Sayfadaki görseller
PDF
ePub

stituita a regina del mondo, non per la forza, ma pel volere del clelo, avendola appunto ordinata a sede di cotesta monarchia. Del resto quanto alla nobiltà, egli sostiene non da ricchezze e natali, sibbene da virtù originarsi. Determinata così la vera idea della nobiltà, segue esaminando quali virtù si vengano a ciascuna delle quattro età, cioè adolescenza, gioventute, senettute e senio, le quali egli paragona ad un arco che monta e discende altrettanto.

[ocr errors]

Là dove sia il punto sommo di quest' arco è forte da sapere; ma nelli più io credo tra 'l trentesimo e 'l quarantesimo anno e io credo che nelli perfettamente naturati esso ne sia nel trentacinquesimo anno. E muovemi questa ragione, che ottimamente naturato fue il nostro Salvatore Cristo, il quale volle morire nel trentaquattresimo anno della sua etade; chè non era convenevole la Divinità stare così in dicrescione: ne da credere è che elli non volesse dimorare in questa nostra vita al sommo, poichè stato c'era nel basso stato della puerizia ecc. >>

Terminando poi il trattato, egli conchiude: « Così come chi un valente uomo infama, è degno d' essere fuggito dalla gente e non ascoltato; così l'uomo vile, disceso delli buoni maggiori, è degno d'essere da tutti scacciato e deesi lo buono uomo chiudere gli occhi per non vedere quello vituperio vituperante della bontà che in sola la memoria è rimasa.

e siccome d'una massa bianca di grano si potrebbe levare a grano a grano il formento, e a grano restituire meliga rossa, e tutta la massa finalmente cangerebbe colore, così della nobile progenie potrebbono li buoni morire a uno a uno, e nascere in quella li malvagi, tantochè cangerebbe il nome, e non nobile, ma vile da dire sarebbe. »

DELL' IDIOMA VOLGARE.

Assai più utile del Convito è l' operetta di Dante, quantunque incompiuta, intorno all'idioma volgare ; o si ponga mente alla grandezza della questione, da lui trattata se non a fondo (giacchè le cognizioni del

tempo nol consentivano ) almeno dirittamente, oppure alla stretta relazione che un sifatto argomento ha colla nostra letteratura.

L'autore, determinato in prima ciocchè intenda per idioma volgare, ed altre questioni più estranee al fatto, prendendo le mosse dalla diffusione dei diversi linguaggi, si ferma di preferenza sopra quelli dell' Europa meridionale, indovinando la comunanza della radice dei tre principali, cioè quelli dell' oc, dell' oil e del si, che è quanto a dire dell' italiano, a cui sono rivolte le di lui ricerche. L'idioma del si può ridursi, giusta il suo avviso, a quattordici principali dialetti, i quali sono più o meno trovati disadorni e mal confacenti a formare quel volgare illustre, serbato ad essere l'idioma di tutta Italia. Solo il Bolognese pare per avventura più colto, benchè non scevro di grandi difetti, ne meritevole della preferenza-« Perciò che egli (sono parole di Dante) non è quello, che noi chiamiamo Cortigiano ed Illustre; che se fosse quello, il massimo Guido Guinicelli, Guido Ghisliero, Fabrizio ed Onesto, ed altri poeti non sarieno mai partiti da esso; perciò che furono dottori illustri, e di piena intelligenza nelle cose volgari. »>-Ripudiati in questo modo tutti i dialetti, e trovato che gli scrittori valenti non usavano più questo che quello, ne risulta di leggieri la conseguenza-« Che il Volgare illustre, Cardinale, Aulico e Cortigiano in Italia è quello, il quale è di tutte le città italiane, e non pare che sia di niuna, col quale i Volgari di tutte le città d'Italia si hanno a misurare, ponderare e comparare. E qui l'autore chiude il primo libro, rendendo ragione dei quattro attributi da lui assegnati al Volgare ricercato.

Nel secondo libro, assai meno importante, fermato come certo principio, non aversi il Volgare illustre ad usare se non dagli eccellenti, ricerca in quali materie si debba principalmente, e con quali forme. Quelle, secondo il poeta, possono ridursi a tre: La gagliardezza delle armi, l' ardenza dell' amore, e la regola della volontà. Circa le quali tre cose ( se

ben riguardiamo) troveremo gli uomini illustri aver volgarmente cantato; cioè Beltramo del Bornio le armi; Arnaldo Daniello lo amore; Gerardo di Bornello la rettitudine. »---Così del pari a tre si riducono le forme, come allora generalmente si praticava, cioè a dire il Sonetto, la Ballata e la Canzone: tra le quali degnissima è questa sopra le altre due, e quella pertanto a cui si addica il trattare delle più alte cose. Laonde, partiti in tre i diversi stili tragico, comico ed elegiaco, prende ad esaminare il modo di ordinare le canzoni, stanze e rime, e così via via d' ogni più minuta cosa, rimettendo a parlare dello stile comico ed elegiaco in altri due libri, a cui però non pose in seguito più mano. -« Vedesi in tutto, dice il Balbo, che contemporanee più o meno furono queste due fatiche del Convito e dei Volgare Eloquio; quella assolutamente mediocre, questa, quantunque di gran lunga migliore, pur inferiore all' ingegno suo; e così quella lasciata per questa, questa in brev'ora per l'opera della sua gioventù, del suo amore, della sua virtù. »

ין

DELLA MONARCHIA.

Nei brevi cenni intorno alla vita politica dell' Alighieri abbiamo narrato, come e' si adoperasse con calore alla felice riuscita dell'impresa di Arrigo di Lussemburgo, quando discese in Italia, rinfrescando così vivamente le quasi morte speranze dei Ghibellini. Non contento però il poeta di prestargli, se l'uopo il chiedesse, opera della mano, volle ancora servirgli col potentissimo ingegno, pubblicando il suo lavoro intorno alla Monarchia: il più importante per avventura tra gli accennati fin qui, ma insieme il più ridondante di errori e di sogni, quali si durerebbe fatica a credere, ove non si conoscesse fino a qual punto possa strascinare la caldezza e l'irritazione delle fazioni.

L'autore si propone di risolvere tre questioni intorno alla Monarchia, formanti appunto le tre parti dell' opera.« La monarchia temporale, dice egli,

la quale si chiama imperio, è uno principato unico e sopra tutti gli altri nel tempo, ovvero in quelle cose che sono nel tempo misurate: nella quale tre dubbi si muovono: I. si dubita e si domanda s'ella è al ben essere del mondo necessaria; 2. se il Romano popolo ragionevolmente s' attribui l'officio. della monarchia: 3. se l'autorità della monarchia dipenda senza mezzo da Dio o da alcuno ministro

suo ovvero vicario. »>

Nel Convito aveva già detto, che « un solo principato, è un principe avere il quale tutto possedendo e più desiderare non possendo, li re tenga contenti nelli termini delli regni; sicchè pace intra loro sia, nella quale si posino le cittadi. Questo medesimo principio di conservare i regni e le varie leggi sotto l'arbitrato generale di tale Imperio, appare eziandio nella prima parte dell' opera, senza che, come osserva il Balbo, abbia cercati i mezzi a conciliare tanti e così diversi interessi, quali necessariamente verrebbero a cozzo. Vuolsi eziandio osservare, come nel secondo libro, ove tratta del diritto divino nel popolo Romano alla universal monarchia, Dante concepisse un Imperatore italiano, e residente a Roma, non oltre l'Alpi in Germania, adoperandosi a provarne nell' ultimo libro l'indipendenza dal Pontefice, benchè con tutte le modificazioni richieste dalla Religione. Le parole con cui l'autore termina quest' opera, la quale ha contro di lui provocate nuove condanne e nuove censure, sono abbastanza chiare e decisive in questo proposito.-« Onde, dice egli, e' fu bisogno all' uomo di due direzioni secondo i due fini, cioè del sommo Pontefice, il quale secondo le rivelazioni dirizzasse la umana generazione alla felicità spirituale, e dello imperadore il quale secondo gli ammaestramenti filosofici alla temporale felicità dirizzasse gli uomini Ma la

verità di quest' ultima questione non si deve così strettamente intendere, che il principe romano non sia al Pontefice in alcuna cosa soggetto: conciossiachè questa mortale felicità alla felicità immortale sia ordinata ecc.

ARTICOLO tlf.

La Commedia.

Dopo aver fatto cenno con quella rapidità maggiore che per noi si poteva, delle principali tra le minori opere dell' Alighieri, ci tratteremo alquanto più a lungo sulla Commedia, sì perchè è il vero titolo di lui all' immortalità, e si ancora perchè tutta questa operetta è stata intrapresa, per agevolarne appunto l' intelligenza ai giovinetti. La Commedia, considerata come una istorica rappresentazione dell' età del poeta, richiedeva che si disegnasse come in un vasto quadro lo stato della società, cercando le vie e i modi per cui si era così costituita, e pigliando le mosse da lungi, cioè dalla caduta dell'impero Romano; esaminandola nel suo fondamento morale è mestieri esporre a modo di narrazione storica l'allegoria, celata sotto il velame della poesia, delle visioni, e dipinture, cui viene a mano a mano esponendo al nostro sguardo. La storia è indispensabile alla intelligenza della lettera, l'allegoria alla moralità. Quanto poi alla certezza dell' esistenza d'un allegoria non è a muover dubbio: ancorchè Dante stesso non l'avesse, come vedremo più sotto, chiaramente espresso, e non ne avesse lasciati tanti saggi nel Convito, opera stessa, e l'indole 'e il genio dell' età in cui viveva l'autore basterebbe a chiarircene.

ין

[ocr errors]

Intorno al titolo delle Cantiche valga ancora la testimonianza dell' autore, il quale così si esprime nella sua epistola allo Scaligero: « Il titolo dell' opera è questo: Incipit Comoedia Dantis Allagheri, florentini natione non moribus . La Commedia è una spezie di narrazione poetica differente da tutte le altre: nella materia differisce dalla Tragedia per questo, che la tragedia è nel suo cominciamento mirabile e piana, e nella fine ossia catastrofe, fetida e spaventevole La Commedia poi prende cominciamento dall' d'alcuna cosa, ma la sua materia ha fine

asprezza prospero, com'

appare per Terenzio

« ÖncekiDevam »