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terra, più celebre degli altri per il suo coraggio militare e le avventure a lui attribuite: e così via dicendo di molti altri Signori di minor conto. Ma però niun' di essi si scevera dalla turba fuorichè per Ì'altezza del grado; anzi, a dir vero, fra questa turba di poeti, comechè assai grande, non ci vien fatto di incontrare un noine sorgente di lunga tratta dalla schiera volgare, se per avventura ne togli quei pochi, eternati nelle cantiche di Dante e del Petrarca, o implicati nei politici avvenimenti dell' età loro. Fra questi vuol essere ricordato Sordello Mantovano, assai famoso per i suoi versi, e più ancora pel valor personale e magnanimi sentimenti, i quali à lui fruttarono un largo encomio dall' Alighieri. Quantunque non si voglia far gran caso delle fole narrate sul di lui conto, pure rivelano abbastanza la fama in cui si era levato, e l'altezza del suo carattere. Dante finge di trovarlo in Purgatorio, e a lui fa chiedere da Virgilio la via più tosta per giungere alla vetta:

Venimmo a lei: o anima lombarda

Come ti stavi altera e disdegnosa,

E nel muover degli occhi onesta e tarda. Ella non ci diceva alcuna cosa;

Ma lasciavane gir solo guardando

A guisa di leon quando si posa.

Di nostro paese e della vita

Ci chiese e il dolce duca incominciava Mantova....e l'ombra tutta in se romita Sorse ver lui dal loco ove pria stava

Dicendo; o Mentovano, son Sordello

Della tua patria: e l'un l'altro abbracciava. Folco o Folchetto da Marsiglia, ma genovese di patria, come dice Dante, che gli pone in bocca queste parole:

Di quella valle fu' io littorano,

Tra Ebro e Macra, che per

cammin corto

Lo Genovese parte dal Toscano,

divenne per un suo amore in Adelasia, poeta, indi monaco, e finalmente Vescovo di Tolosa. Egli deve

però tutta la sua rinomanza alle rime assai ammirate in quelle età. Uguale lode e forse maggiore ottenne Arnaldo Daniello, considerato dall' Alighieri come il più gajo e terso scrittore nella sua lingua: testimonianza, cui si piacque confermare nella cantica del Purgatorio, ove rivolge a lui alcune terzine in provenzale, quasi per rendere onore a quella lingua da lui con tanto successo coltivata.

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Famoso sopra ogni altro, se non pel merito letterario almeno per la bizzarria del suo carattere, fu Pietro Vidal Tolosano, il quale avendo sposato una donna greca in Cipro, si immaginò ad un tratto di avere delle giuste pretensioni all' impero di Costantinopoli, e volle assumere il nome d'imperatore vivendo assai sottilmente, per avere in pronto quandochessia una larga somma, e far valere le proprie ragioni. Tuttavia il linguaggio delle sue poesie è di ordinario nobile più di quello non si attenderebbe da un pazzo di tal fatta; e talvolta abbandona l'argomento più comune ai Trovatori, per dare dei savi precetti di morale, ed avveduti consigli, onde rigenerare per mezzo della poesia i corrotti costumi di quel tempo.

Beltram del Bornio, messo da Dante fra i seminatori di scismi e di scandali, fu ragguardevole poeta e guerriero, benchè di entrambe queste doti usasse solo a soddisfacimento del suo genio maligno e battagliero.« Altri, grida in una delle sue sirvente, abbellino, se così piace loro, le case, si procurino gli agi della vita; per me ragunar lancie, elmi e spade, sarà l'unico pensiero.... Altri mi chiama avventato se ricuso la pace; ma se la volessi, qual non a

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vrebbe diritto di tacciarmi di codardia? » Mosso da questo pensiero suscitò guerre ovunque gli venve fatto, passando di pericolo in pericolo, senza curarsi di cercare per chi e come combattesse: spingendo il padre e il figlio a guerra civile in Inghil terra, e turbando i vicini colle sue scorrerie. Dante ci rappresenta costui nella seguente maniera:

Io vidi certo, e ancor mi par ch'io'l veggia
Un busto senza capo andar; siccome

Andavan gli altri della triste greggia.
El capo tronco tenea per le chiome
Pesol con man, a guisa di lanterna,
E quei mirava noi, e dicea, O me.

Or vedi la pena molesta

Tu che spirando vai veggendo i morti:
Vedi se alcuna è grande come questa.
E perchè tu di me novelle porti;

Sappi ch'io son Beltram del Bornio, quelli
Che al re giovane diedi i ma' conforti.
Io feci il padre e il figlio in se ribelli:
Achitofel non fe' più d' Assalonne

E di David co' malvagi punzelli.

Ai pochi nomi qui accennati se ne potrebbero aggiungere infiniti altri, come il valoroso Rambaldo di Vaqueiras, il guerriero della terza Crociata, Pietro Cardinale, nominato poco sopra, Arnaldo di Merveil ecc. di cui tacciamo per amore di brevità. Alcune osservazioni con cui chiuderemo questo articolo possono tornar più in acconcio al proposito nostro, d' una nuda enmerazione, senza quelle particolarità, le quali potrebbero rendere sì interessante il racconto, ma non pajono confacenti alla natura di questo scritto.

L'epoca dei trovatori così splendida e così breve, la gloria da loro acquistata così universale ed oggidì dimenticata, tanto da non rimanerne se non poche traccie, rese incerte per soprappiù da innumerevoli favole incorporate ai fatti veri, presentano un fenomeno di nuova foggia nella storia della letteratura. Molte cause contribuirono all' esaltamento dei Provenzali, fra le quali (per toccare delle principali ) voglionsi particolarmente annoverare la fermezza del governo della Provenza, ordinato nel 879 da Bosone primo re di Arles, e terminato nel 1092 in Gilberto, il quale non ebbe eredi se non le due figliuole, sposate una al Conte di Tolosa, e l'altra a quello di Barcellona. Mentre gli altri nuovi stati ondeggiavano ancora tra le mani di principi diversi, ed erano ben lungi dal presentare quella fermezza voluta a rasicurare gli animi, a far prosperare il commercio e in

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sieme tutte le altre arti della pace, la Provenza sola ottenne innanzi a tutti questi vantaggi, e ne ebbe anche più per tempo a provare i giovevoli effetti. Gli eredi stessi di Gilberto, mentre pareva avessero a distruggere quell' ordine da si lungo tempo durato, e turbarono infatto; non solo non recarono mento alla letteratura provenzale, ma le giovarono assai, aggiungendo a quel gusto naturale, l'eleganza e la finezza, sviluppata tra di essi dal contatto degli Arabi, venuti già di questo tempo ad alto grado di civiltà. Allora pertanto si perfezionarono quelle naturali disposizioni, aumentando il corredo delle idee così limitato fra loro per la lunga notte dell' ignoranza trascorsa. A questo si potrebbe aggiungere l' indole cavalleresca dell' età, la quale presso le nazioni men dirozzate, avanzò solamente le arti della guerra; ma nella Provenza fece ambire eziandio una gloria d'un genere affatto diverso; e finalmente, come fu detto più sopra, la protezione ed il favore dei Principi, i quali ebbero carissimi i Trovatori, e gli incoraggiarono colla imitazione, coi donativi e colle lodi.

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Senonchè a lungo andare quella vita errante dissipata, alimentata dalle larghezze dei Signori, produsse due principalissimi e perniziosi effetti, bastanti a tenere perpetuamente nell' infanzia questa letteratura, ed a convertire la poesia in un arte codarda di adulazione e di venalità. La lingua si perfezionò quanto per un lungo uso naturalmente da se poteva, ma senza l'ajuto d' altri studi non ebbe modo di progredire: i concetti si ristrinsero in una certa e determinata periferia, oltre la quale erano folte tenebre di ignoranza. D'altra parte i Trovatori medesimi, anche nell' epoca della loro gloria maggiore, cominciarono ad avvisare al pericolo di avvilire la poesia colle adulazioni: e già ne compiangevano gli abusi, querelandosi perchè da molti fosse volta in buffoneria un arte destinata ad eccitare l'amor della gloria, e ad avanzare la civiltà. I giullari anche più ignoranti dei trovatori, si accontentarono dei loro usati lazzi per ricreare le brigate: divennero pertanto

ispregevoli agli occhi di quelli spettatori medesimi i quali pure applaudivano; e a poco a poco fecero cadere una parte del loro avvilimento anche sulla fronte dei trovatori, cangiando un nome in sulle prime onorato, in un oggetto di riso e di contumelia. Si aggiungano i rotti costumi dei più, la impudenza dei modi, e la improntitudine insopportabile nel chiedere, e nel lacerare chi si fosse mostrato per avventura men largo nei donativi, quando anche ciò facesse per consacrare a pro' dei popoli le ricchezze mal isprecate in feste e corti d'amore.

In questo mezzo sopravenne la guerra degli Albigesi, guerreggiata da una parte con una ostinazione funesta, con una grande vivezza dall' altra, come cosa fondamentale nel fatto della religione, messa a repentaglio dai traviamenti di questi eretici. I trovatori si tennero necessariamente al partito dei principi sostenitori dell' eresia, come quelli che da loro riconoscevano l'esistenza e il largo vivere, non risparmiando invettive scandalose, e racconti osceni a carico dei Sacerdoti e dei Pontefici. Quindi al degradamento troppo manifesto per le cagioni enumerate, si aggiunse l'odio e l'abbominazione dei buoni, da cui furono tenuti come difensori dell' eresia.

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D'altra parte la calata e la dominazione di Carlo d'Angiò in Italia, traendo colà il fior dei Principi, spogliò la Provenza in quella appunto che la lingua italiana cominciava a formarsi, tantochè l'amor delle lettere nel Principe vincitore di Manfredi, alimentato a spese della lingua provenzale in favor della nuova. Così viceversa, il dominio degli Italiani in Provenza, e specialmente poi la traslocazione della Corte pontificia in Avignone,

de l'ultimo crollo ai trovatori; ed il Petrarca scrivendo il suo canzoniere in quella terra, facendo la corte ad una Provenzale, non si permise giammai di usarne comechessia la lingua, benchè non isdegnasse pigliarne ad imprestito molte frasi, e la maggior parte dei metri.

Forse, quando sorto fosse tra di essi un genio potente e creatore come quello dell' Alighieri, sarebbe

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