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dei popoli erano già venute a tale sotto l'immediato successore di Carlomagno, che ebbe ad invocare più volte aperta forza onde apporvi rimedio, e nutri vivissimo il pensiero di tentare una generale riforma legislativa, mentre erano tuttavia così recenti quelle del padre. Ma Ludovico il Pio se ebbe il buon volere e fors' anche giuste e rette idee, mancò del energia necessaria all'esecuzione, e i tentativi inutili accrebbero i mali: imperocchè sia generalmente men grave danno tollerare un abuso, che tentarne la riforma e mancare alla meta. La stessa divisione dei regni, immaginata da Carlomagno, aveva in qualche modo recato non piccolo giovamento sotto un governo forte ed assoluto, mentre per la dubbiezza perpetua di Ludovico fomentò le discordic civili, gli scandali di famiglia, le deposizioni, e per ultimo il miserando supplizio del re Bernardo, bastante ad amareggiare da per se solo gli ultimi giorni di lui.

Durante questo scandaloso periodo di guerra nella casa dei Carolingi, l'Italia abbandonata quasi in balia di se stessa fluttuò in una spezie di quiete dolorosa, preparazione a maggiori affanni, radicando la feudalità nelle sue principali provincie, come sarebbe l'ampio ducato di Benevento, quello di Spoleteto e il marchesato d'Ivrea. E sarebbe per avventura cresciuta di più senza l'azione dei Pontefici, e le amministrazioni municipali, che assorbirono, dietro l'esempio e la fortuna delle repubbliche marittime, i poteri di molti fra i conti, i quali si sentirono troppo deboli a reggere contro l'energica volontà della sorgente borghesia. Finalmente dopo la deposizione di Carlo il Grosso, la nazione rientrata nei proprii diritti, cominciò a radunare liberamente le assemblee nazionali o a Pavia o nelle pianure di Roncaglia vicino di Piacenza, a nominare per acclamazione i nuovi re, confermandone la nomina colla cerimonia della corona di ferro, conservata nella Cattedrale di Monza, a giudicare finalmente le cause del regno, secondo le diverse leggi di quel tempo in vigore. Allora gli Italiani cominciarono a scegliere dei re che avevano una assai lontana o

Feuda

lità

molto dubbia affinità coi Carolingi, e per difetto di unione si cadde in quella anarchia la quale rese tanto miserandi i secoli nono e decimo, secoli di ignoranza, di ferro e di sterminio. Allora si vide una nuova e non meno della prima spaventevole invasione barbarica per desolare l'Italia. Nelle regioni meridionali un pugno di Saraceni si avanzava fin sotto le mura di Roma: I Normanni, dopo avere devastata la Francia, entravano nella Puglia, intantochè nella Lombardia le incursioni degli Ungheri empievano di sangue quelle fertili contrade; cosichè non è a far maraviglia se gli abitatori, quasi istupiditi da tanti e così gravi flagelli, si avvisassero di essere giunti alla suprema sovversione dell'universo. In mezzo però a questi miserandi avvenimenti dell' ultimo periodo carolingio, l'invasione non fu senza qualche utilità per i destini futuri della nazione soffrente. Mentre per una parte favoriva la feudalità, ristrettasi per la urgenza della difesa sotto le formidabili torri dei suoi castelli, armava dall'altra i municipii per propulsare nel miglior modo possibile questi barbari assetati di sangue, e preparava tacitamente i Comuni, levatisi con tanta gloria nei secoli seguenti.

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Ma posciachè ci venne più volte necessariamente nominata la parola feudalità, e ragionando di questi tempi accada così di sovente di udirne favellare, ragion vuole se ne accenni da noi brevemente, onde darne un idea, se non vasta quanto si vorrebbe, almeno chiara ed esatta, onde i giovani possano indi più di leggieri studiarne i particolari in quei libri ed autori che trattano di proposito questa impor

tante materia.

Comechè il così detto sistema feudale, che con leggiere diversità si introdusse presso tutte le nazioni d'Europa, debba attribuirsi alla conformità dello stato sociale ed agli antichi costumi di quei barbari da cui fu stabilito, e molte tracce se ne possano trovare nelle istituzioni romane ed anche nelle anteriori di molto, tuttavia rispetto all' Italia, a chi ben guardi addentro, se ne deve ascrivere la prima origine al

ne

e

dominio dei Franchi. « La vera, la efficace, la immediata causa del sistema feudale, dice il Balbo, fu senza dubbio l'ordinamento dato o restaurato, e sviluppato da Carlomagno nel suo imperio, la divisione dico di questo in contadi, e le esenzioni da tal giurisdizione concedute ai beneficiari, esenzioni che crescendo e facendosi ereditarie invasero i contadi intieri, finchè conti e beneficiari non si distinsero gli uni degli altri, nè tra essi, se non per la giurisdizione diretta o indiretta in che rimase ognuno di essi. » I Principi conquistatori di quei vasti terreni che la devastazione delle provincie, lo spopolamento cagionato dalle guerre, dalle pesti e da altri simili flagelli, seguaci indivisi degli eserciti invasori, e finalmente la stessa vittoria poneva in loro balia, concedettero parte ai loro leudi o fedeli, che li ricevettero sotto la denominazione di benefizj o feudi. Dipendenti in sulle prime dal libero volere del re donatore, potevano anche a grado loro essere ritolti, dappoichè l'eredità fra loro non era conosciuta, tutto era fondato sulla persona. Ma tal dubbiezza di possedimenti non poteva durare se non sotto la signoria di forti monarchi, ed appena ne succedettero dei più deboli, i vassalli prevalsero, aspirando apertamente alla indipendenza. Allora furono infranti quei vincoli che gli univano al trono, e considerarono quei feudi non più come un regio benefizio, ma si piuttosto come una parte di patrimonio da potersi trasmettere in retaggio ai figliuoli. In questa guisa un regno anche vastissimo si trovò in breve ora indebolito e diviso in altrettanti piccoli principati indipendenti: e quando Carlo il Calvo con ur suo Capitolare gli ebbe dichiarati ereditarii, non vi fù più modo a retrocedere. Infatti i vassalli maggiori usurpandosi i diritti del principe, conferivano a vicenda una parte dei loro terreni ad aitre persone, come se si trattasse di cosa assolutamente propria: formando così dei feudi minori, e vieppiù siminuezzando il patrimonio dello stato, rompendo affatto il vincolo dell'unione, per precipitarsi indi nell' anarchia. Il re medesimo diventava vassallo, quando possedesse qual

che terra entro i confini del feudo di uno dei suoi sudditi, ed era tenuto a rendergii omaggio, se non in persona per ragione del grado, almeno per un rappresentante. Il popolo, vero e principal nerlo delle nazioni, scompariva, per lasciare il campo a due specie esclusive di persone, i ricchi possessori ed i servi: pertanto il re si trovava scevro di quella forza ed energia atti ad inspirare i grandi concetti ed azioni, e i nobili stessi privi di freno si laceravano tra loro senza prò colle guerre private. Siccome questi avevano tutti i diritti dei principi, e i diritti erano tanto complicati, così la guerra privata era una necessaria conseguenza del sistema. La feudalità s'impadroni in breve così d'ogni cosa, che non solo le terre, ma si infeudarono gli uffizi, le cariche, il supremo comando militare, un titolo, una concessione di caccia o pesca, e così via dicendo fino alle cose più minute o indispensabili alla vita.

Ogni vassallo era investito del feudo sotto condizione di serbare una fede incorrotta al suo signore, di prendere le armi a difesa di lui, o quando non potesse per qualsivoglia cagione, di pagare una somma, detta cavalcata ovvero ostendizia; in caso diverso era punito come traditore e decadeva dai suoi privilegi. Le armi conferivano la vera nobiltà: la codardia poteva toglierla. Oltre le tre specie di feudi generali di bandiera, di giaco, di scudo, per cui il feudatario doveva dare o venticinque uomini sottouna bandiera, o un cavaliere armato di tutto punto, o finalmente un servo armato alla leggiera, troppo lungo sarebbe ad annoverarsi in quante maniere si suddividesse poscia quest' ordine complicato di possedimenti. Secondo la diversa natura dei diritti erano chiamati ora retti, semplici o proprii, ora condizionati, ereditarii, temporarii, da rendersi o ricettabili, ora (quando l'investitura fosse data da un ecclesiastico o da un laico) ecclesiastici o secolari. La stessa investitura o cerimonia della infeudazione, come l'omaggio solito a prestarsi, ritraeva non di rado barbarici costumi, usauze bizzarre: talora portava seco privilegi stravaganti, indecenti diritti, il tutto espresso

le più volte con frasi e formole nuove, le quali pur dovevano puntualmente eseguirsi. Moltiplicate le leggi e le minuzie delle formole, nascevano insieme le frequenti usurpazioni o lesioni, discordie e contrasti interminabili, giudizj terminati col sangue, e, quando si trattasse di potenti baroni, guerre accanite e mortali.

Da questa brevissima e generale esposizione è agevole a scoprirsi, come una tale maniera di governo, anche nella sua forma più perfetta, racchiudesse innumerevoli semi di dissoluzione. Gli elementi monarchici e aristrocratici si scontravano in una lotta perpetua: i deboli costretti a rifugiarsi sotto la tutela dei potenti, moltiplicavano il numero dei servi e dei tiranni. Oltre a ciò la feudalità era dalla sua stessa natura condannata a fluttuare sempre nell' incertezza, perchè, dopo avere distrutta la potenza regia, non aveva potuto sostituirne una privata così forte da difenderne i diritti, ed una confederazione, unica via di salute, fra tanta discrepanza di elementi, non era cosa sperabile. Tuttavolta, siccome la feudalità per l'anteriore stato sociale era necessaria e indispensabile (il che è provato dal fatto stesso), così non fu senza grandi e reali vantaggi: correndo lungi dal vero tanto quelli che in essa non ravvisano se non una invidiabile ed aurea legalità, quanto gli altri i quali non saprebbero rinvenirvi fuorichè una schietta barbarie. Per essa lo schiavo antico cominciò a convertirsi in servo ovvero villano, d'ordinario malconcio sì, ma pur uomo; che se precipitò nel disordine la società, educò a più nobili sentimenti, a più dolci affezioni l'individuo; pose un termine alla furia delle migrazioni, un ostacolo alle invasioni, attaccando gli uomini alla terra, tocca loro in retaggio, e rendendoli insieme più premurosi della difesa. Sovente il castellano vedendo spopolate le sue campagne largheggiava di privilegi, indi rimasti ed ampliati fino alla conquista totale della libertà, ultima e sublime meta, a cui si voleva il lento benefizio del tempo, e l'opera d' una religione protettrice ed onnipossente, il cristianesimo, aiutato dalla Ragion. Stor. Vol. I.

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