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Ch' era mia scorta, e la soave fiamma

Ch' ancor, lasso! m'infiamma,
Essendo spenta; or che fea dunque ardendo?
E' non si vide mai cervo nè damma

Con tal desio cercar fonte nè fiume,

Qual io il dolce costume

Ond' ho già molto amaro, e più n' attendo,
Se ben me stesso e mia vaghezza intendo,

Che mi fa vaneggiar sol del

pensero,

E gir in parte ove la strada manca,

E con la mente stanca

Cosa seguir che mai giugner non spero.
Or al tuo richiamar venir non degno,
Che signoria non hai fuor del tuo regno.
Fammi sentir di quell'aura gentile,

Di fuor, siccome dentro ancor si sente,
La qual era possente

Cantando d'acquetar gli sdegni e l' ire,
Di serenar la tempestosa mente,

E sgombrar d'ogni nebbia oscura e vile;
Ed alzava 'l mio stile

Sovra di se, dov' or non poria gire.

Agguaglia la speranza col desire;

E, poichè l' alma è in sua ragion più forte,

Rendi agli occhi, agli orecchi il proprio obbietto,

Senza 'l qual, imperfetto

È lor

oprar, e 'l mio viver è morte. Indarno or sopra me tua forza adopre, Mentre 'l mio primo amor terra ricopre.

Fa ch' io riveggia il bel guardo, ch' un sole sopra 'l ghiaccio ond' io solea gir carco;

Fu

Fa ch' io ti trovi al varco

Onde senza tornar passò 'l mio core.
Prendi i dorati strali, e prendi l'arco;
E facciamisi udir, siccome sole,

Col suon delle parole

Nelle quali io 'mparai che cosa è amore.
Movi la lingua ov' erano a tutt' ore

Disposti gli ami ov' io fui

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Ch' i' bramo sempre; e i tuoi lacci nascondi

Fra i capei crespi e biondi;

Che 'l mio voler altrove non s' invesca.

Spargi con le tue man le chiome al vento ;
Ivi mi lega, e puomi far contento.

Dal laccio d' or non sia mai chi mi scioglia,
Negletto ad arte, e 'nnanellato, ed irto;
Nè dell' ardente spirto

Della sua vista dolcemente acerba,

La qual dì e notte, più che lauro o mirto,
Tenea in me verde l' amorosa voglia,

Quando si veste e spoglia

Di fronde il bosco, e la campagna d' erba.

Ma, poichè Morte è stata sì superba,
Che spezzò 'l nodo ond' io temea scampare,
Nè trovar puoi, quantunque gira il mondo,
Di che ordischi 'l secondo,

Che giova, Amor, tuo' ingegni ritentare?
Passata è la stagion, perduto hai l'arme
Di ch' io tremava; omai che puoi tu farme?
L'arme tue furon gli occhi onde l'accese
Saette uscivan d' invisibil foco,

E ragion temean poco,

Che contra 'l ciel non val difesa umana;
Il pensar e'l tacer, il riso e 'l gioco,
L'abito onesto, e 'l ragionar cortese,
Le parole che 'ntese

Avrian fatto gentil d' alma villana,
L'angelica sembianza, umile, e piana,
Ch' or quinci or quindi udia tanto lodarsi,
E 'l sedere e lo star, che spesso altrui
Poser in dubbio a cui

Devesse il pregio di più laude darsi.
Con quest' arme vincevi ogni cor duro;
Or se' tu disarmato, i' son securo.

Gli animi ch' al tuo regno il cielo inchina,
Leghi ora in uno ed or in altro modo;

Ma me sol ad un nodo

Legar potei, che 'l ciel di più non volsė.

Quell' uno è rotto, e 'n libertà non godo;
Ma piango, e grido : ahi, nobil pellegrina,
Qual sentenza divina

Me legò innanzi, e te prima disciolse?
Dio, che sì tosto al mondo ti ritolse,

Ne mostrò tanta e sì alta virtute

Solo

per infiammar nostro desio.

Certo, omai non tem' io,

Amor, della tua man nove ferute.
Indarno tendi l'arco, a voto scocchi;

Sua virtù cadde al chiuder de' begli occhi. Morte m' ha sciolto, Amor, d' ogni tua legge;

Quella che fu mia donna, al cielo è gita,

Lasciando trista e libera mia vita.

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SONETTO III.

ARGOMENTO.

innamorarsi di nuovo; e avveniva forse, se morte non

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lo affrancava una seconda volta.

L'ARDENTE nodo ov' io fui d' ora in ora
Contando anni ventuno interi preso,
Morte disciolse, nè giammai tal peso
Provai, nè credo ch' uom di dolor mora.

Non volendomi Amor perder ancora,
Ebbe un altro lacciuol fra l'erba teso,
E di nov' esca un altro foco acceso,

Tal, ch'a gran pena indi campato fora.
E, se non fosse esperienza molta

De' primi affanni, i' sarei preso, ed arso
Tanto più, quanto son men verde legno.

Morte m'ha liberato un' altra volta,

E rotto 'l nodo, e 'l foco ha spento e sparso,
Contra la qual non val forza nè 'ngegno.

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