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così poco cammino in Italia da essere ancora possibili simili discussioni, proprie di cervelli oziosi e vaghi di sciarade, ottusi alle pure e immediate impressioni dell'arte.

Ho ricevuto, è un po' più di un mese, una lettera sottoscritta da tre Alunni del Liceo di Bari. Questi bravi giovani volevano da me sapere perchè il Petrarca avea scritto il Canzoniere in italiano e non in latino. E mi raccontavano che ci era una scommessa tra loro, sostenendo chi un'opinione e chi un'altra. Ebbi proprio una brutta tentazione. Volevo rispondere che il Petrarca aveva fatto così, perchè Laura non sapeva di latino. Ma parvemi cosa crudele rispondere con uno scherzo a giovani che disputavano con tanta gravità.

Pur, se la mia voce avesse qualche peso sulla nuova generazione, io direi: Lasciate queste dispute agli oziosi da convento o da caffè, e voi gittate via i comenti e avvezzatevi a leggere gli autori tra voi e loro solamente. Ciò che non capite, non vale la pena che sia capito: quello solo è bello che è chiaro. Soprattutto, se volete gustar Dante, fatti i debiti studii di lettere e di storia, legge telo senza comenti, senz'altra compagnia che di lui solo, e non vi caglia di altri sensi che del letterale. State alle vostre impressioni, e soprattutto alle prime, che sono le migliori. Più tardi ve le spiegherete, educherete il vostro gusto; ma importa che ne'primi passi non vi sia guasta la via da giudizi preconcetti e da metodi ar, tificiali.

Tra' più belli, appunto perchè tra' più chiari, è il canto di Francesca. Ed io domando con che cuore possono i comentatori innanzi ad una creazione così limpida abbandonarsi a sciarade e indovinelli e fantasticare su tanti perchè. Io non mi tratterrò a confutare le assurde risposte perchè il torto qui non è di aver fatte quelle risposte, ma di aver poste quelle domande. Il che avviene quando l'impressione estetica è già cancellata, e la mente

raffredda, e il critico non sapendo cogliere la situazione nella sua integrità, si smarrisce ne' particolari. I quali separati dal tronco, ovvero dalla loro unità, in cui è posta la loro ragion d'essere ed il loro significato, si sciolgono nell' arbitrario, e diventano materia di questa o quella supposizione gratuita com'e' salta in capo al primo venuto. Sgombriamo dunque il terreno di questi forse e di questi perchè, ed accostiamoci a questa primogenita figliuola di Dante con non altro sentimento che quello dell'arte, e con non altro intento che di contemplare e di godere. Come Dante fu condotto alla concezione di questa Francesca importa poco. E importa meno il sapere se e che il poeta abbia mutato o alterato della tradizione storica. Ciò che importa è questo, che la Francesca, come Dante l'ha concepita, è viva e vera assai più che non ce la possa dare la storia. Sl, certo, Giulietta ed Ofelia e Desdemona e Clara e Tecla e Margherita ed Ermengarda e Silvia hanno una vita più salda e reale che non tutte le donne storiche: perchè l' aridità della cronaca e la gravità della storia toglie a queste tutta la vita intima, ed elle stanno come in lontananza da noi, e le vediamo in piazza e non le conosciamo in casa, e sappiamo le loro azioni ed ignoriamo il loro cuore. Laddove con le altre ci sentiamo a fidanza e quasi familiari, ed elle ci si porgono amabili e con perfetto abbandono ci rivelano tante riposte gioie, tanti arcani dolori. A questa serie di fanciulle immortali appartiene Francesca, anzi è essa la primogenita, la prima donna viva e vera apparsa sull'orizzonte poetico de' tempi moderni.

Francesca non è nata se non dopo una lunga elaborazione nelle liriche de'Trovatori e nella stessa lirica dantesca. Ivi l'uomo riempie di sè la scena; è lui che opera e parla e fantastica; la donna ci sta in lontananza, nominata e non rappresentata, come Selvaggia e Mandetta; ci sta come il riflesso dell'uomo, la sua cosa, la sua

fattura, l'essere uscito dalla sua costa, senza personalità propria e distinta : concetto che il Leopardi ha rappresentato con tanta altezza nell' Aspasia. Talora è un semplice concetto, sul quale il poeta disserta o ragiona come fa spesso il Cavalcanti, e Dante stesso. Poi diviene un tipo nel quale il poeta raccoglie tutte le perfezioni morali, intellettuali e corporali, costruzione artificiale e fredda, assolutamente inestetica. In questo genere la creatura poetica più originale e compiuta è Beatrice, bellezza, virtù e sapienza, un individuo scorporato e sottilizzato, non più individuo, ma tipo e genere; non femmina, ma il femminile, l'eterno femminile di Goethe. Concezione ammirabile; ma non è ancora la donna, non è ancora persona schietta. La potente virtù creativa di Dante non è bastata a fondere insieme tanta varietà di elementi che si trovano in lei congregati, sì che spesso la ti pare una personificazione e un simbolo, anzi che persona viva. Se in queste costruzioni simboliche, teologi che, scolastiche non troviamo la donna, tanto meno vi troviamo l'amore. Anch'esso è sovente una personificazione, una reminiscenza di Cupido; e quando si sviluppa dal mito, ed opera direttamente come forza naturale, malgrado le lagrime e i sospiri del poeta, ci lascia freddi, perchè troppo idealizzato, e più spesso stima ed ammirazione per le nobili qualità dell' amata e l'eccellenza della forma, anzi che fiamma e furore, come direbbe Ariosto, forza invitta a cieca a cui tutto soggiaccia.

Entro a queste costruzioni artificiali fondate sul culto della donna, posta in cima di ogni perfezione, e simbolo di tutti gli altri ideali che muovono l'uomo, rimane pur sempre il concetto della donna, non solo come il femminile, la bella faccia che l'uomo dà a tutti i suoi ideali, ma come individuo ella medesima, un essere innamorato • gentile. Quest' individuo, sviluppato da ogni elemento eterogeneo, non più concetto, o tipo, o personificazione,

ma vera e propria persona, in tutta la sua libertà, & Francesca. Beatrice è più men che donna, quando dice di sè:

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E chi mi vede e non se ne innamora
D'amor non ne averà ma intelletto.

Ciascuno presenta in queste forme en senso ulteriore e più vasto e alto che non è il senso etterale. Beatrice qui è più che donna, è angeletta bella e nova, è il divino non umanato, l'ideale non ancora realizzato, la faccia o apparenza di tutto ciò che è bello e vero e buono, che attira a sè tutti quelli che hanno virtù d'intenderlo, che hanno intelletto d'amore. Ma appunto per questo Beatrice è men che donna, è il puro femminile, è il genere o il tipo, non l'individuo. Perciò voi potete contemplarla, adorarla, intenderla, spiegarvela, ma non l'amate, non la possedete con pura dilettazione estetica, anzi ne state a distanza. Il che spiega perchè Beatrica non ha potuto mai divenire popolare, ed è rimasta materia inesausta di dispute e di arzigogoli. Francesca al contrario acquistò una immensa popolarità, presso le nazioni anche meno colte, ed anche oggi in moltissimi ella è rimasta la sola figura sopravvivuta della Divina Commedia. Certo, non era questa l'intenzione di Dante, il quale, confondendo poesia e scienza, immaginava che dove fosse maggiore virtù e verità e perfezione, ivi fosse maggiore poesia, e la cosa è tutta al rovescio, perchè la scienza poggia verso l'astratto, l'idea come idea, e l'arte ha per obbiettivo il concreto, la forma, l'idea calata e dimenticata nell'immagine. La scienza è il genere e la specie; l'arte è l'individuo o la persona, e più vi scostate dall'individuo, più sottilizzate e scorporate, e più vi allontanate dall' arte.

Francesca è donna e non altro che donna, ed è una compiuta persona poetica, di una chiarezza omerica. Certo,

essa è ideale, ma non è l'ideale di qualcos'altro, è l'ideale di sè stessa, ed è ideale compiutamente realizzato, con una ricchezza di determinazioni che gli dànno tutta la simulazione di un individuo. I suoi lineamenti si trovano già in tutti i concetti della donna prevalenti nelle poesie di quel tempo, amore, gentilezza, purità, verecondia, leggiadria. Ma questi non sono qui epiteti, ma vere qualità di persona messe in azione, e perciò vive. Edipo inconsapevole, Dante ha qui ucciso la sfinge, ed è entrato nel pieno possesso della vita: quella donna che cerca in Paradiso, eccola qui, egli l'ha trovata nell' Inferno. Francesca non è il divino, ma l'umano e il terrestre, essere fragile, appassionato, capace di colpa e colpevole, e perciò in tale situazione che tutte le sue facoltà sono messe in movimento, con profondi contrasti che generano irresistibili emozioni. E questo è la vita.

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Non ha Francesca alcuna qualità volgare o malvagia, come odio, o rancore, o dispetto, e neppure alcuna speciale qualità buona; sembra che nel suo animo non possa farsi adito altro sentimento che l'amore. Amore, Amore, Amore! Qui è la sua felicità e qui è la sua miseria. Nè ella se ne scusa, adducendo l'inganno in che fu tratta o altre circostanze. La sua parola è di una sincerità formidabile. Mi amò, ed io l'amai; ecco tutto. Nella sua mente ci sta che è impossibile che la cosa andasse altrimenti, e che Amore è una forza a cui non si può resistere. Questa onnipotenza e fatalità della passione che s' impadronisce di tutta l'anima e la tira verso l'amato nella piena consapevolezza della colpa è l'alto motivo su cui si svolge tutto il carattere. Appunto perchè amore è rappresentato come una forza straniera all'anima e irrepugnabile, qui hai fiacchezza, non depravazione. Francesca è rimasta il tipo onde sono uscite le più care creature della fantasia moderna: esseri delicati, in cui niente ò che resiste e reagisca, fragili fiori a cui ogni lieve sof

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