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i bisogni dello stato, portava seco le eccessive contribuzioni e la rovina dei proprietarii. Tuttavia i più potenti signori, i quali avrebbero con effetto riclamato, si compensavano in qualche modo delle perdite sofferte; ma la classe media, la più industriosa e la più utile, per le soverchie gravezze o era costretta ad abbandonare le sue campagne o almeno a venderle a prezzo vile; cosichè si videro allora crescere quei così detti latifondi o immense proprietà, le quali raccoglievano in poche mani le ricchezze dello stato, condannando gli altri alla più assoluta miseria. Non esistevano pertanto nell'impero che due classi di persone, i ricchi e la poveraglia.

Non andò quindi gran tempo che un impero così vasto si trovò impoverito di abitanti; si spense ogni desiderio di unità e di concentramento, che era pur già uno dei vizj della costituzione romana. Lo spirito di municipalità ricomparve in ogni parte, tutte le città si ristrinsero nelle loro mura, e l'impero si distruggeva perchè nessuno più voleva appartenere all'impero. Quando Caracalla concesse a tutti indistintamente il diritto della cittadinanza, il rimedio era allora non solo tardo, ma rovinoso. Arrogi per ultimo, che questo spirito non era neppur bastante alla difesa delle medesime città, perocchè ai borghesi era vietato l'uso dell' armi dalla gelosia degli imperatori, i quali governavano di tal maniera da rendere prudenti e giustificarne abbastanza i sospetti ed i timori.

L'impotenza d'una sola mano a tanto freno aveva suggerito il pensiero della divisione a Diocleziano, e la speranza di far due centri per resistere meglio all'invasione, il traslocamento della sede imperiale a Costantino. «Vi hanno dei giudizj dice Chateaubriand, che, senza esame, furono ripetuti dagli storici; spesso vi sarà occorso di leggere che Costantino affrettò la caduta della potenza dei Cesari, col distruggere l'unità di loro sede: fu invece la fondazione di Costaninopoli che ha prolungato fin nei secoli moderni l'esistenza romana. Roma restata sola metropoli, non sarebbe stata meglio difesa; l'im

pero sarebbe caduto con essa, quand' essa cadde sotto Alarico, se la nuova capitale non avesse formato un secondo capo che non fu abbattuto se non più di mille anni dopo il primo, dal ferro di Maometto II. >>> - A questo si aggiunga la giusta osservazione del Balbo, che « quanto alla fondazione di Costantinopoli e del suo imperio orientale, ogni disputa certamente è vana. Undici secoli di storia sono li dinanzi agli occhi di ciascuno a provare l'opportunità di quella traslazione e di quella fondazione. Undici secoli di fatti non sono facili a ripudiare.

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Costantino però, il quale aveva si lungamente faticato a raccogliere nelle sole sue mani il retaggio di Roma, lo divise tra i figliuoli morendo, e una dolorosa esperienza ha dimostrato, che e' non si era male apposto dubitando della loro virtù. La storia civile di quel tempo non è che un catalogo di abbominevoli assassinii, di grette gelosie, non compensate mai da un magnanimo pensiero, da una generosa risoluzione. La frenetica ambizione di immischiarsi negli affari di religione assorbì ad essi un tempo che avrebbero dovuto impiegare alla difesa della patria, ed empì il governo di scisme e di tribolazioni, mentre divertivano lo spirito dei popoli dai più imminenti pericoli. Forse pensavano a Costantino, ma i tempi in così breve tratto erano pur tanto cangiati! Giuliano poi, che non era privo delle grandi qualità atte a formare un gran principe, abbindolato da una falsa filosofia, non ebbe il buon senso di comprendere l'impotenza del politeismo : irritò l'animo dei più, e colla rovinosa spedizione della Siria distrusse l'esercito migliore, ragrannellato da tutte le frontiere dell' impero. Teodosio fece brillare d'un ultimo raggio di vera gloria il nome romano; ma guai a quello stato che dipende dalla vita d'un sol uomo! Quando le redini del governo furono affidate alla debole mano dei suoi figliuoli, gli usurpatori si moltiplicarono; stranieri, schiavi, eunuchi e donne ebbero il comando a vece di loro, sepolti nel fondo de' palazzi, ignari dei patimenti del popolo, e ciechi all' incendio che si dilatava all' in

Milizia

e

avea

torno; mentre ai barbari era commessa la salute
della patria, contro altri barbari intenti ad invaderla
a mano armata. Ruffino governatore dell' oriente,
Stilicone, ultimo veramente tra i valorosi, colle loro
perpetue gelosie divisero affatto l'oriente dall' occi-
dente, spezzando quell' unico vincolo che li stringeva
insieme, sì che cominciarono da quel punto a crede-
re di non avere ormai un coll'altro nulla più di
comune. Roma, che da Annibale in poi non
più vedute dalle sue mura sventolare le bandiere
nemiche, minacciata a più riprese, saccheggiata due
volte, perdette al cospetto del mondo anche la ma-
està di quel nome, che la faceva tuttavia riverita.
Nel breve spazio di ventitre anni, dopo la morte di
Attila, dieci imperatori si contesero gli avanzi della
porpora cesarea, strappandosela a vicenda con un
delitto; un Barbaro, forse sdegnoso di sedere sopra
un trono tanto invilito, si appagava del triste onore
di sollevare un padrone ai romani, e un idolo agli
effeminati cortigiani di Ravenna. Ondeché gli animi
dei popoli ondeggianti tra queste signorie d' un mo-
mento, balzati sempre di male in peggio, istupiditi
da tante e si rapide calamità, quando Odoacre alla
testa degli Eruli, spense in Romolo Augustolo l'ul-
timo fantasma d'imperatore, e si fece dichiarare re
d'Italia, non si addiedero neppure della grande e
nuova rivoluzione, che si era a poco a poco operata.

Facendo un novero de' vizj dello sciagurato governo imperiale, forse mal ci apponemmo a non far cenno insieme delle milizie: perocchè governo e milizia era tutt'uno, o per dirlo in una parola, la soldatesca dispoticamente governava. Caracalla solea ripetere--Che era da assicurarsi l'affetto dei soldati, e contar poco il rimanente dei sudditi.—Questa massima, unico principio e tacito voto della maggior parte degli imperatori, crebbe a dismisura il potere e l'insolenza della milizia. Noi abbiam più sopra accennato, come il governo della casa Giulia fosse fatale agli uomini più eminenti, epperò essendo i perstiti come irritati e pronti alla vendetta, eziandio tenuti in diffidenza, fecero soverchiare la fede degli

su

imperatori verso gli eserciti. Allora il Prefetto delle guardie pretoriane, il quale non era un tempo se non un semplice capitano, divenne uno dei primi e più potenti ministri. Quando poi le legioni vennero a tale di ardire non di sollevarsi, ma di eleggere a loro posta un capo all' impero, e videro le più volte d'un fausto evento coronata la ribellione, crollarono in due modi i più saldi fondamenti dello stato rendendosi ligi gli imperatori, opera delle loro mani, e cominciandosi a tenere come i veri depositarii della romana autorità. Oltre a che ne venne un male anche più grave; che arricchiti da queste loro creature, si svincolarono dai legami della disciplina, perdendo così insieme quella forza e valore, che poteva in qualche modo far loro perdonare l'eccessiva potenza, e l'abuso che ne facevano. La milizia che in una onorevole povertà si mantenne più tranquilla in pace e più utile in guerra, per mezzo delle soverchie elargizioni si fece turbolenta nelle amiche città, rimessa e timida in faccia al nemico e il dispotismo militare spezzò l'impero senza poterlo difendere. L'imperatore Severo, che pur ebbe l'ardire di sciogliere l'inquieta guardia pretoriana, o fosse una menzognera politica, o la necessità dei tempi rotti lo costringesse, allentò di molto il freno della disciplina, ed aumentando la paga, avvezzò i soldati all'esca dei donativi, poscia pretesi come cosa stabilita per legge. Eppure egli aveva veduto pocanzi un imperatore trucidato, e il trono dei Cesari venduto al maggior offerente. A misura poi che le spese per la milizia crescevano, le contribuzioni si facevano più gravi e insopportabili, le provincie erano a poco a poco deserte dalla miseria e dai barbari irrompenti, le leve divenivano assai difficili, si diradavano le file dei soldati senza potervi supplire e gli eserciti mentre insolentivano di più, erano più vicini alla loro dissoluzione. A questo grave difetto si pensò di porre riparo assoldando con paga assai minore i medesimi barbari, i quali avvezzi nelle lande da cui erano usciti a durissima vita, non si rifiutavano alle più malagevoli

Morale

imprese; ma coll' andar del tempo o per amore alla
patria o per vaghezza di bottinare si ricongiungeva-
no ai loro, ovveramente erano mal tenuti a segno
da un freno, cui non avevano giammai per lo in-
nanzi conosciuto. Laonde al postutto erano più pe-
santi gli ausiliarii degli stessi nemici, tanto più quan-
do una volta si guardarono intorno e maravigliati
conobbero, non essi in mezzo alle armate romane
ma si i pochi soldati romani essere in mezzo alle ar-
mate dei barbari. Di più questi pochi nazionali con-
fidarono volontieri al braccio di mercenarii i luoghi
più aspri, ma più importanti, dacchè usati alla vita
molle delle città, agli ozj dei teatri e dei circhi,
mal sapevano ritornare a vivere sotto le tende, sulle
frontiere del regno, ove ad ogni momento si aveva
a star sull'avviso, e a badaluccare con un nemico
non mai stanco di assalire. Ammolliti una volta gli
animi, si cominciò a sostituire a quella pesante fan-
teria che vinse il mondo, la cavalleria: ed alle pe-
santissime armi che ne assicuravano la vita,
meno invulnerabili, ma più leggiere. Finalmente
Costantino col togliere le milizie dalle loro stazioni
sulle rive dei gran fiumi, distrusse quella formida-
bile diga che salvava le tre mila leghe di frontiere,
e trapiantandole nel cuore dell' impero terminò col-
l'invilirle affatto, in quella appunto che tutti i po-
poli disertati erano più esposti alle minacce e alle in-
cursioni, e che i soldati avevano bisogno della mag-
giore energia.

altre

Un altro verme più interno e più mortifero, perocchè la sua piaga era più difficilmente sanabile, rodeva le basi della romana potenza, cioè il difetto della religione. Quando la pubblica morale è distrutta, e la coscienza del proprio dovere è muta nel cuore dei popoli, i vizj inondano senza riparo, e perdendo in faccia loro quella naturale bruttezza che li rende abbominevoli, estinguono anche il pudore delle azioni triste e disoneste. Allora accade quella rovina di cui si lagnava un antico scrittore, che i veri nomi delle cose si travisano, applicandosi ad altre cui non si affanno; laonde l' uom giusto viene

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