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scendere e discendere per lo lungo di essa. Ove si lasciassero cadere pel tormento soverchio dai gradini igniti, piombavano nel gran vaso.

V. In una fornace sulfurea ardono i tiranni e le donne assai crudeli per uccidere i loro proprii figliuoli prima che uscissero alla luce. I fanciulli uccisi stanno lor dinanzi e dicono: Vos vestris impietatibus vitam nobis et salutem ferentes, ad christianitatem venire non sivistis. Però è da osservarsi che queste forme di bambini sono altrettanti demonii.

VI. Gli omicidi sono puniti in un lago di sangue bollente; ma innanzi di piombarvi entro per intero, devono portar per tre anni sospeso un demonio, che ha figura dell' uomo ucciso da loro.

VII. In un vaso in cui ribolle piombo, stagno e bronzo liquefatto si crucciano i Vescovi, Patroni e sudditi delle Chiese, i quali tollerano un sacerdote immondo di gravi peccati e scomunicato, anzi ne pigliano le difese e lo sostengono contro l'autorità. Questo vaso ha dall' un dei capi un immane

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vallo di fuoco, e dall' altro uno sportello, ove sono introdotti i peccatori. Omnes autem, qui hic inciderint, non aliter egrediuntur, nisi traijciantur in ventrem equi, sicque per ejus terga exeant.

VIII. Alberico è condotto dalla sua guida al Tartaro, ove in mezzo alla folta tenebria soffrono le anime dei più gran peccatori. La descrizione di questo luogo e del suo custode è degna di essere riferita. Ad os infernalis barathri deductus sum, qui similis videbatur puteo; loca vero eadem horridis tenebris, foetoribus exalantibus, stridoribus quoque, et nimüs plena erant ejulatibus ; juxta quam infernum Vermis erat infinitae magnitudinis ante os ipsius vermis animarum stabat multitudo, quas oinnes quasi muscas simul absorbebat, ita ut cum flatum traheret, omnes simul deglutiret: cum flatum emitteret, omnes in favillarum modum rejiceret exustas.

IX. I sacrilegi ardono in un lago rosseggiante di metallo liquefatto.

X. In un pozzo ardente i simoniaci.

XI. Ai sacerdoti e monaci apostati, ai disperati

del perdono è destinato un luogo horridum, tenebrosum, foetoribus exalantibus, flammis crepitantibus, serpentibus, draconibus . . . . ejulatibus etc.

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XII. Una quasi ugual pena è riserbata ai detratori. I colpevoli sono immersi in un lago di zolfo, pieno di serpenti e di scorpioni. Stabant vero ibi, prosegue l'autore, et daemones serpentes tenentes et ora vultus et capita hominum cum iisdem serpentibus percutientes. Oltre a ciò eranvi due demoni sotto forma d'un cane e d'un leone, che col ardore e la veemenza del fiato incalzavano le anime in mezzo ai tormenti.

XIII. In questo mezzo viene veduto ad Alberico un uccello di maravigliosa grandezza, il quale lanciando un monaco entro il lago, poscia ne lo ritrasse, anche coll' ajuto di S. Pietro. Epperò il fanciullo Alberico abbandonato un momento, e côlto in mezzo dai diavoli, corse un gran pericolo. Questo passo ne recherà di leggieri alla mente uno di Dante. Unus ex illis tartareis ministris horridis, hispidis, aspectuque procerus, festinus adveniens, me impellere, et, ut quomodo cumque nocere conabatur; tunc ecce Apostolus accurrens, meque subito arripiens, in quemdam locum gloriosae projecit visionis.

XIV. Presso questo medesimo luogo vide ancora il supplizio dei ladri, stretti da catene così pesanti ed infiammate, che non hanno modo di rilevarsi comecchessia.

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XV. Non lungi avvi l' igneo lago del Purgatorio, cui è sovrapposto un ponte di ferro, pel quale (passano di leggieri l'anime dei giusti, chiamati al gaudio del Cielo. Ma i colpevoli, siccome 'l trovano angustissimo, così sono costretti a cadere ed ardere finoachè non abbiano purgata ogni labe, e siano fatti degni di venire a luogo migliore.

XVI. L' Apostolo in questo luogo insegna ad Alberico non doversi mai disperare della misericordia di Dio, e a tal proposito narra la parabola d'un cavaliere convertito e salvo per un suo buono atto di pentimento.

XVII. Ragionando di tai cose Alberico entra colla

sua guida in un vastissimo campo, tutto seminato di spine. Le anime che ivi entrano, sono costrette a camminare e dilacerarsi, essendo perseguite da un demonio a cavallo, il quale le batte con dei serpi a modo di flagello. A misura però che esse sono in tal guisa martoriate, si espiano le colpe loro e diventano si leggiere al corso, che giungono a riparare in un altro campo, splendido, soave e decoroso, giusta l'espressione del testo. Ciascuno rammenterà la vetta del Purgatorio Dantesco. In hujus campi medio Paradisus est, in quem justorum animae usque ad judicii diem intrare nequeunt, sed in illo campo circumque requiescunt.

XVIII. L' Apostolo S. Pietro spiega quivi la natura del luogo e la gloria dei giusti, massimamente di S. Benedetto, che va a ragione per le virtù sue innanzi a tutti gli altri. La memoria di questo Santo apre all' Apostolo la via di parlare dei monaci, anch' essi gloriosi per la umiltà loro e l'abbandono delle speranze terrene. Ma un monaco per essere sollevato a si alto grado vuole mostrarsi paziente delle ingiurie, dedito all' obbedienza e non mai superbo delle sue virtù, imperocchè questa compiacenza porta seco la tiepidezza, come se altri avesse già fatto quanto basta a salvarsi. Oltreacciò il buon monaco vuole essere laborioso, casto, inimico della propria volontà e amatore di Dio; in questa guisa egli è fatto meritevole della corona dei martiri. Ma e' non devono stancarsi giammai di correre innanzi, se pur amano di udirsi chiamare dal divin Giudice con quelle parole: Venite, benedicti Patris mei, percipite regnum.

XIX. Dopo di ciò ricomincia la visione, e Alberico riconosce l'albero della vita, custodito dai Cherubini, e vede un letto ornato di splendidissimi arazzi, ove giaceva una persona, guardata da due sacerdoti, di cui gli è però proibito scoprire il nome. L' Apostolo spiega a lui la natura dei tre peccati, gola, cupidigia e superbia, i quali maggiormente concorrono alla rovina spirituale delle anime.

XX. Guidato dalla colomba e dall' Apostolo com

pagno, il giovine Alberico comincia il suo viaggio pel cielo, ordinato secondo il sistema di Tolomeo. Nel primo v' ha la stella meridiana e al di sopra la luna; nel secondo, detto etereo, v' ha quella di Marte; nel terzo, o sidereo, la stella di Mercurio ; nel quarto chiamato Orleon, il sole; nel quinto l'astro di Giove, e pertanto da lui detto Junion; nel sesto, Venustion, v' ha la stella di Venere; nel settimo, Anapecon, quella di Saturno. Essa, giusta la dottrina del giovine, da la luce e il calore al sole; ivi è il trono di Dio, guardato da immense schiere di Cherubini.

XXI. Nel sesto cielo godono i Cori dei Santi Angeli, Arcangeli, Patriarchi, Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori e Vergini, intenti a lodare perpetuamente il Signore.

XXII. In seguito è dalla colomba condotto presso una città d'altissime mura (forse Gerusalemme), e lungo cinquantuna provincia, cui nomina ad una ad una, per venerarvi le Chiese e i Santuarii più famosi. In una di esse provincie egli vede una città affatto deserta, fuori la Chiesa, dinanzi a cui gli abitatori flagellati da molti demonii, scontano la pena d'aver condotta una vita malvagia, senza ottener mai rifugio in essa, comechè ne facciano di molti tentativi. Nella Galazia poi vede una Chiesa misteriosa, ove è una grandissima immagine del Crocefisso, sempre piangente: perocchè i peccati degli uomini erano cresciuti a dismisura.

XXIII. Qui termina propriamente la visione; S. Pietro, di cui è descritta minntamente la figura, fa mangiare ad Alberico una carta di maravigliosa grandezza, ordinandogli di offerire al suo altare ogni anno un cereo lungo quanto la propria statura. L'Apostolo gli restituisce miracolosamente la salute, mentre la madre già lo piangeva per morto; ond' egli riconoscente di tanto beneficio, si reca a Monte Cassino e veste l'abito di S. Benedetto.

APPENDICE SECONDA (1).

DELLA RIVERENZA CHE DANTE ALIGHIERI PORTO' ALLA AUTORITÀ PONTIFICIA.

DISCORSO

DEL P. G. B. GIULIANI C. R. S.

Dura, gravissima, incomportabile cosa egli è, Si

gnori prestantissimi, che ne' moderni tempi in cui tanto vien sollevandosi onorato il nome e dilatandosi fervente lo studio di Dante, v' abbia ancora in taluni il malvagio ardimento di oltraggiarlo in quello che a lui fu massimamente diletto e riverito, cioè la Religione. Che i seguaci dell' insolente Lutero cercando sostegno alle mal ferme loro dottrine torcano le parole del gran poeta alla peggior sentenza, non fa maraviglia: ma grandemente è a stupire, che uomini nati e cresciuti in grembo alla Fede cattolica, ed illustri per molte lettere e, lo dico o il taccio? che

(1) Della sincera religione dell'Alighieri ho toccato in parecchi luoghi dell' opera: tuttavia, siccome è cosa tanto importante, e da fermarsi bene nella mente dei giovani, così sono entrato in pensiero di aggiungere una seconda Appendice. A quest' uopo mi venne in acconcio il presente erudito ed elegante discorso, fornitomi dalla gentilezza del P. Giuliani, di cui ho altrove avuto luogo di accennar con onore, come d'uomo studiosissimo delle opere di Dante. In quella che gliene rendo qui pubbliche grazie come meglio so e posso, lo pregherò anche a perdonarmi se per amore di brevità ha dovuto sopprimere alcune delle note.

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