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Ch' io solva il mio dovere anzi ch'i' muova;
Giustizia vuole e pietà mi ritiene.

Maestro del grave stile conveniente alla tragedia, tentò eziandio il comico in quelle scene tra i diavoli, nella bolgia dei barattieri. Verso proprio e universale in Italia per la commedia non esiste, dacchè non parve sortire buon esito lo sdrucciolo usato da molti degli antichi e particolarmente dall' Ariosto: e l'alessandrino del Martelli e del Goldoni ritiene molto d'una certa cantilena a lungo andare nojosa. Forse si vorrebbe nei versi quella particolare giacitura, di cui abbiamo un bell' esempio nel passo succitato. Maestro Adamo falsatore di monete, e Sinone, il greco traditore, si rinfacciano a vicenda i proprii peccati, e la bruttezza della pena, facendo a pugni.

M. ADAMO.

ancor che mi sia tolto

Lo muover, per le membra che sou gravi;
Ho io il braccio a tal mestier disciolto.

SINONE.

Quando tu andavi

Al fuoco, non l'avei tu così presto:

Ma sì e più l'avei quando coniavi.

M. ADAMO.

Tu di ver di questo;

Ma tu non fosti si ver testimonio
La 've del ver fosti a Troja richiesto.

SINONE.

S'io dissi il falso, e tu falsasti il conio,

e son qui per un fallo
E tu per più che alcun altro dimonio.
M. ADAMO.

Ricorditi spergiuro del cavallo,

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SINONE.

A te sia rea la sete onde ti crepa

la lingua; e l'acqua marcia, Che'l ventre innanzi gli occhi ti s'assiepa. M. ADAMO.

così si squarcia

La bocca tua per dir mal, come suole.
Che s' io ho sete, e umor mi rinfarcia,
Tu hai l'arsura, e 'l capo che ti duole:
E per leccar lo specchio di Narcisso,
Non vorresti a 'nvitar molte parole.

Dopo le brevi e generali riflessioni suggeritemi così via via dalla esposizione stessa, non mi resta se non a volgermi direttamente a voi, o giovani, per cui ho intrapresa questa qualunque siasi fatica, si per amore da me portato all'altissimo poeta, e si ancora per agevolarne a voi in qualche modo l'intelligenza: affinchè possiate gustarne meglio le bellezze, e formarne il vostro autore prediletto. Abbiamo battuta una lunga via, e forse soverchia per chi conosca la storia, non già per la maggior parte, i quali sanno i fatti della Grecia e di Roma e pochissimo quelli della patria. Lo studio di Dante non può andare disgiunto da quello della storia dell' età sua, la quale per la moltiplicità degli avvenimenti, la novità degli stati, la diversità delle leggi, usi e costumanze, voleva essere considerata nei suoi più remoti principii. Quand' altro non fosse, spero, che la prima parte di questa operetta, potrà in breve richiamare alla memoria vostra i fatti altrove letti più in disteso, o darne un idea bastantemente chiara a chi ne fosse ancora digiuno. La seconda può schiudervi la via o servire di prefazione alla storia della letteratura italiana, incominciata appunto così gloriosamante coll' Alighieri.

Che se io avrò potute inspirarvi alcun poco di quell' affetto dovuto al più grande degli scrittori italiani, crederò d' avere ottenuto assai, certo per una parte esser egli tale, che a misura si studia ne cresce il desiderio, e per l'altra d'avervi avviati

per un cammino sicuro. In quella guisa cha l'appetire e digerire cibi sani e forti è segno d'una robusta e ben naturata complessione, così lo studio e l'amore pei grandi accenna ad una buona educaziozione, e da speranze ben fondate per l'avvenire. Nelle belle lettere più assai che nelle altre scienze è mestieri tener quella massima: molti dei libri doversi correre a brani, altri come per ricreazione, pochi aversi giorno e notte alla mano. Dissi più che nelle altre scienze, perocchè se la materia abbanda anche di soverchio, i buoni sono pochissimi e rari. Alfieri, esempio illustre di forti ed ostinati studi, diceva di imparare più dai difetti dell' Alighieri, che dalle bellezze degli altri. Le fatiche degli scrittori, qualunque esse siano, si vogliono pregiare: a maestri però scegliete i più sicuri, non vi lasciando trascinare all' esca della novità, solo perchè punge maggiormente la nostra curiosità. Se la poesia, e in generale lo studio delle umane lettere, non si avesse a considerare se non come una onesta ricreazione, il difetto potrebbe parere più degno di scusa; ma il bello deve essere sprone e guida al buono ed all' utile, o altrimenti dovremmo pentirci d'avere speso gran parte della nostra gioventù in una occupazione, la quale giovava solo a rendere men gravi le ore dell' ozio.

Quanto all' Alighieri, per tornare al nostro argomento, non fate a modo di quelli svogliati che si spaventano alla prima difficoltà, che gettano un libro appena abbiano a durare un po' di fatica: o come altri i quali si contentavano di leggicchiare la Francesca e il Conte Ugolino, grandi e perfetti modelli di poesia, ma pareggiati se non vinti da molte altre bellezze, sparse a piena mano nelle divine tre Cantiche, a cui si applicherebbero bene per epigrafe quei versi detti da Cacciaguida ad incoraggiamento dell' immortale nipote:

Che, se la voce tua sarà molesta

Nel primo gusto, vital nutrimento
Lascerà poi quando sarà digesta.

APPENDICE PRIMA.

Quando

uando un opera per la originalità dell' invenzione, per la grandezza dei concetti e la perfezione dello stile, ha destato in tutti la maraviglia, sono ben naturali alla' curiosità degli uomini, non di rado anche alla vanità, le minute ricerche del luogo, del tempo e dei fonti a cui per avventura il poeta attingesse. Per altro questo non avviene senza qualche vantaggio dell' arte, sì perchè quanto appartiene ai grandi monumenti dell' ingegno umano può essere volto ad ammaestramento dei venturi, e sì ancora perchè tali ricerche giovano in qualche modo a rivelarne l'indole, l'andamento e lo scopo. E siccome di ciò non volemmo accennare se non leggermente nel corpo della nostra operetta, come cosa non rilevante pel merito intrinseco del poema, e come troppo lunga al nostro proposito, così abbiam creduto di toccarne qui a modo di appendice, dando un estratto della famosa Visione del Monaco Alberico, onde potesse ai giovani servire d'una norma a giudicare del rimanente. Tuttavia non è questa la sola; molte altre ne esistono di simil natura, dalle quali l'Alighieri, può avere attinte alcune immagini: ma essa basta però al nostro scopo. Chi bramasse avere qualche notizia di più del Ciclo Poetico a cui appartiene la Divina Commedia, e delle grandi visioni, narrate nelle leggende di quel tempo, come sarebbero il Purgatorio di S. Patrizio, la Discesa di S. Paolo all' Inferno, il Canto del Sole, il Viaggio di S. Brendano, ecc. può consultare i documenti inseriti nell'ultima parte della bella opera dell' Ozanam-Dante e la Filosofia cattolica nel tredicesimo secolo.

ESTRATTO

DELLA VISIONE DEL MONACO ALBERICO.

Alberico, giovinetto in sui dieci anni, preso da una gravissima malattia di languore, andò fuor dei sensi, ed ebbe la seguente maravigliosa visione.

ין

E' gli parea d' essere portato via da un aquila in luogo sublime, ove a lui appariva l' Apostolo S. Pietro in mezzi a due Angeli, chiamati uno Emanuel e l'altro Helos, i quali conducendolo, cominciarono a fargli vedere i luoghi delle pene e dell' inferno.

I. Nel primo luogo, ardente d'ignei vapori, erano puniti i fanciulli d'un anno; imperocchè S. Pietro gli dice, che innanzi sono i minori e poscia i maggiori castighi: ita est enim de poenarum qualitatibus, sicut de hominis aetate, eademque in eis ratio consideranda est.

II. Una valle terribile tutta ghiacciata è destinata al supplizio degli adulteri, incestuosi, stupratori, e così via dicendo di altri peccatori carnali, stretti dal ghiaccio e malconci dall' acutezza del freddo. Multos in eis vidi (dice il Monaco) usque ad talos demergi, alios usque ad genua, vel femora, alios usque ad pectus juxta peccatorum videlicet modum.

III. Nella terza valle sono punite le donne che non ebbero pietà per gli orfanelli, lasciandoli miseramente perire, e le adultere che macchiarono il letto maritale. La pittura del castigo è spaventosa. In aliam vallem nimis terribiliorem deveni, plenam subtilissimis arboribus in modum hastarum sexaginta brachiorum longitudinem habentibus, quarum omnium capita, ac si sudes acutissima erant et spinosa; in quibus vidi transfixis uberibus mulieres dependentes, et uniuscujusque illarum mamillas duo serpentes ebibebant.

IV. Una scala ferrea di trecento sessanta cinque cubiti di altezza tutta infuocata, al di cui piede è un gran vaso di olio, pece e resina bollente, è il supplizio serbato ai poci casti mariti, costretti ad a

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