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Gli

§. III.

Considerazioni generali sul governo d'Italia durante il dominio degli Ostrogoti, Greci, Longobardi, Franchi e Tedeschi.

La rapida enumerazione dei principali vizj della Eruli società romana negli ultimi periodi dell' impero, con cui abbiamo cominciata questa prima parte del nostro ragionamento, basta a porci in grado di conoscere, come la sua condizione potesse appena dirsi umana; capitalissima miseria, atta non solo ad agevolare l'invasione dei barbari, ma a farli dalla maggior parte desiderare come altrettanti liberatori. A malgrado però di tanti diffetti si nella amministrazione civile che nella giudiziaria, siccome i barbari erano, nelle native loro foreste solamente guidati per via di consuetudini antiche, e di certe leggi di convenzione, così trovando nei conquistati paesi un ordine più stabile, codici e magistrature fermate per iscritto, in sulle prime vi si conformarono quasi alla cieca aspettando dal benefizio del tempo e dalle esperienza di potere anch'essi sull' esempio dei vinti, disporre, e rendere per la scrittura men soggette a vicenda quelle loro medesime tradizionali consuetudini. Perlaqualcosa durante il regno di Odoacre continuò nell' Italia il governo imperiale, e mentre il potere era interamente ridotto a mano dei barbari, Roma proseguì ad avere un senato, a nominare i suoi consoli, ad inviare i magistrati nelle provincie, a giudicare sul fondamento dell' antico diritto. Il nuovo re indipendente in effetto, s' adoperava per mostrare di non essere in faccia agli imperatori d' oriente usi anche dopo lungo tempo a riguardar quei paesi come loro, benchè smembrati affatto dal corpo del impero. D'altronde gli Eruli, i Turcilingi, i Rugi, e quanti altri militavano sotto le insegne di questo avventuriere non erano nuovi barbari per lui introdotti nelle provincie romane, sì bene nella massima parte mercenarii da lungo tempo incorporati nelle

legioni, ed usi ad una certa disciplina. Del resto
l'immagine, il nome,
le rimembranze della ro-
mana civiltà erano ancor troppo vive e recenti per
essi, perchè potessero d' un tratto allontanarsene to-
talmente o dispregiarle. Quanto alla facilità della vit-
toria, alla viltà delle soldatesche, erano ben lungi
dallo scoprirne le vere e recondite sorgenti, o dallo
accagionarne il vizio del governo imperiale, ma at-
tribuivano tutto a cause o accessorie o secondarie,
come sarebbero i costumi e particolarmente le scien-
ze e le lettere, le quali erano da loro in conse-
guenza abbominate, quasi principio di coruttela e di
decadimento.

Lo stesso fatto si rinnovò sotto la dominazione
degli Ostrogoti, o Goti orientali, capitanati da Teo-
dorico: e qualche differenza che vi corse, non è da
attribuirsi ai principii diversi da cui fossero gover-
nati, si alla più lunga durata del loro regno, al genio
di Teodorico, e di alcuni altri re, sollevati dal voto
della nazione all' imperio. Teodorico stesso si era e-
ducato alla corte di Costantinopoli, e gli Ostrogoti
nel loro soggiorno antecedente all'invasione italica,
avevano avuto agio di conoscere l'ordine e l'armo-
nia del governo, dalle armi loro distrutto in parte,
per non risentirne insieme la superiorità, qualunque
fosse, e l'influenza. Laonde furono ancora serbati i
nomi di repubblica, di consoli, di senato, come per
lo innanzi, e si concesse ai Romani di regolarsi a
tenore delle antiche leggi, lasciando il diritto e la
potenza delle armi ai vincitori, a cui era affidata la
difesa delle terre; cosichè si videro allora in fatto
due stati in un solo, diverse costituzioni, come di-
versi costumi. Così, mentre Teodorico si lusingava
per tal via di tener vivo il valore e la forza nei
suoi, li rese perpetuamente stranieri al popolo vinto,
il quale non avendo con essi alcuna comunanza di
vita, li vide quindi assaliti e battuti senza prendere
parte ai loro timori ed alle loro speranze,
se pur
non. ne agevolarono colle ribellioni la caduta. Ove
egli si fosse ingegnato di incorporare e fondere in-
sieme in certa guisa i due popoli, correggendo colla

Gli

Ostro

goti

civiltà latina la forza brutale del settentrione, avrebbe per avventura più per tempo ringiovaniti gli Italiani, affrettando la lenta opera, e sminuendo i mali dei secoli seguenti, e date oltreacciò più ferme basi al suo regno mentre al contrario abborrendo dall' educarne lo spirito, comecchè si adoperasse in favore delle arti, proteggesse e pigliasse cura degli antichi monumenti, radunasse intorno a se gli uo mini più dotti di quei tempi, non cangiò ne punto ne poco i costumi dei suoi compagni. L'agricoltura fra il rimescolio di tante invasioni e rovine dimenticata e negletta, fu per l'opera di lui potentemente promossa: e l'Italia mutatasi quasi affatto in un deserto, cominciò a rilevarsi dalla sua desolazione, ed a mostrare un aspetto più florido. Comunque ciò sia gli Ostrogoti, a cui era a quest'uopo stata distribuita una terza parte dei terreni, senza piegarsi alla vita agricola, si contentarono di ottenere un terzo dei raccolti da quelli antichi coloni, per la vicenda dei tempi e delle conquiste di signori mutati in servi.

La quale condizione non doveva però sembrare loro soverchiamente dura, essendo sgravati da ogni altra maniera di tributi, divenuti così incomportabili negli ultimi tempi da indurre il maggior numero ad abbandonare le tenute, anzichè sottomettervisi.

Questa divisione tra il popolo vinto ed il conquistatore, se non cominciò a far risentire i suoi perniciosi effetti fuorichè sugli ultimi anni del regno di Teodorico, vuolsi per una parte ascrivere alla stanchezza ed all'avvilimento dei latini, all' ingegno, all'arte, alla tolleranza di lui solo, che mentr'era ariano seppe validamente sostenere i cattolici: e per l'altra al rispetto ed al timore della sua potenza, bastante non solo a respingere all'uopo, ma si ancora a prevenire qualunque tentativo di invasione straniera. Del resto tutto l'edifizio era fondato sulla sua persona, ne pare che gli Ostrogoti abbiano o praticato o conosciuto l'uso di quelle assemblee nazionali, così comuni ed utili agli altri popoli di razza germanica, ne che si stabilisse una certa forma di governo, atta

a determinare per l'avvenire la via più sicura da percorrersi. Dopo la di lui morte, tutti questi semi piccoli in apparenza, e di natura diversa, sviluppandosi d' un tratto, rovinarono la nazione.

Siccome le virtù dei barbari nella massima parte si vogliono attribuire alla povertà della loro condizione, così colla opulenza comincia l'opera sterminatrice dei vizj, ove non siano per tempo saviamente corretti dalla civiltà intellettuale. Questo era appunto il caso degli Ostrogoti. Quando Belisario venne alla conquista dell' Italia, il regno era già sfasciato: e gli indigini considerandosi come fratelli agli aggressori, ossia per la conformità della religione, ossia per l'antica comunanza della fortuna e dell'impero, o finalmente per una inveterata abitudine, se non gevolarono per impotenza di molto la vittoria, lasciarono occasione intentata, o almeno non si adoperarono in modo alcuno e in alcuna parte di impedirla. Che se i Goti durarono lungo tempo ancora, ciò fu dovuto agli sforzi, al coraggio ed al genio di parecchi capitani, e massimamente di Totila e di Vitige, come alla debolezza delle armi di Belisario, contrariato e costretto ad operare rimessamente, ora per gli intrighi d'una corte donnajuola, ora pel difetto del necessario a proseguire con vigoria maggiore la

guerra.

a

non

La mutazione però di signoria non mutò le condizioni civili dell' Italia, e forse non se ne sarebbe pur anco avveduta, quando non si fossero volte in peggio per l'avarizia e perversità degli imperiali ministri. Le estorsioni e le angherie furono il carattere dominante del greco dominio in Italia, imperocchè considerandola non come un membro dell' impero staccato dalla violenza sul punto di riapiccarsi all' antico corpo, ma piuttosto come un paese di conquista, lo governarono militarmente. L' Esarca o governatore stanziato a Ravenna, aveva per le diverse città sparsi altri capitani ad estorcere ed angariare col doppio intento di arricchire se stessi e la corte di Costantinopoli, la quale con un lusso eccessivo e colla pompa e lo splendore si sforzava di ricoprire agli occhi Ragion. Stor. Vol. I.

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Greci

bardi

altrui la propria miseria. Forse questo medesimo sen. timento di debolezza, provato per tante umiliazioni sofferte, facendo da lungi subodorare, come ai greci sarebbe impossibile tenersi fermi per molto tempo in quella signoria, toglieva loro di stabilire sopra equi fondamenti il governo, accontentandosi di rapir presto colla violenza ciocchè avrebbero al postutto dovuto pure abbandonare.

Le dominazioni violente somigliano alle passioni eccessive, succedute sempre dalla calma dello spossamento. Nè l'Italia tardò gran fatto a conoscere, che se aveva desiderata la caduta degli Ostrogoti, era all'intento suo pervenuta a prezzo della propria devastazione; e che, mentre l'agricoltura, il commercio e le altre utili arti, favorite e promosse da Teodorico, cominciavano a prosperare, ridestando una guerra accanita, aveva falciate in erba tante e così belle speranze, attendendo per sopraccarico un avvenire più inquieto e più doloroso. Infatti, qual cosa guadagnò ella in questa vicenda? In luogo di essere come la Gallia e la Brettagna una potenza indipendente e rispettata si vide per sempre condannata alla signoria degli stranieri, varia quanto la vittoria, più vergognosa della sconfitta, in balia d'un insaziabile governatore, che oltraggiato dalla perfida corte di Bisanzio, forse non dubitava di gittarla, come la più vil cosa in braccio a nuova gente, venderla per vendetta ad un orda di barbari irrompente dalle steppe della Germania, a buon diritto invaghita, benchè così malconcie, dalle fertili provincie dell' Italia.

e

I Quando calarono i Longobardi, superbi delle reLongo centi vittorie riportate sui Gepidi, guidati da un giovine e valoroso, avidi di ottenere per le armi vasti possedimenti, la di cui fecondità avevano nelle anteriori guerre sperimentata, trovarono gli abitatori d'Italia o impotenti o ben lontani dall' opporre la forza alla forza, comechè corressero spaventose voci sulla crudeltà dei nuovi invasori. Ne in questo andavano gran fatto lungi dal vero, imperochè i Longobardi disertavano in quell' impeto primo quanto

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