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del sangue, fosse in sulle prime un dovere così saerosanto per ciascun Longobardo, che il non tenerne conto sarebbe paruta una vergogna grandissima. Ad ovviare a questo disordine si sostituì il compenso d'una multa, devoluta ai parenti dell' offeso, serbando la pena di morte per certi casi più gravi, come l'adulterio, gli attentati della moglie contro la vita del marito, del servo contro quella del padrone, le congiure, il tradimento, la deserzione, la fuga. Le infrazioni men gravi della disciplina erano puuite d'un ammenda, maggiore o minore secondo il grado della reità. L'uccisione poi di un uomo era compensata colla somma di goo soldi, metà al re, metà ai parenti dell' ucciso; quella d'una donna libera con 600, parte al re, parte al mondualdo: la vita d'un romano era computata assai meno di quella d'un Jongobardo; il seduttore d'una fanciulla era tenuto a sposaria, pagando il mundio, o altrimenti a dare la sorama di 100 soldi da dividersi come sopra: e così di tutti i casi, particolarmente spiegati con Jungo e minuto novero nella legge.

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I giudizi sotto la forma più semplice e più pronta erano pronunziati da dodici, talvolta da sei giurati, che in longobardo aidos, in latino dicevansi dal giuramento sacramentales. Ove la verità non potesse venire apertamente in chiaro, si ricorreva al duello giudiziario, o giudizj di Dio, tenendosi allora come cosa certa, che il cielo, anche operando un miracolo, avrebbe salvata la vita d'un innocente. Questo errore, oltre le frequenti ed inevitabili violazioni della giustizia, produsse in seguito e moltiplicò una l'azza pessima di uomini, sempre presti al sangue ed ai corrucci, i quali, convertendo in arte il pregiudizio, servivano di campione a chi per impotenza non si attentasse di duellare. Per gli schiavi e talvolta per le donne si usavano le prove dell'acqua e del ferro rovente, od altre cose a talento di simile natura, di cui faremo in seguito più particolarmente parola. Quanto ai Romani, i Longobardi largheggiarono come tutti gli altri barbari, concedendo loro di conformarsi al diritto romano, purchè fosse esclusiva

mente serbato loro intatto quello della spada. Al postutto il romano la vinse, ma il longobardico susistette molto tempo dopo alla loro caduta, e noi a vremo forse occasione di vederne in seguito molte tracce negli statuti dei Comuni Italiani.

La conversione dei Longobardi al cattolicismo avrebbe potuto probabilmente fermare sopra più saldi fondamenti la loro conquista, menomando l'odio che li divideva dai latini, e fortificandoli coll' autorità dei Pontefici, la quale poteva valere assai più della forza materiale degli eserciti. Questa importante verità così fortemente riconosciuta e seguita da Carlomagno, o non era avvertita dagli ultimi re Longobardi, o mal ne compresero la grandezza, ingannali dalla apparente impotenza dei Pontefici, i quali si poteano tenere a fatica in Roma, e mentre signoreggiavano l'opinione della cristianità, erano sovente travagliati dalla arroganza di pochi faziosi, aggiratori della plebe. Perlochè senza pure avvedersene, quei re furono a poco a poco schiacciati da quella mano invisibile, che facea quindi tremare nella superbia della loro gloria gli Hohenstauffen, e guidava miriadi di cristiani sotto la bandiera della croce alla conquista di Palestina. L'Italia cadde con una sorprendente facilità sotto la dominazione dei Franchi, perchè l'opinione aveva già innanzi spuntate le formidabili spade dei Longobardi.

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Carlomagno, interprete e braccio, per dir così, di questa onnipotente opinione, è la figura che di Franchi più viva luce primeggia nella storia dei secoli di Tedeschi mezzo, a guisa di quei potenti comparsi alla testa dei popoli nuovi per regolarne i destini. Egli è l'Unto del Signore, che nelle assemblee delle nazioni torreggia col capo sopra tutti i suoi contemporanei, i più grandi dei quali appena arrivano alle sue spalle, come avveniva del consacrato Saulle nelle adunanze di

Giuda. La profondità delle sue viste politiche, i prodigiosi concetti della sua mente parvero di tanto superiori al suo tempo, che la di lui vita, conquiste, azioni, pensieri somigliarono ad un libro sigillato, e quasi avvolti tra una misteriosa oscurità per mo

strarlo come un essere di più perfetta natura; laonde egli diveniva il tipo e il soggetto di una letteratura, ove tutto si opera per via d'incanto e di maraviglie. Infatti Carlomagno colla potenza del suo genio, coll' impulso dato ai suoi eserciti, sottomise tanti popoli così diversi di opinione e di credenze, congiunse tanti elementi così eterogenei fra loro per formarne un vastissimo impero, e rinnovare la memoria di Roma, che parve appunto l'opera di un incantesimo. Ne contento della gloria delle conquiste, volle avviare i suoi contemporanei per la via d'una civiltà, ben dalla sua natura compresa, ma per cui i tempi non parevano ancora maturi, e che molto più tardi dovea fra gli avvenire fruttare. L'opere di queste menti non si vogliono misurare tra gli angusti confini d'un età, mentre spargono dei semi per i secoli venturi. Carlomagno giudicato dalla codardia o inettitudine dei suoi figliuoli non ha fondata alcuna stabile istituzione; essi, come or vedremo, distrussero ogni cosa, e più avrebbero, se i frutti dei pensieri di lui non avessero dovuto mostrarsi più tardi; frutti i di cui semi erano sparsi, ma non veduti da loro.

Egli era un uomo in mezzo ad un popolo di fanciulli, i quali stettero fermi finchè la mano potente ne moderò il freno, e si disciolsero colla agevolezza delle troppo rapide conquiste, appena s'accorsero essere venuta meno quella forza, che gli aveva strascinati quasi loro malgrado. Benchè avesse un regno assai lungo, e la fortuna o ben di rado o mai volgesse le spalle ai suoi eserciti, pure non ebbe agio bastante per naturalizzare i popoli conquistati alla Franca dominazione, perocchè a questo si voleva la lenta cooperazione dei secoli. I Romani avevano impiegato ottocento anni alle conquiste fatte ed ordinate da Carlomagno durante il naturale corso della sua vita. Ne il pericolo d'una imminente dissoluzione era sfuggito alla penetrazione del suo ingegno; anzi si adoperò quanto uomo poteva di prevenirlo, fortificando il suo impero colla opinione religiosa, di sua natura invariabile e non dipendente dal caso, ed

intendendo a quelli ordinamenti politici, valevoli a tutelare più di leggieri l'opera sua. Non v' ba cosa cui non ponesse mano con maggiore o minore felicità, ma sempre con grande sapienza ed accume di mente; altrove ci verrà in acconcio di ragionare un altra volta di lui, parlando della varia fortuna delle lettere.

Come legislatore, preparò per l'avvenire un ordine nuovo, modificò l'antico, correggendo i codici Salico, Ripuario e Longobardo, benchè per l' angustia del tempo coi suoi Capitolari non aggiungesse, al dir d'un suo intimo (Eginardo), alle antiche leggi, che alcuni articoli imperfetti. Gli elementi della totale divisione erano assai anteriori alle sue riforme, e la piaga del corpo sociale troppo incancrenita, perché ei potesse per allora rimarginarla. I Merovingi avevano lasciato divorare il regno dai grandi, e il difetto non fu tolto, ma palliato, tanto in Francia, quanto in Italia colla creazione d' un nuovo re. Invano tentò di spegnere le antiche dinastie nel silenzio dei chiostri; i popoli usi al lungo giogo sapevano sceglierne delle altre, pullulanti, come zizzania, da una terra troppo inselvatichita. Tuttavia, se l'effetto non corrispose di subito interamente al grande pensiero del nuovo Costantino, egli non ristette a mezza via, ne iscoraggiato, ne avvilito: e i posteri sono debitori di molto all'opera ed alla influenza di lui.

I ducati furono in Italia divisi in diverse e più piccole contee, col pensiero di spegnere così l'antico uome, benchè poscia la lunga abitudine prevalesse alla innovazione. I Couti erano nelle loro terre al pari dei duchi indipendenti: ma come più deboli potevano all' uopo o essere rimossi o da una forza maggiore soverchiati. Essi avevano il diritto di presiedere al loro distretto, di capitanare gli uomini di guerra nella battaglia, tostoche da un bando regio venissero convocati. Le forme giuridiche furono da Carlomagno ridotte sotto una norma assai più precisa, e sopravegliate da uomini probi, amatori della giustizia, detti con nome proprio Scabini. Costoro erano di diritto assessori nelle assemblee della contea, che

sotto nome di placiti generali si adunavano di diciolto in diciotto settimane, o nei convegni locali per le cause minori, detti placiti convocati, a cui solevano intervenire i Vicarii del Conte. Oltre agli Scabini, facili per il lungo uso e dimestichezza coi Conti a prevaricare, instituì degli inspettori straordinarii, i quali correvano le provincie, cude raddirizzare i torti fatti agli uomini liberi, e porre argine alle soperchierie non di rado messe in opera contro i deboli. Essi, col nome di Missi Dominici o regii, rivedevano le cause giudicate: e affinchè niuna cosa potesse sfuggire al loro esame, andavano sempre a due a due, laico per le cause secolari, uno ecclesiastico per quelle riguardanti le chiese. Ultimo di questa grande catena, che dallo schiavo correva fino all' imperatore, era il Conte Palatino, il più potente di tutti; per 'Italia risiedente e Pavia, rappresentando la persona del re, e giudicandɔ delle cause maggiori alla di lui presenza.

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Ad onta di tanti impedimenti e freni posti alla rapacità degli individui, arricchiti di vaste possessioni, appena la grande anima ( per servirmi della iperbole di Herder) ebbe abbandonato quel corpo gigantesco, tutto cadde in dissoluzione, e per lo spazio di parecchi secoli non si mostrò che sotto l'aspetto d'uno schifoso ed informe cadavere. L'indipendenza dei Conti superò quella degli antichi duchi, i quali per dominare meglio a loro talento, cominciarono ad abbandonare le città per ritirarsi, come l'aquila sulla vetta della rupe, nei loro castelli, e di là taglieggiare le città medesime, usurpando i terreni spettanti loro, e difendendosi agevolmente, ove la borghesia avvisasse di assalirli. E questo consiglio abbracciarono tanto più volentieri, in quanto che le incursioni di nuovi barbari cominciavano a rendere mal sicure le antiche abitazioni. Di là sopravegliavano alla coltivazione delle campagne, popolate da più maniere di uomini, tutti, benchè diversamente sottomessi; gli Arimanni o uomini liberi, la Masnada o compagni del Castellano, gli Aldi o specie di antichi liberti, e finalmente gli Schiavi. Le oppessioni e le miserie

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