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trionfale, madre de' magnanimi, suora di Roma, genitrice di lode, ostello di salute, e la compiange, dappoichè gli iniqui son sempre vôlti a mostrarle il falso per vero, e a congregarsi alla ruina di lei. Le ricorda i bei tempi, nei quali ella regnava felice, cioè quando i suoi figli voleano che le virtù fossero il loro sostegno: e rampognandola che sia al presente vestita di dolore e piena di vizii, la conforta a sterpare, senza pietà de' figli degeneri, i maligni rampolli, che hanno bruttato il suo fiore, sì che le virtù risurger possano vincitrici. Quindi annunziandole, che, se ciò per lei venga fatto, ella regnerà serena e gloriosa in sulla ruota d' ogni beata essenza; e chiamando avventurosa l'anima, che in lei fia creata alloraquando la giustizia sarà il suo ornamento, va gridandole: che elegga omai, se fa più per lei o la fraterna pace, o il rimanersi tuttavia una rapace lupa:

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Tu felice regnavi al tempo bello

Quando le tue rede1

Voller che le virtù fussin colonne :
Madre di loda e di salute ostello,
Con pura unita fede

Eri beata, e con le sette donne :
Ora ti veggio ignuda di tai gonne;
Vestita di dolor, piena di vizii;
Fuori i leai Fabrizii;

Superba, vile, nimica di pace.
O disnorata te! specchio di parte,
Poichè se' aggiunta a Marte,
Punisci in Antenora qual verace

Non segue l'asta del vedovo giglio,

E a que' che t'aman più, più fai mal piglio.

Dirada in te le maligne radici,

De' figli non pietosa,

Che hanno fatto il tuo fior sudicio e vano,

E vogli le virtù sien vincitrici;

Si che la fè nascosa

Resurga con giustizia a spada in mano.
Segui le luci di Giustiniano,

E le focose tue mal giuste leggi
Con discrezion correggi,

Si che le laudi il mondo e il divin regno:
Poi delle tue ricchezze onora e fregia

1 Intendi: I tuoi eredi, cioè i tuoi figli.

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Qual figliuol te più pregia,

Non recando a tuo' ben chi non n'è degno:
Si che prudenza ed ogni sua sorella

Abbi tu teco; e tu non lor rubella, ec. »

O canzone (egli termina) tu te n'andrai arditamente, poi" chè ti guida Amore, dentro la mia patria, sulla quale io » doloro e piango, e troverai dei buoni che si stan neghit

tosi, e la cui virtude è sopita. Grida loro: Sorgete; che per " voi do fiato alla tromba: prendete l' armi, ed esaltate colei " che si vive in angustie, e ch'è divorata da superbia, avarizia, invidia, e da altri siffatti mostri. Poi ti rivolgi a' giu"sti e virtuosi cittadini, pregando con essoloro ch'ella ritorni " eccelsa ed augusta. »

"

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Alcune espressioni di patria carità si ritrovano pure ne' suoi carmi latini, che abbiam fatti seguire al suo Canzoniere. Mentre Dante facea dimora in Ravenna, gli fu indiritta dal bolognese Giovanni Del Virgilio un'egloga latina. « E perchè mai (gli diceva Giovanni) perchè le altissime cose » che tu canti, o almo poeta, vorrai cantarle sempre in lin"gua volgare? Adunque solo il volgo dovrà andar lieto del " tuo canto, nè i dotti leggeranno di te nulla, che sia dettato " in più nobile lingua? Rammentati, o divo ingegno, la morte d'Arrigo di Lussemburgo; rammentati la vittoria di Cane Scaligero sul Padovano, e come Uguccione della Faggiuola disfogliò il fiordaliso; rammentati le armate di Napoli, e i "monti combattuti della Liguria. Vi ha egli forse al canto argomenti più acconci di questi? Ma innanzi ogni altra cosa » non indugiare, o maestro, di venirne a Bologna per pren» dervi la poetica corona d' alloro. " E in una seconda egloga Giovanni, instando su questo argomento, aggiungeva, che grandissimo sarebbe per essere il piacere de' Bolognesi nel rivedere nella loro città Dante Alighieri, e che essi per fermo non avrebbon posto mente a ciò, che di alcuni loro concittadini dicevasi nell' Inferno. « Che se verrai (esclamava il Del

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Virgilio) potrò farti conoscere i versi del nostro Mussato; » ma Guido tuo, il Polentano,1 forse non patirà che tu abbia

1 II Perticari nell' Amor patrio di Dante, e l' Arrivabene nella Storia del secolo dell' Alighieri, dicono che questi, sebbene trovasse pace in Ravenna sotto l'ale dell'aquila polentana, non perciò tacque dell' adultera Francesca, uscita da quella casa, anzi ne cantò la colpa e la pena. Dall'osservare peraltro, che l'Alighieri trovò pace presso Guido da Polenta in sulla fine della sua vita, cioè quando eran corsi due lustri, dacchè avea cantato il miserando caso de' due amanti infelici, viene a rilevarsi l'abbaglio del Perticari. Perciocchè volendo supporre, che il Poeta, in prezzo dell'asilo dai Polentani ricevuto, ponesse tanta pietà nel cantare quell'episodio, farebbe

" a lasciare Ravenna e la bella pineta che in sul lido adria" tico la cinge.

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Ben dove Dante sorridere d' uno zelo così inopportuno, quantunque così affettuoso. Pure a tali amichevoli voti ed inviti del buon Giovanni, replicò il nostro Poeta con altre due egloghe latine, ove finge convenire a consiglio con due suoi amici, l'uno ser Dino Perini fiorentino, l'altro ser Fiducio de' Milotti certaldese.1 « Glorioso invero e di molto piacere " sarebbemi (rispondeva egli a Giovanni) ornare il capo della " corona d'alloro in Bologna; ma di gran lunga più caro mi " è di fregiarmi del serto in sull'Arno:

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Nonne triumphales melius pexare capillos,

Et patrio (redeam si quando) abscondere canos
Fronde sub inserta solitum flavescere Sarno?
Ecl. I, v. 42-44.

" E questo mi gioverà alloraquando il mio Paradiso potrà " essere così noto al mondo, com' or son noti i bassi regni " del dolore:

Quum mundi circumflua corpora cantu 2

d'uopo saper dalla storia, ch' ei lo dettasse nell' ultimo anno del viver suo. Lo che apparisce esser falso, avendo Dante pubblicato la prima Cantica, ove l'episodio ritrovasi, nel 1309 o in quel torno, secondo le più probabili opinioni, vale a dire undici anni prima di ricovrarsi in Ravenna. L'episodio di Francesca da Rimini non può essere un segno della gratitudine dell' esimio Poeta, ma si del forte sentire di quell' anima amante.

Inoltre debbo qui avvertire, che il Guido genitore di Francesca non è quel Guido ricettator generoso dell' Alighieri, col quale l'han finora malamente confuso tutti gl'illustratori di Dante, non esclusi e i due sunnominati, e il Foscolo e i padovani Annotatori. L'ospite di Dante fu Guido Novello, cioè Guido il giovane, mentre il padre di Francesca fu Guido il vecchio, che era capo de' Guelfi in Romagna nel 1249. Egli maritò Francesca a Gianciotto (Giovanni Ciotto) nel 1275, e, se fosse stato frai vivi al tempo della morte di Dante, avrebbe contato oltre cento anni d'età. Narra il Boccaccio che quel Signore accompagnò onorevolmente l'Alighieri al sepolcro, e ne recitò l'elogio funebre: or quanto può esser probabile l'opinione che tuttociò potesse eseguirsi da uomo, che avesse varcato i venti lustri? Il padre di Francesca è insomma l'avo di quel Guido Novello, che fu l'ultimo protettore dell' Alighieri.

1 Al primo di essi diede il nome di Melibeo, all' altro di Alfesibeo, chiamando Jola il suo protettore Guido V Novello, Mopso Giovanni Del Virgilio, e Titiro sè medesimo. Vedi le egloghe.

2 Il Dionisi (Anedd. IV, pag. 107) crede che la frase qui usata da Dante circumflua corpora, significhi il Purgatorio. Ma tale espressione non altro vuole certamente indicare, che i corpi i quali discorrono nell' immenso fluido del

Astricolæque meo, velut infera regna, patebunt,

Devincire caput hedera lauroque juvabit. »

Ib., v. 48-50.

Ecco come scriveva, come sentiva Dante, e certo negli ultimi anni della sua vita! La corona poetica, al suo merito già dovuta, se la riserba al compimento del poema, ma vuole che solo in patria sia la sua incanutita chioma adornata del serto trionfale.

Nella chiusa di quella canzone, che l' Alighieri dettò fra le Alpi del Casentino, e che abbiamo ricordata nel capitolo precedente, il Poeta va esponendo simili sensi di patrio affetto: chè, se dalle frasi ch' egli v' adopra traspare il cruccio per l'ingiusto esilio concetto contro Firenze, appare assai più chiaramente l'affetto, ch' ad essa lo lega, e che di frequente lo stringe a volgerle i suoi pensieri e i suoi voti. Altrove noi veggiamo, la sua patria esser da lui chiamata il dolce paese ch' egli ha lasciato; ed a poter gustare di quella dolcezza cotanto egli anela, che non può a meno di prorompere in simili accenti: «Se non fosse che per lontananza m'è tolto » dalla veduta il bel segno degli occhi miei, lo che m'ha po"sto in fuoco, reputerei lieve cosa ciò che ora mi è grave: "ma ahimè! questo fuoco m'ha sì consumato la carne e le ossa, » che morte m'ha posto la chiave nel petto. Laonde se mai " ebbi colpa, molte lune trascorsero dacchè fu purgata, quando

1

l'universo, vale a dire i pianeti, che (secondo la dottrina di quei tempi) colle loro orbite o sfere concentriche formavano i diversi cieli, come il cielo di Venere, quello di Marte ec. Ecco la letterale traduzione di que' tre versi : Quando per mezzo de' miei canti saran pubblicati, siccome or sono gl' inferi regni, i corpi che si ruotano nell' universo e gli abitatori celesti (la qual duplice espressione non indica se non la sola Cantica del Paradiso), allora mi gioverà cinger la fronte d' edera e d' alloro. E che avesse Dante pubblicato le prime due Cantiche, lo dice chiaro lo stesso Del Virgilio in que' versi :

Nullus, quos inter es agmine sextus,

Nec quem consequeris cœlo, sermone forensi

Descripsit. >>

Nessuno di que' poeti, della cui schiera tu sei il sesto, e neppur quello, che tu segui poggiando al cielo, cantò in linguaggio volgare.

Quello che Dante segue poggiando al cielo è Stazio, il quale è da lui incontrato presso la sommità del Purgatorio: la seconda Cantica del poema era per conseguenza nota al Del Virgilio. Adunque la conseguenza che ne vorrebbe trarre il Dionisi, cioè che il Purgatorio fosse pubblicato assai tardi, nel 1319, è affatto insussistente, perchè a quel tempo era già pubblicato, non che composto. Le più accurate indagini ci portano a conoscere, che la prima Cantica fu pubblicata nel 1309, la seconda nel 1315, la terza nel 1321.

1 Canz. I, st. 1.

" la colpa si cancelli se avvien che l' uomo si penta: " espressioni, non potremmo dir quanto, piene d'ansia, di pietade e d'affetto, le quali soltanto esser ponno proprie d' un' anima grande e sublime :

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E se non che degli occhi miei'l bel segno

Per lontananza m' è tolto dal viso,
Che m' have in foco miso,

Lieve mi conterei ciò che m'è grave:

Ma questo foco m' have

Già consumato sì l'ossa e la polpa,

Che morte al petto m'ha posta la chiave:
Onde s' io ebbi colpa,

Più lune ha volto il Sol, poichè fu spenta,

Se colpa muore, pur che l'uom si penta.
Canz. XIX, st. V.

Se il giudizioso scrittore della bella lettera, la quale col nome di Bernardo Giunti sta in fronte all' edizione del 1527, dovè dire, che Dante non è in parte alcuna da reputarsi indegno di essere insiem col Petrarca annoverato per l'uno de due lucidissimi occhi della lingua italiana, noi spingendo più alto, e meritamente, l' encomio, dovremo dire che l' Alighieri non tanto debb' essere, siccome il Petrarca, reputato il padre della nostra lingua, quanto il principe della nostra lirica poesia.

Prima di messer Francesco cantò l'Alighieri dell' amore in quel nuovo stile, che voleva il natural sentimento congiunto a cortesia, a nobiltà ed a virtù; prima di esso egli espose, in magnifici versi i dettami della moral filosofia, e cantò della rettitudine; prima di esso prese a mostrare ai rettori della sua patria la vera strada dell' onore e della gloria, e rilevando gli errori e le sventure d'un popolo, incitarlo all' emenda. E quantunque il Petrarca andasse affettando noncuranza pel cantore di Beatrice, quantunque volesse sembrare schivo di gettar l'occhio sulle opere di quel grande, pure a chi sottilmente risguardi apparirà manifesto, ch' ei non solamente lesse e ponderò le rime dell' Alighieri, ma che altresì imitò da quelle e frasi e concetti e bellezze.1 Anzi io dirò che, come la grave

1 Nella sua canzone Lasso me, ch' io non so 'n qual parte pieghi il Petrarca riporta il primo verso di quella di Dante Cosi nel mio parlar voglin esser aspro, lo che non avrebbe potuto fare s'ei non avesse viste le rime di lui, come in sua lettera volle pure far credere al Boccaccio. Inoltre, lasciando di rilevare che i suoi Trionfi sono una imitazione, sebben languida, delle visioni dantesche, e che dal principio del XXXIII del Paradiso il

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