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Atalarico

Teodato

duta dai dimonii precipitata entro i vulcani di Lipari (526).

OSTROGOTI E GRECI-526-567.

Atalarico sotto la tutela della madre Amalasunta ebbe nome di re; ma il regno fu in mano di lei, donna forte, istruita nelle lettere latine e greche, e atta alle arti del governo. Cassiodoro che ebbe gloria di non prendere parte alle ultime ingiustizie di Teodorico, e più ne avrebbe se avesse osato opporvisi, proseguì nella carica, così luminosamente occupata nel regno antecedente. Ma i Goti dispiacenti di vedere il giovine re educato alla romana, se ne richiamarono alla reggente con si amare parole, che suo malgrado dovette pure abbandonare il figliuolo alla compagnia di parecchi suoi coevi, i quali lo abbrutirono tra il vino e le donne, affrettandogli la morte.

In questo mentre (527) era salito sul trono imperiale Giustiniano, uomo che alle alte virtù dell'animo aggiunse altrettanti vizj, piuttosto ambizioso che grande, benchè il suo regno fosse assai glorioso presso i venturi, massimamente per la raccolta delle leggi da lui pubblicate in un nuovo corpo (529), per le sontuose fabbriche e le militari imprese del più grande capitano di quell' età, Belisario. Non credendo egli ancora opportuno, per la forte reggenza, di lanciarsi sull'Italia a seconda dei suoi segreti desiderii, contentandosi per allora di maneggi occulti tentò con fortunato successo la conquista dell' Affrica, usurpata da Gelimere (533), e tenne a segno i Persiani, usi da più anni ad irrompere nelle provincie dell' impero.

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Ma in Italia non tardarono a svilupparsi i primi semi delle venture disgrazie, porgendo così il destro all' ambizioso signore dell' Oriente. Tre Goti postisi a capo d'una congiura contro di Amalasunta furono d'ordine suo trucidati; dopodichè non si tenendo sicura degli altri si strinse viappiù all' imperatore ed ai Romani, anche a rischio di perdere affatto la stima ed il favore de' suoi. Quando poi Atalarico per

la vita rotta ad ogni libidine, dopo otto anni d'un oscuro regno venne a morte (534), Amalasunta non isperando di tenere sola il regno, chiamò al trono Teodato, ultimo rampollo della stirpe Amala; ma uomo in cui l'amore delle lettere non era bastato a spegnere la naturale viltà dell'animo barbaro. Seduto appena sul trono, si dichiarò di lei nemico rompendo subito la data fede alla malarrivata regina, cui fatti innanzi trucidare parecchi suoi confidenti, rilegò in una isoletta del lago di Bolsena, ove la fece di soppiatto trucidare (534). Altri asserì, ciò essere avvenuto per istigazione di Teodora Augusta, che paventando le grazie e la bellezza della regina, si togliesse così dagli occhi l'odiosa rivale.

Comunque ciò sia, che non è da fidarsi alla cieca delle parole di Procopio, adulatore nella pubblica e detrattore nella storia segreta, Giustiniano giovandosi del pretesto di vendicare Amalasunta, senza prestare orecchio alle vili proposizioni di Teodato, pensò a balzarlo dal trono, e ad impradonirsi dell'Italia. La quale impresa fu affidata a Belisario, glorioso per la recente conquista dell' Affrica e la cacciata dei Vandali.

Scortato adunque da un esercito di raccogliticci, scende nella Sicilia, si impadronisce ad un tempo di Catania e di Siracusa, e colla presa di Salerno ne termina la facile conquista (535). Mentre accadeva questo in Italia, Mundone altro generale dell' imperatore assaliva la Dalmazia, ove vincitore in sulle prime era quindi ributtato ed ucciso. Ai vili poco basta a scorarli, poco ad isperanziali contro ragione: e così appunto accadde a Teodato. Vinto da spavento alla discesa di Belisario in Sicilia, aveva mandato all' imperatore, rinunziandogli il regno a patto d' un annua rendita di mille e dugento monete d'oro; quando udito della sconfitta di Mundone, beffandosi dei patti, imprigionava i legati, mandando Ebrimuto suo genero in Calabria a Reggio per impedire la discesa di Belisario.

Questi provvedimenti non fecero che affrettare la caduta di Teodato. Ebrimuto lo tradì, ritirandosi a

Vitige

Costantinopoli, ove ebbe il grado di patrizio, e Belisario correndo da padrone la Calabria, venne sotto le mura di Napoli, sola a non romper fede, e abbandonata pochi mesi dopo ad un crudelissimo sacco. Teodato tremante in Roma, invia Vitige, valoroso generale nella Campania: ma i Goti stanchi di tante viltà, eleggendo questi a re, lo dichiararono decaduto dal trono, ordinando insieme ad un Ottari di trucidarlo, come avenne, mentre cercava d'un più sicuro rifugio nella città di Ravenna (536).

Vitige non uscito di regia stirpe, per rendere i Goti più fedeli, prese in moglie Matasunta, figliuola di Amalasunta, e venne difilato a cingere d'assedio Roma, postasi di buona voglia nelle mani di Belisario, per mutare non condizioue, ma servitù. La fame e la pochezza dei difensori non iscorò Belisario dal tener fermo, e ributtare gli assalti dell' esercito nemico, che malmenato dai disagi e dalla pestilenza, dovette finalmente ritirarsi.

Durante la fallita oppugnazione di Roma, Dazio Arcivescovo di Milano presentatosi a Belisario, aveagli chiesto un presidio per ribellare la città con tutta la Liguria ai Goti, e ripartitone con un migliajo di Traci ed Isauri capitanati da Mundila, aveva appena avuto campo a chiudersi in Milano, che Uraja, nipote di Vitige ve li strinse d'assedio innanzi che potesse vettovagliarla. Vitige istesso trattava intanto con Cosroe re dei Persiani, onde facesse una diversione nelle terre dell'impero, e di soppiatto con Teodeberto re dei Franchi, il quale lasciava partire diecimila Borgognoni, per unirsi ad Uraja alla espugnazione della misera Milano.

Una orribile carestia travagliava per sopracarico l'Italia, e si narravano spaventosi avvenimenti di madri che divorarono i loro bamboli, di gente che scannava i passaggieri per cibarsene. Milano era pur essa agli estremi, e Mundila mandava pregando a Belisario di volere ajutarli, tanto più che erano venute nuove truppe, capitanate dall' eunuco Narsete, uomo oltre la condizione suo valoroso e guerriero, ma per disavventura nemico a Belisario. Tra questi andirivieni

ed indugi, Mundila non potendo oramai più reggere alle minaccie dei suoi, capitolò la resa, salva la vita dei Greci, abbandonando Milano alla rabbia ed alla brutalità dei vincitori, che la distrussero, menando schiavi i traditi abitatori (539). Dopo questi fatti, la Liguria ritornò pressochè tutta sotto il dominio dei Goti, e Vitige ripigliando fiato, riappiccò i suoi trattati con Cosroe, il quale venne finalmente ai fatti, tentò, benchè invano, di stringere alleanza coi Longobardi, questo almeno ottenendo, di protrarre di qualche anno la propria caduta.

I diecimila Borgognoni tornati in patria ricchi delle spoglie d'Italia, accesero la cupidigia di Teodoberto, che intendendo far suo pro delle discordie dei Greci e dei Goti, calò dall' Alpi in Italia: e mentre dall'una e dall' altra parte si aspettava tremando ove si sarebbero scaricati, prima i Goti, indi i Romani provarono quanto valesse questo ajuto di Francia.

Tuttavia coteste non erano se non correrie da ladroni, le quali rovinando i popoli non decidevano della somma delle cose. Belisario però senza lasciarsi addormentare dalle trattative, ne turbar dalle accuse mosse contro di lui alla corte, in mezzo a tante difficoltà proseguiva la guerra, e stringeva a poco a poco Vitige entro le mura di Ravenna, la sola città capace ormai a reggere contro di lui.

Senonchè i Goti o fosse spavento delle armi cesaree o stanchezza di una guerra si lunga e si sventurata, avvisarono una singolare maniera di patteggiare, proponendo a Belisario di crearsi re dei Goti, tanto più che era già corsa voce, mirasse egli alla tirannide. Intanto abbindolati dalle dubbie parole di Belisario aprivano le porte (540), e Vitige colla moglie Matasunta, non che i principali della nazione, ed il ricco tesoro di Teodorico vennero a mano degli imperiali, stupiti d' una si agevole vittoria. Giustiniano, o invidia il movesse o timore dell' invasione Persiana, richiamò Belisario, che non ebbe quella volta gli onori del trionfo, benchè conducesse un re vinto ed immense ricchezze; mentre dall' altra parte i Goti così ingannati nelle loro speranze, Ragion. Stor. Vol. I.

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Ildebaldo

Erarico

Totila

in una raùnata tenuta in Pavia, eleggevano a re Ildebaldo, uomo forte avveduto, nipote a Teode signore dei Visigoti (540).

Unitosi subito al valoroso Uraja, che aveva di fresco ricusato il regno d'Italia, raccoglieva al di quà del Pò tutte le reliquie dei Goti, e rompeva Vitalio a Treviso, ristabilendo alcun poco il credito del loro valore. Al che si aggiungeva, divenire in breve il dominio greco abbominando, per le estorzioni dei ministri imperiali, e massimamente di un Alessandro Logoteta o ragioniere, uomo cresciuto in corte colle adulazioni, ed arricchito per le soperchierie usate sopra l'esercito e sul popolo. Questo avrebbe senza dubbio ajutato molto la risorgente fortuna dei Goti, se Ildebaldo istigato dalla moglie non si fosse inimicata la nazione colla uccisione del prode Uraja, e non fosse stato a vicenda egli medesimo trucidato da un Vila, Gepido di nazione; il quale vendicava ad un tempo un torto suo c la gratitudine offesa così indegnamente (541).

Una banda di Rugi, venuti già a servigio di Teodorico, cogliendo il destro dello sbalordimento dei Goti, salutavano re un Erarico loro capitano: ne avrebbonlo gli altri per avventura ricusato, quando col valore avesse risposto alle urgenze della minacciata nazione. Ma il vile, incapace di regnare, cominciò a trattar di soppiatto cogli imperiali per abbandonare ogni cosa in mano loro, accontentandosi del titolo di patrizio. I Goti avvisato il tradimento, o sfiduciati della sua viltà, non si sa ben come, il trucidarono, offerendo il regno a Baduilla, nipote di Ildebaldo, chiamato in seguito dalla grandezza delle sue imprese col nome di Totila, cioè a dire l'immortale (541).

Se v'era uomo atto a ristabilire il regno gotico in Italia, questi parea senza dubbio il nuovo re. Gli undici generali lasciati da Belisario al governo, punti dalle rampogne di Giustiniano, benchè divisi tra loro, tentarono la presa di Verona, e ne furono vergognosamente ributtati. Totila però che non si era ancor mosso, non pago di questo primo vantaggio,

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