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AVVERTIMENTO

DELL' AUTORE.

L'esperienza di parecchi anni nei quali presi a spiegare alla distesa la Divina Commedia ai giovani alunni di Rettorica, mi suggerì il primo pensiero di questa operetta.-Per trasportarli d' un tratto dalli d'un studii classici della Grecia e di Roma alla lettura della grande opera dell' Alighieri, si vuole una lunga preparazione, assai difficile a farsi chiaramente a parole, ossia perchè ignorano quasi del tutto la storia, ossia perchè ne conoscono i precipui fatti senza legamento, e a modo di novella.

Ho voluto tanto agli uni quanto agli altri provvedere, studiandomi di dare a quelli un esatta idea dei più notevoli avvenimenti che precedettero l'epoca di Dante, ed ordinando per questi i fatti in modo che potessero ritrar buon frutto dalle antecedenti cognizioni quà e là acquistate. Ancora, mi sono adoperato in guisa, che all'uopo potesse servire d' introduzione allo studio della storia tanto civile quanto letteraria dell'Italia, spiegando dinanzi agli occhi loro, benchè in iscorcio, per la natura stessa dell' opera, come in un gran quadro, tutti i principali fatti, e le ragioni che li produssero, e le conseguenze o buone o triste che siano. In vista di ciò, spero, che niuno vorrà incolparmi d' avere prese le mosse così da lungi, imperocchè io non doveva soltanto, come parrebbe conveniente, ragionare in genere del secolo di Dante, supponendo gli antecedenti abbastanza noti, ma partire dalla caduta dell'impero romano, ordinario limite delle cognizioni storiche dei giovani alunni.

Tale è la natura di questo scritto, che m'induco a pubblicare, non senza grave incertezza d'animo trattandosi d'un argomento a cui dei giorni nostri posero mano i più alti ingegni e i più profondi pensatori. Mi sono giovato però e liberamente delle fatiche di tutti, almeno di quanti me ne vennero a mano, non citando mai le fonti a cui attingeva, se non allorquando mi venisse in acconcio di riportarne le precise parole. I più intelligenti, i quali si compiacessero per avventura di leggere, sapranno di leggieri discernere a quali autorità io mi sia appoggiato per gli altri la maggior parte delle citazioni riescono un inutile ingombro, e non sogliono ricavarne utilità di sorta. Per quelli la mia operetta po-. trà servire come d'un facile richiamo, per questi spero, sarà preparazione a studii maggiori e più profondi.

RAGIONAMENTO STORICO

SULL' ITALIA ·

NEL MEDIO EVO.

S I.

Principali cagioni della decadenza
dell' impero Romano.

La lunga e travagliata agonia del vasto impero di Roma si chiude coi delitti, col sangue e con devastazioni così spaventose, che a foggia di quelli antichi cataclismi memorati nelle tradizioni dei popoli primitivi, cangiarono da capo a fondo l'aspetto delÎ'Europa. Ben poche di quelle prime istituzioni, di quelle norme di politica che guidarono i romani alla signoria del mondo allora conosciuto, galleggiarono a fior d' onda, e giunsero sino a noi, comechè la rimembranza di quei grandi uomini, cui abbiamo fin dalla fanciullezza imparato a conoscere e a nominare con una certa venerazione, ci induca di leggieri a dimenticare i patimenti e le lagrime dei conquistati, la durezza e la soperchieria dei conquistatori. I vizj stessi più abbominevoli, il più sfrenato dispotismo, travisati dalla splendida luce d' una potenza che affascina e sorprende la nostra immaginazione, perdono, o per meglio dire, nascondono ai nostri occhi una parte della loro naturale bruttezza.

Questi vizj però, che cominciarono da prima a roderne le fondamenta, come si vennero sviluppan

Governo

do a danno di ogni parte più vitale, la condussero in breve a tali estremi che sarebbe da per se stessa venuta meno anche senza il concorso delle altre e moltiplici cagioni, che ne affrettarono la rovina. Un governo arbitrario e dispotico, dopo il necessario ed inevitabile ripudio della invilita libertà, una milizia corrotta e senza nerbo, una religione senza morale, impotente ed invecchiata, sfasciavano l'impero; i barbari poi armati della spada di Dio, rompevano quindi d'un colpo le membra di questo gigante consumato da una lenta ed immedicabile febbre.

Benchè sia nostra mente di presentare solo un rapido quadro delle nuove società sorte in Italia dalle rovine dell' antica, cionondimeno crediamo opportuno e necessario di annoverare le cause principali della caduta di questa, per conoscere più addentro e più sicuramente l'ordine e la ragione di quelle.

Mentre una moderata e prudente monarchia avrebbe se non potuto mettere in salvo, almeno conservare più a lungo il retaggio immenso legato dalla repubblica all' impero, il dispotismo dei Cesari rovesciò ogni antica istituzione, senza avere la forza e l'ingegno di edificarne una nuova. Il desiderio di un sol uomo, talvolta il capriccio di un fanciullo, più sovente ancora il mal talento di un tiranno, prevalsero alla sperimentata sapienza dei secoli, a quelle leggi che aveano reso tanto potente il nome dei romani, e ai voti di milioni di uomini gementi nell' oppressione. Distrutti i più solidi fondamenti, la giurisprudenza si convertì in un vano nome: tutto venne foggiato a norma del volere dei diversi principi, e quindi un ondeggiamento perpetuo, un ignoranza volontaria d'ogni maniera di consuetudini e costituzioni, quanto favorevole alla perversità dei regnanti, altrettanto perniciosa ed esiziale ai sommessi. Qualche breve intervallo di domestica pace e tranquillità, che non da nuovo ordinamento di cose, ma si dalla men rea volontà del principe procedeva, avea sembianza di un momento di respiro conceduto a due combattenti, onde prepararsi a nuove scene più sanguinose, ed a più grandi travagli.

Sotto il governo della famiglia Giulia, in cui vivevano ancora, comechè deboli, le rimembranze della caduta repubblica, epperò avanzava tuttavia negli animi una certa elevatezza di pensieri, la guerra e la persecuzione dei principi si scagliò furiosa sopra i grandi e i facoltosi; del resto le provincie, da essi non mai o di rado visitate, fiorirono nella pace, e l'esercito pagato largamente si mantenne quasi sempre fedele. Le arti e la filosofia che distinsero l'impero dei Flavii, non bastarono a ravvivarlo di pubbliche virtù e di segnalati caratteri di uomini.—Ma quando poi la sovranità passò a mano della soldatesca, e la mancanza di una legge stabile di successione trasse seco l'anarchia militare: quando l' impero, verificando la profezia di Giugurta, ebbe trovato un compratore, le legioni venute a cozzo colle legioni, in guerre terribili ed inutili a vicenda si distrussero il bisogno di milizie fece assoldare gli stranieri, alle cui mani fu affidata a poco a poco la difesa e insieme la signoria dell' impero. Finalmente la divisione immaginata da Dioclesiano, quantunqe paresse e fosse necessaria alla miseria dei tempi, terminò col armare gli uni contro gli altri i Cesari, mostrando i primi più visibili segni di una imminente dissoluzione.

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Le largizioni o distribuzioni fatte dagli imperatori per mantenere la plebe, ne avevano intorpidito lo spirito, e reso indifferente a questa perpetua vicenda di regnanti di un momento. La caduta come l'innalzamento di uno di essi non era oramai più d'una festa popolare, e lo sterminio d' una legione non più d'un sanguinoso gioco del Circo. Pane e Circensi era l'unico desiderio della plebe: e mentre le città venivano ad una ad una saccheggiate e incenerite dai barbari, senza che se ne movesse un lamento, gli abitanti di Tessalonica trucidavano in una sommossa il governatore per avere fatto imprigionare uno dei favoriti cocchieri. Le campagne peggio difese erano disertate, mentre le città rigurgitavano di abitanti e di oziosi, che pur voleano in qualche modo essere pasciuti : laonde questo nuovo flagello accrescendo a più doppi

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