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lui intrapresa nel Convito per ischermirsi da somiglianti calunnie. Io sostengo peraltro, che l'opinione sugli amori per la lucchese e per la ignota femmina del Casentino non sia punto priva di fondamento, sì per quello che abbiamo or ora osservato in proposito de' trascorsi, che Beatrice all' Alighieri rimprovera, si per quello che anderemo osservando fra poco.

Ma gli altri amori, cioè quelli per la padovana e per la bolognese, sostengo per lo contrario essere stati falsamente ed erroneamente supposti; e qui mi sto col Dionisi. Dalle parole d'Anton Maria Amadi furono alcuni biografi indotti a credere, che la canzone

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Amor, tu vedi ben che questa donna, »

fosse stata scritta da Dante per madonna Pietra della famiglia degli Scrovigni. Di tale credenza sembrano esser pure il Pelli e l'Arrivabene. Ma il Dionisi, che esaminando a fondo la cosa erasi dato pensiero di rintracciare, se dato alcuno probabile potesse sussistere nell' asserzion dell' Amadi, dovè dir sogghignando, che quella Pietra non era delle nostre petraie. Vero è che dall'Amadi si dice, esser la canzone stata composta per la Scrovigni: ma ciò si dice incidentemente senza citare i fatti, su cui basar l'asserzione, senza dare una prova almeno di probabilità, e gittando la parola a caso, come quella di cui far si dovesse veruno, o ben picciolo conto. Illustrando egli una sua canzone morale, e dichiarando il senso di una voce da sè stesso adoprata, dice così: « E da donno » deriva donna, che altrettanto monta che Signora, come appo » il Petrarca ec., ed appo colui, il qual tutto seppe, cioè Dante, in quella canzone, la quale egli nella sua Vita Nuova, "amando madonna Pietra della nobile famiglia de' Scrovigni padovana, compose, che incomincia Amor, tu vedi ben ec., dove dice:

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»

Che suol dell' altre belle farsi donna...

E l'aer sempre in elemento freddo

Vi si converte sì, che l'acqua è donna
In quella parte. »

Ora ciascheduno potrà vedere quanto piccolo fondamento sia da fare sopra sì poche e inconcludenti parole dell'Amadi, alle quali non altro può dare un qualche leggerissimo grado di probabilità, se non il vocabolo Pietra, che nella citata canzone più volte riscontrasi. Ma questo istesso vocabolo, non che nella presente canzone non riscontrasi pure in quella I' son venuto, nell' altra Così nel mio parlar, e nelle tre

1 Annotazioni sopra una canzone morale, Padova 1565, in 4o, pag. 84.

sestine? Che forse dovrà dedursene che tutti questi e sei componimenti siano stati da Dante scritti per la Scrovigni? Nissuno degli antichi biografi dell' Alighieri parla di questa femmina padovana; nissuno fa cenno di simile innamoramento anzi l'istesso Amadi colle sue parole medesime ne porge le armi per combattere la sua avventata asserzione, e per rilevarne l' assurdità. Egli dice che Dante nella sua Vita Nuova, amando madonna Pietra degli Scrovigni, scrisse la canzone Amor, tu vedi ben. Ma se per Vita Nuova intende l'Amadi indicare il libretto di Dante, che ha questo titolo, cade tosto di per sè stessa la sua assertiva; perciocchè in quello non riscontrasi la canzone accennata, nè vedesi punto fatto cenno di tale amoreggiamento. Se poi per Vita Nuova intende la vita giovanile, la sua assertiva cade egualmente di per sè stessa perciocchè Dante non nella giovanile, ma nell' adulta età, e quando per l'esilio fu costretto a girne ramingo, si portò nella città di Padova, nella quale non dovè far dimora, se non dopo aver oltrepassato l' età d' otto lustri. Adunque le parole dell' Amadi non posson meritare fede nessuna, ne porgere il più leggiero argomento intorno un tal fatto, di che taccion del tutto gli antichi biografi, e che a tutta ragione dee dirsi gratuitamente e falsamente supposto.

Le stesse ragioni del silenzio di tutti i biografi antichi, e dell' interpretazione erronea d'alcuna parola o frase, militano egualmente a provar supposto l'altro amore per la femmina bolognese. Dalle frasi

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le quali riscontransi nel sonetto Ahi lasso! ch' io credea trovar pietate, alcuni (e fra questi l' Arrivabene) dedussero che pure in Bologna Dante d'alcuna femmina s' invaghisse. Ma quanto costoro nell' affermazione di ciò n' andassero errati, sarà facil cosa il conoscere quando sapremo che il citato sonetto non è di Dante, ma sibbene di Cino. Come è noto che questo giureconsulto e poeta fu più volte in Bologna, ove fece lunga dimora, e che, perduta Selvaggia, passò d' amore in amo2 così è certo che il sonetto a lui e non a Dante appartiene, dappoichè in tutte le stampe antiche e moderne, e in parecchi codici si vede col nome di Cino, mentre (come pure a suo luogo dirò) fu a Dante malamente attribuito da Ber

re;

1 Amori e rime di DANTE ALIGHIERI, Mantova, 1823, pag. CLI.

2 Vedi la Vita di Cino scritta dal prof. Ciampi, Pistoia 1826, pag. 45 e 46, e il sonetto di Dante che incomincia I' mi credea del tutto esser partito, non che la sua epistola a Cino medesimo.

nardo Giunti, sulla cui fede lo riprodussero poi i successivi editori.

Ma se nulla di vero riscontrasi intorno la bolognese e la padovana, non è (com' ho accennato più sopra) a dirsi altrettanto della lucchese e della casentinese. Dalle parole di Dante medesimo Purgatorio, canto XXIV, parmi che possa con molta certezza dedursi, ch' ei s'invaghi della prima nel tempo che, essendo egli esule, fece dimora nella città di Lucca. Ciò debb' essere avvenuto nel 1314, poscia che Uguccione della Faggiuola, strenuo capitano ghibellino, in allora potestà de'Pisani, insignoritosi di quella città, v'accolse l'amico Alighieri.' Bonagiunta Urbiciani lucchese, trovatore contemporaneo di Dante, e da lui conosciuto nel mondo, per essersi scambievolmente scritti dei sonetti, viene dall' Alighieri incontrato (aprile 1300) nel sesto balzo del Purgatorio Egli mormorava fra sè: Gentucca, Gentucca. Richiesto dall'Alighieri a palesargli il significato di quella parola, Vi ha una femmina, rispose, e non porta ancor benda (vale a dire, e di presente è assai giovane) la quale ti farà un giorno piacere la mia città, ancorchè vi sia taluno che or la riprenda e la sprezzi: intendendo dell' istesso Dante, il quale nel XXI dell' Inferno avea qualificati i Lucchesi per barattieri:

Ma, come fa chi guarda, e poi fa prezza

Più d'un che d' altro, fe' io a quel da Lucca,
Chè più parea di me voler contezza.
Ei mormorava; e non so che Gentucca
Sentiva io là, ov' ei sentia la piaga
Della giustizia, che sì gli pilucca.
O anima, diss' io, che par si vaga

Di parlar meco, fa sì ch' io t' intenda,
E te e me col tuo parlare appaga.
Femmina è nata, e non porta ancor benda,
Cominciò ei, che ti farà piacere

La mia città, comeech' uom la riprenda, ec. »

Il senso contenuto in queste frasi è chiaro abbastanza: per esse vien significato che l'affetto, che Dante avrebbe un dì sentito per Gentucca, disacerberebbe lo sdegno dal Poeta concetto contro la patria di lei. Ed appunto in grazia di tale leggiadra donzella piaciutogli il soggiorno di Lucca, volle in certo modo espiar quello sdegno, per mezzo del gentile artificio della predizione di Bonagiunta. Che se in mezzo alla caligine dell'antichità (dice il conte Troya) può credersi alle

2

1 Vedi il TROYA, Del Veltro allegorico di Dante. Firenze 1826, pag. 141. 2 Loc. cit., pag. 142.

congetture, le sopravviventi memorie di Gentucca, già moglie di Bernardo Morla degli Antelminelli Allucinghi, farebbero sospettare che fu ella colei, la quale tanto sull' Alighieri potè.

Della femmina casentinese noi ben poco sapevamo prima che il professor Carlo Witte, per la sua avventurosa scoperta d'alcune epistole dell' Alighieri, ce ne potesse dare con certezza alcun ragguaglio. Vero è che Jacopo Corbinelli avea asserito che Dante in età avanzata, trovandosi nelle Alpi del Casentino, erasi innamorato d' un' altra femmina: vero è pure che la fine della canzone Amor, dacchè convien pur ch' io mi doglia sembra porgere argomento di tal novella passione, in questa guisa dicendo:

« Cosi m' hai concio, Amore, in mezzo l' Alpi

Nella valle del fiume,

Lungo il qual sempre sovra me sei forte.
Qui vivo e morto, come vuoi mi palpi,
Mercè del fiero lume,

Che folgorando fa via alla morte, ec.

O montanina mia canzon, tu vai:
Forse vedrai Fiorenza la mia terra,
Che fuor di sè mi serra

Vota d'amore e nuda di pietate:

Se dentro v' entri, va' dicendo: Omai
Non vi può fare il mio signor più guerra ;
Là ond' io vegno una catena il serra,

Talchè se piega vostra crudeltate

Non ha di ritornar più libertate. »

Ma tutti questi argomenti, comecchè dal Pelli, dal Vannetti e dall' Arrivabene giudicati validi a far prova d'un altro amore di Dante, erano da una severa e circospetta critica tenuti per fallaci e manchevoli. L' epistola peraltro, che il sunnominato professor Witte rinvenne nella Vaticana, chiarisce ogni dubbio, e toglie ogni controversia. Or dunque in essa epistola ch'è diretta a Moroello Malaspina (uno degli ospiti dell'esule Alighieri) e che il Torti ritiene del 1307, il Poeta racconta al suo protettore, come appena aveva egli abbandonato la corte di lui, di che conserva tante memorie, e nella quale egli era stato un oggetto di maraviglia, a cagione della sua fermezza contro le lusinghe delle femmine, ed appena aveva egli toccato le sorgenti dell' Arno, gli era apparsa davanti gli occhi una donna: e come (a malgrado gli sforzi suoi) Amore avealo sottoposto alla sua signoria, gli avea cacciato della mente ogni altro pensiero, ed avealo reso un uomo tutt' affatto diverso.

Questo documento, quando non volessesi con poca ragionevolezza sospettare d' apocrifo, fa prova, che il cuore dell'Alighieri non ha potuto, anche spenta Beatrice, non provare talvolta gli effetti della passione amorosa. Pure, avvegnachè da questi fatti (della veracità de' quali non può farsi dubbio) deducasi che un cuore sensibile può star male in guardia contro i colpi d' Amore, dobbiamo fondatamente credere, che Dante, per la forza di sua ragione, domato ben presto il rigoglio de' sensi, tornasse a quell' amore tutto intellettuale della sapienza, al quale dopo la morte di Beatrice avea fermato donarsi. Del qual ritorno in sul diritto sentiero potrà pur farsi argomento da questo: che l' imagine della sua amata di cotanta forza signoreggiavagli ogni potenza, che nissun altro affetto poteva al primo stabilmente succedere.

CAPITOLO IV.

DELL' AMORE INTELLETTUALE E SIMBOLICO DI DANTE.

ANALISI DELLE SUE RIME MORALI E FILOSOFICHE.

1

Abbiamo superiormente veduto, come Dante (e lo dice pure egli stesso) considerando nell' oggetto amato un modello di gentilezza, d' onestà e di virtù, prese a innalzar le sue idee, e recarle a livello di esso. Però distaccando l'amore dall' impura sensualità, cercò ridurlo ad un intendimento casto e virtuoso e così resolo buono comecchè naturato tuttavia d'umana passione, lo descrisse in quelle poesie, le quali andò dettando mentrechè visse la sua Beatrice, anzi fin a un anno appresso la morte di lei. Dopo d' avere scritto quel sonetto:

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narra egli stesso nella fine della Vita Nuova, come gli apparve una mirabil visione, nella quale vide cose che lo fecero proporre di non parlare più avanti di quella onestissima, se non in modo più degno; e come, per venire a ciò, misesi a studiare quel più che poteva. Sicchè (egli conchiude) se piacere sarà di Colui, per cui tutte le cose vivono, che la mia vita per alquanti anni perseveri, spero dire di lei quello che mai non fu detto d' alcuna.

Quando da tutti i suoi precedenti componimenti non potessimo abbastanza conoscere, se l'Alighieri cercasse di rendere il suo amore di buono in migliore, di migliore in ottimo,

1 Nel Convilo.

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