa, in cui Dio mise grazia tanta.
Morte deh! non tardar mercè, se l' hai;
Chè mi par già veder lo cielo aprire,
E gli angeli di Dio quaggiù venire,
Per volerne portar l' anima santa
Di questa, in cui onor lassù si canta.
Canzon, tu vedi ben com' è sottile

Quel filo a cui s' attien la mia speranza,
E quel che sanza questa donna io posso:
Però con tua ragion, piana ed umìle
Muovi, novella mia, non far tardanza;
Ch' a tua fidanza s' è mio prego mosso:
E con quella umiltà che tieni addosso

ANTOLOGIA.

3

Fatti, novella mia, dinanzi a Morte,
Sicchè a crudelità rompa le porte,
E giunghi alla mercè del frutto buono.
Es' egli avvien che per te sia rimosso
Lo suo mortal voler, fa che ne porte
Novelle a nostra donna, e la conforte;
Sì ch' amor faccia al mondo di sè dono
Quest' anima gentil, di cui io sono.

II. 1

Gli occhi dolenti per pietà del core
Hanno di lagrimar sofferta pena
Sì, che per vinti son rimasi omai.
Ora s' io voglio sfogar lo dolore,
Che appoco appoco alla morte mi mena,
Convienemi parlar traendo guai.

E perchè mi ricorda ch' io parlai
Della mia donna, mentre che vivia,
Donne gentili, volentier con vui,
Non vo parlarne altrui,

Se non a cor gentil che 'n donna sia:
E dicerò di lei piangendo, pui

Che se n'è gita in ciel subitamente,
Ed ha lasciato Amor meco dolente.

Ita n'è Beatrice in l' alto cielo,

Nel reame ove gli angeli hanno pace,
E sta con loro; e voi, donne, ha lasciate.
Non la ci tolse qualità di gelo,

Nè di calor, siccome l' altre face;
Ma sola fu sua gran benignitate.
Chè luce della sua umilitate
Passò li cieli con tanta virtute,
Che fe maravigliar l' eterno sire
Sì, che dolce desire

Lo giunse di chiamar tanta salute:
E fella di quaggiuso a sè venire;
Perchè vedea ch' esta vita noiosa
Non era degna di sì gentil cosa.
Partissi della sua bella persona
Piena di grazia l' anima gentile,
Ed èssi gloriosa in loco degno.

1 Il 9 Giugno del 1290 morì Beatrice nell' età press' a poco di cinque lustri.

Chi non la piange, quando ne ragiona,
Core ha di pietra sì malvagio e vile,
Ch' entrar non vi può spirito benegno.
Non è di cor villan sì alto ingegno,
Che possa immaginar di lei alquanto,
E però non gli vien di pianger voglia:
Ma n' ha tristizia e doglia

Di sospirare e di morir di pianto,
E d'ogni consolar l' anima spoglia,
Chi vede nel pensiero alcuna volta
Quale ella fu, e come ella n'è tolta.
Dannomi angoscia li sospiri forte,

Quando il pensiero nella mente grave
Mi reca quella, che m' ha il cor diviso.
E spesse fiate pensando la morte,
Me ne viene un desio tanto soave,
Che mi tramuta lo color nel viso.
Quando l'immaginar mi tien ben fiso
Giugnemi tanta pena d'ogni parte,
Ch'i' mi riscuoto per dolor ch' io sento;
Esi fatto divento,

Che dalle genti vergogna mi parte.
Poscia piangendo, sol nel mio lamento
Chiamo Beatrice; e dico: Or se' tu morta!
E mentre ch' io la chiamo mi conforta.
Pianger di doglia e sospirar d' angoscia

Mi strugge il core, ovunque sol mi trovo,
Sì, che ne increscerebbe a chi 'l vedesse:
E qual' è stata la mia vita, poscia
Che la mia donna andò nel secol novo,
Lingua non è che dicer lo sapesse.
E però, donne mie, per ch' io volesse,
Non vi saprei ben dicer quel ch' io sono;
Simi fa travagliar l' acerba vita :

La quale è sì invilita,

Che ogni uomo par mi dica: Io t'abbandono,
Vedendo la mia labbia tramortita.

Ma qual ch' io sia la mia donna sel vede;
Ed, io ne spero ancor da lei mercede.

Pietosa mia canzone, or va piangendo;

E ritrova le donne e le donzelle,

A cui le tue sorelle

Erano usate di portar letizia;

E tu, che sei figliuola di tristizia,
Vattene sconsolata a star con elle.

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