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scientifico, e seguace della molle setta d' Epicuro? L'autore di esso è probabilmente quel Giovanni Quirino, di cui vedi nell' illustrazione al sonetto XLV.

Lo scrittore del secondo, dicendosi innamorato di Bechina, si manifesta patentemente essere quel Cecco Angiolieri, di cui abbiamo parlato più sopra al sonetto l' ho tutte le cose ch'io non voglio.

Del terzo, ch'è responsivo ad un sonetto anonimo, nel quale si fa la domanda se Cristo sarebbe stato crocifisso, ove Adamo non avesse mangiato del pomo, dice il Witte che, considerandolo sì pe' concetti che per lo stile, crede per certo doversi a Dante denegare. Ed infatti è sì laido e si turpe e sì barbaramente scritto, che palesasi indegno di qualunque verseggiatore anco men che mediocre.

Il sonetto

« Fior di virtù si è gentil coraggio,

che nel codice 1100 della Riccardiana si trova sotto il nome di Dante Alighieri, è di Folgore da San Gemignano secondo l' Allacci, pag. 315, e secondo l' Andreola, Parnaso Ital., vol. II, pag. 191. Esso è poi del pistoiese Cino, secondo il codice 47, Plut. XC, della Laurenziana e secondo l'edizione del Ciampi; ed è del sanese Simone Forestani, secondo il codice laurenziano leopoldino num. 118.

Nel medesimo codice della Riccardiana 1100 si trovano impropriamente attribuite a Dante, due canzoni, l'una delle quali incomincia :

« Lo doloroso amor che mi conduce,

componimento affatto indegno di lui; l'altra:

« La vera esperienza vuol ch'io parli,

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la quale è attribuita a Dante Alighieri anco dal codice 43, Plut. XL, della Laurenziana, mentre in altri codici della biblioteca stessa sta col nome di Cino da Borgo San Sepolcro.

In un altro codice riccardiano, segnato 998 aliter 1156, si leggono sotto il nome del nostro Poeta altre due canzoni, le quali, sebbene non possano distintamente ravvisarsi per esser nella lezione tutte lacere e guaste, pure io reputo senza fallo illegittime. La prima incomincia :

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(e questa trovasi pure nel codice 44, Plut. XL, della Laurenziana); la seconda:

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Rispetto alla quale noterò, che col nome di Dante ritrovasi non solo nel nominato codice riccardiano, ma ancora nel laurenziano 44, Plut. XL. Nulladimeno è evidente che non può ammettersi fra le poesie di Dante Alighieri per ragione del suo stile disordinato e della sua meschinità. Eccone la prima stanza, ch'è la meno peggiore delle altre cinque :

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1

Pensando qual di me col tempo antico,
Quando col dosso, ch'io di sopra dico,
Correggea i regi ed abbattea i duci.
Dunque mercè, mercè, dolci mie luci,
Increscavi di me, che m'affatico
Di racconciarvi me' come mie soma;
Ed io che parlo son la vostra Roma.

Nel codice 63 della biblioteca marciana di Venezia questa canzone non è più attribuita a Dante Alighieri, ma a Guido Cavalcanti. E che neppure al Cavalcanti, morto (come sappiamo) nel 1301, appartenga, è dimostrato dall'argomento d'essa canzone, nella quale il Poeta personificando la cattolica chiesa, e facendole far lamenti, riprende i vizii de' cherici, e deplora le gare e le dissensioni tra il papa Giovanni XXII e Lodovico il Bavaro : cose tutt' affatto posteriori alla morte di Guido. Questa n'è poi la chiusa :

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la quale nel codice 37, Plut. XC, della Laurenziana, ed in alcun altro, viene attribuita a Dante, sta impressa non solo fra le rime di Cino pubblicate da Niccolò Pilli, da Faustino Tasso e dal Ciampi, ma altresì fra le rime d'autori incerti della raccolta giuntina a c. 126, e (ciò ch'è più singolare) trovasi pur col nome di Cino nello stesso codice laurenziano 37, Plut. XC, che a Dante Alighieri l' ascrive.

La canzone

Novella monarchia, giusto signore,

che in qualche codice della Laurenziana vedesi falsamente attribuita a Dante Alighieri, nel codice 35, Plut. XC, della biblioteca stessa, sta col nome di maestro Simone da Siena detto il Saviozzo, e nel codice 39 del Pluteo stesso sta col nome del duca di Milano.

Nel volume delle rime di Cino, pubblicate por cura del professor Ciampi, è fatta menzione d'un sonetto inedito, che incomincia:

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e che trovasi (ivi si dice) in uno de' codici Redi siccome responsivo a quello di Cino

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diretto al marchese Malaspina, pel quale si asserisce aver risposto Dante col sonetto sopraindicato. Ma siccome pel contesto del sonetto di Cino, in cui questo poeta dice essersi invaghito della marchesa Malaspina, è improbabile che quel potesse venire inviato allo sposo della donna amata; e siccome nell' edizione del Pilli apparisce diretto a Lemmo da Pistoia, così è da dirsi erronea ed infondata la notizia contenuta nel codice Redi.

Fra varii poetici componimenti, che il Trissino nella sua Poetica cita come di Dante, ricorda pure una Canzone che incomincia :

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Virtù, che 'l ciel movesti a si bel punto 2, Sante Pieralisi la pubblicò in Roma nel 1853, traendola dal cod. 1548 della Barberiniana, e leggesi pure nel cod. 1100 della Riccardiana, cart. 56 tergo, senza nome d'autore, e col semplice titolo Pro Arrigo di Luzimburgo. Non fa d'uopo leggerla due volte per riconoscere che è affatto indegna di Dante.3

L'istesso Dante nel suo libro della Vita Nuova dice d'aver composto un serventese in lode delle sessanta più belle donne di Firenze, del quale peraltro non cita il principio, e del quale nè da me nè da altri si è mai potuto ritrovar copia o notizia. Nel libro II, cap. 11 del Volgar Eloquio, cita parimente siccome sua la canzone

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Traggemi della mente Amor la stiva,

ch'io non ho potuto rinvenire nè in libri a stampa, nè in codici manoscritti.

Nel Giornale Arcadico, fasc. d'agosto 1842, fu pubblicato

un sonetto, che il codice vaticano 5133 attribuisce a Dante, e che incomincia così:

« Chi vuol star sano, osservi questa norma:
Non mangiar senza voglia, e cena breve;
Mastica bene quel che tu riceve,

E sia ben cotto e di semplice forma. »

E prosegue in un modo anco peggiore di questo. Ma già l'editore di esso sospettò forte che di Dante non fosse; ed infatti il cod. laurenziano 103, Plut. 90 sup. pag. 172, che pur lo contiene, non dice che sia di Dante.

Senza contare i frammenti e le altre poesie, che giacciono (siccome ho detto) inedite ne' codici, centoquaranta poetici componimenti, tra canzoni, sestine, ballate, sonetti e madrigali son adunque stati finora prodotti alla luce col nome di Dante Alighieri: de' quali soli settantotto possono dirsi a lui appartenenti, mentre gli altri sessantadue (tranne otto che per lo meno debbon dirsi di dubbia autenticità), appartengono a Fazio degli Uberti, a Guido Guinicelli, a Cino da Pistoia, a Guido Cavalcanti, a Dante da Maiano, a Sennuccio Benucci, a Tommaso Buzzuola, a Mino del Pavesaio, al Burchiello e ad altri rimatori alla burchiellesca, ad Antonio Pucci, a Butto Messo, a Cecco Angiolieri, ed a parecchi altri poeti incerti od anonimi. Nelle esclusioni ch' io ho fatto de' componimenti illegittimi, e nell' indicazione de' rimatori, a cui essi appartengono, io non pretendo d' aver sempre dato nel segno; ma il cortese lettore, considerando la natura d' un lavoro così lungo e così difficile come è il presente, vorrà condonarmi, io spero, que' falli in cui fossi per avventura caduto.

1 Così il Cicciaporci, nelle Rime di Guido Cavalcanti, e Anton Maria Zanetti nella recensione del citato codice 63. (Vedi Latin. et Ital. D. Marci Biblioth. Cod. MSS. recens. Venetiis, 1741, pag. 247.)

2 Opere del Trissino; 2 vol. in 4o, Verona 1729, pag. 40 del II vol. Un'altra canzone di Dante fu detto da altri essere stata citata dal Trissino (ivi, pag. 81); ed essa incominciare

<< In quella parte del giovinetto anno. »

Ma i versi quivi citati non sono che le prime terzine del canto XXIV dell' Inferno; nè il Trissino li cita come una canzone, ma come principio del detto canto del Poema.

3 Il frammento riportato a pagi. na 323, e che comincia

<< Similemente corri a sofferire, »>

non è che un brano della decima stanza di detta canzone.

I SETTE SALMI PENITENZIALI

ED

IL CREDO

TRASPORTATI ALLA VOLGAR POESIA

DA DANTE ALIGHIERI

COLLE ILLUSTRAZIONI

DELL' ABATE FRANCESCO SAVERIO QUADRIO

conforme all' edizione di Bologna, 1753.

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