Or s' io lo scaccio, ed e' non trova in voi Nell' esilio infelice alcun soccorso,
Nè sa star sol, nè gire ov' altri 'l chiama Poria smarrire il suo natural corso;
Che grave colpa fia d' ambeduo noi, E tanto più di voi, quanto più v' ama.
Quel vago impallidir che 'l dolce riso D' un' amorosa nebbia ricoperse,
Con tanta maestade al cor s' offerse, Che li si fece incontro a mezzo 'l viso. Conobbi allor sì come in paradiso
Vede l'un l'altro; in tal guisa s' aperse Quel pietoso pensier, ch' altri non scerse, Ma vidil' io, ch' altrove non m' affiso.
Ogni angelica vista, ogni atto umile
Che giammai in donna, ov' amor fosse, apparve, Fora uno sdegno a lato a quel ch' ' dico.
Chinava a terra il bel guardo gentile,
E tacendo dicea (com' a me parve):
Chi m' allontana il mio fedele amico ?
Ite, caldi sospiri, al freddo core;
Rompete il ghiaccio che pietà contende; E, se prego mortale al Ciel s' intende, Morte o mercè sia fine al mio dolore. Ite, dolci pensier, parlando fore
Di quello ove 'l bel guardo non s'estende: Se pur sua asprezza o mia stella n' offende, Sarem fuor di speranza e fuor d'errore. Dir si può ben per voi, non forse appieno, Che 'l nostro stato è inquieto e fosco, Siccome 'l suo pacifico e sereno. Gite securi omai, ch' Amor ven vosco; E ria fortuna può ben venir meno, S' ai segni del mio Sol l' aere conosco.
Non dall' ispano Ibero all' indo Idaspe Ricercando del mar ogni pendice,
Nè dal lito vermiglio all' onde caspe, Nè 'n ciel nè 'n terra è più d' una fenice. Qual destro corvo o qual manca cornice
Canti 'l mio fato? o qual Parca l'innaspe? Che sol trovo pietà sorda com' aspe, Misero onde sperava esser felice: Ch' i' non vo' dir di lei; ma chi la scorge, Tutto 'l cor di dolcezza e d' amor l' empie; Tanto n'ha seco e tant' altrui ne porge: E per far mie dolcezze amare ed empie, O s' infinge o non cura o non s' accorge Del fiorir queste innanzi tempo tempie.
Qual paura ho quando mi torna a mente Quel giorno ch' i' lasciai grave e pensosa Madonna e 'I mio cor seco! e non è cosa Che si volentier pensi e sì sovente.
I' la riveggio starsi umilemente
Tra belle donne, a guisa d' una rosa Tra minor fior; nè lieta nè dogliosa, Come chi teme, ed altro mal non sente. Deposta avea l' usata leggiadria,
Le perle e le ghirlande e i panni allegri E' riso e 'l canto e 'l parlar dolce umano.
Così in dubbio lasciai la vita mia:
Or tristi augurii e sogni e pensier negri Mi danno assalto; e piaccia a Dio che 'n vano.
IN MORTE DI MADONNA LAURA.
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo, Oimè il leggiadro portamento altero,
Oimè 'l parlar ch' ogni aspro ingegno e fero Faceva umile, ed ogni uom vil, gagliardo;
Ed oimè il dolce riso ond' uscio 'l dardo Di che morte, altro bene omai non spero; Alma real, dignissima d' impero,
Se non fossi fra noi scesa sì tardo; Per voi conven ch' io arda e 'n voi respire: Ch' i' pur fui vostro; e se di voi son privo, Via men d' ogni sventura altra mi dole. Di speranza m' empieste e di desire Quand' io parti' dal sommo piacer vivo; Ma 'l vento ne portava le parole.
Poichè la vista angelica serena,
Per subita partenza, in gran dolore
Lasciato ha l' alma e 'n tenebroso orrore, Cerco, parlando, d' allentar mia pena. Giusto duol certo a lamentar mi mena:
Sassel chi n' è cagion, e sallo Amore; Ch' altro rimedio non avea 'l mio core Contra i fastidi onde la vita è piena. Quest' un, Morte, m' ha tolto la tua mano: E tu che copri e guardi ed hai or teco, Felice terra, quel bel viso umano;
Me dove lasci, sconsolato e cieco,
Poscia che 'l dolce ed amoroso e piano Lume degli occhi miei non è più meco?
Se lamentar augelli, o verdi fronde Mover soavemente a l' aura estiva, O roco mormorar di lucid' onde S' ode d' una fiorita e fresca riva, Là 'v' io seggia d' amor pensoso, e scriva; Lei che 'l Ciel ne mostrò, terra n' asconde, Veggio ed odo ed intendo, ch' ancor viva Di sì lontano a' sospir miei risponde.
Deh perchè innanzi tempo ti consume? Mi dice con pietate: a che pur versi Degli occhi tristi un doloroso fiume? Di me non pianger tu; ch' e' miei dì fersi, Morendo, eterni; e nell' eterno lume, Quando mostrai di chiuder, gli occhi apersi.
Nè mai pietosa madre al caro figlio Nè donna accesa al suo sposo diletto Diè con tanti sospir, con tal sospetto In dubbio stato si fedel consiglio; Come a me quella che 'l mio grave esiglio Mirando dal suo eterno alto ricetto, Spesso a me torna con l'usato affetto; E di doppia pietate ornata il ciglio, Or di madre or d' amante: or teme or arde D' onesto foco; e nel parlar mi mostra Quel che 'n questo viaggio fugga o segua, Contando i casi della vita nostra,
Pregando ch' a levar l' alma non tarde: E sol quant' ella parla ho pace o tregua.
Levommi il mio pensier in parte ov' era Quella ch' io cerco e non ritrovo in terra. Ivi, fra lor che 'l terzo cerchio serra, La rividi più bella e meno altera. Per man mi prese e disse: in questa spera Sarai ancor meco, se 'l desir non erra: I' son colei che ti die' tanta guerra, E compie' mia giornata innanzi sera. Mio ben non cape in intelletto umano: Te solo aspetto, e, quel che tanto amasti, E laggiuso è rimaso, il mio bel velo. Deh perchè tacque ed allargò la mano? Ch' al suon de' detti sì pietosi e casti Poco mancò ch' io non rimasi in cielo.
IN VITA DI MADONNA LAURA.
E l'ingegno paventa all' alta impresa, Nè di lui nè di lei molto mi fido; Ma spero che sia intesa
Là dov' io bramo e là dov' esser deve La doglia mia, la qual tacendo i' grido. Occhi leggiadri, dov' Amor fa nido, A voi rivolgo il mio debile stile
Pigro da sè, ma 'l gran piacer lo sprona; E chi di voi ragiona,
Tien dal suggetto un abito gentile, Che con l' ale amorose
Levando, il parte d' ogni pensier vile. Con queste alzato vengo a dire or cose C'ho portate nel cor gran tempo ascose. Non perch' io non m' avveggia
Quanto mia laude è ingiuriosa a voi; Ma contrastar non posso al gran desio Lo quale è in me dappoi
Ch' ' vidi quel che pensier non pareggia, Non che l'agguagli altrui parlar o mio. Principio del mio dolce stato rio,
Altri che voi so ben che non m' intende. Quando agli ardenti rai neve divegno, Vostro gentile sdegno
Forse ch' allor mia indegnitate offende.
O, se questa temenza
Non temprasse l' arsura che m' incende, Beato venir men! che 'n lor presenza
M' è più caro il morir, che 'l viver senza.
Dunque, ch' i' non mi sfaccia,
Si frale oggetto a sì possente foco,
Non è proprio valor che me ne scampi: Ma la paura un poco,
Che' sangue vago per le vene agghiaccia, Risalda 1 cor, perchè più tempo avvampi.
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