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Trionfal carro a gran gloria conduce.

Io, che gioir di tal vista non soglio,

Per lo secol noioso in ch'io mi trovo,

Voto d'ogni valor, pien d'ogni orgoglio, L'abito altero, inusitato, e novo

Mirai, alzando gli occhi gravi e stanchi;

Ch' altro diletto che 'mparar non provo. Quattro destrier via più che neve bianchi,

Sopr' un carro di foco un garzon crudo, Con arco in mano, e con saette a' fianchi Contra le quai non val elmo nè scudo;

Sopra gli omeri avea sol due grand' ali
Di color mille, e tutto l' altro ignudo;
D' intorno innumerabili mortali,

Parte presi in battaglia, e parte uccisi,
Parte feriti da pungenti strali.

Vago d' udir novelle, oltra mi misi

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Tanto, ch' io fui nell' esser di quegli uno,

Ch' anzi tempo ha di vita Amor divisi.

Allor mi strinsi a rimirar s' alcuno

Riconoscessi nella folta schiera
Del re sempre di lagrime digiuno.
Nessun vi riconobbi; e, s' alcun v' era
Di mia notizia, avea cangiato vista
Per morte, o per prigion crudele e fera.
Un' ombra, alquanto men che l' altre trista,

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Mi si fe' incontro, e mi chiamò per nome,
Dicendo questo per amar s' acquista.
Ond' io maravigliando dissi: or come
Conosci me, ch' io te non riconosca?
Ed ei questo m' avvien per l' aspre some
De' legami ch' io porto, e l' aria fosca

Contende agli occhi tuoi; ma vero amico
Ti sono, e teco nacqui in terra tosca.
Le sue parole e 'l ragionar antico

Scoperson quel che 'l viso mi celava,
E così n'ascendemmo in luogo aprico.
E cominciò gran tempo è ch' io pensava
Vederti quì fra noi, che da' prim' anni
Tal presagio di te tua vista dava.

E' fu ben ver; ma gli amorosi affanni

Mi spaventar sì, ch' io lasciai l'impresa;

Ma squarciati ne porto il petto e i panni. Così diss' io, ed ei, quand' ebbe intesa

La mia risposta, sorridendo disse:

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O figliuol mio, qual per te fiamma è accesa ! Io non l'intesi allor, ma or sì fisse

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E

Sue parole mi trovo nella testa,

Che mai più saldo in marmo non si scrisse.

per

la nova età, ch' ardita e presta
Fa la mente e la lingua, il dimandai:

Dimmi per cortesia, che gente è questa

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Di quì a poco tempo tu 'l saprai

Per te stesso, rispose, e sarai d'elli;

Tal

per te nodo fassi, e tu nol sai.

E prima cangerai volto e capelli,

Che 'l nodo, di ch' io parlo, si discioglia
Dal collo, e da' tuo' piedi ancor ribelli.
Ma, per empir la tua giovenil voglia,
Dirò di noi, e prima del maggiore

Che così vita e libertà ne spoglia.

Quest' è colui che 'l mondo chiama Amore,

Amaro, come vedi, e vedrai meglio Quando fia tuo, come nostro signore. Mansueto fanciullo, e fiero veglio ;

Ben sa chi'l prova, e fiati cosa piana
Anzi mill' anni, e 'nfin ad or ti sveglio.
Ei nacque d'ozio e di lascivia umana,

Nudrito di pensier dolci e soavi,
Fatto signor e Dio da gente vana.
Qual è morto da lui; qual con più gravi
Leggi mena sua vita aspra ed acerba,
Sotto mille catene e mille chiavi.
Quel che 'n sì signorile e sì superba

Vista vien prima, è Cesar, che 'n Egitto
Cleopatra legò tra' fiori e l'erba.
Or di lui si trionfa, ed è ben dritto,

Se vinse il mondo, ed altri ha vinto lui,

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Che del suo vincitor si glorie il vitto.
L'altro è 'l suo figlio, (e pur amò costui

Più giustamente) egli è Cesare Augusto,
Che Livia sua, pregando, tolse altrui.
Neron è 'l terzo, dispietato e 'ngiusto ;
Vedilo andar pien d' ira e di disdegno,
Femmina 'l vinse, e par tanto robusto.
Vedi 'l buon Marco d' ogni laude degno,
Pien di filosofia la lingua e 'l petto;
Pur Faustina il fa quì star a segno.
Que' duo pien di paura e di sospetto,
L'un è Dionisio, e l' altro è Alessandro;
Ma quel del suo temer ha degno effetto.
L'altro è colui che pianse sotto Antandro

La morte di Creusa, e 'l suo amor tolse

A quel che 'l suo figliuol tolse ad Evandro. Udito hai ragionar d' un che non volse

Consentir al furor della matrigna,

E da' suoi preghi per fuggir si sciolse; Ma quella intenzion casta e benigna

L'uccise, sì l'amor in odio torse
Fedra, amante terribile e maligna.
Ed ella ne morìo, vendetta forse

D' Ippolito, di Teseo, e d'Adrianna,
Ch' amando, come vedi, a morte corse.

Tal biasma altrui, che se stesso condanna;

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Che chi prende diletto di far frode,

Non si de' lamentar s' altri l' inganna.
Vedi 'l famoso con tante sue lode

Preso menar fra due sorelle morte,
L'una di lui, ed ei dell' altra gode.
Colui ch'è seco, è quel possente e forte
Ercole ch' Amor prese, e l' altro è Achille
Ch' ebbe in suo amor assai dogliosa sorte.
Quell' altro è Demofonte, e quella è Fille;

Quell' è Giason, e quell' altra è Medea,
Ch' Amor e lui seguì per tante ville ;
E quanto al padre ed al fratel fu rea,

Tanto al suo amante più turbata e fella,
Che del suo amor più degna esser credea.
Isifile vien poi, e duolsi anch' ella

Del barbarico amor che 'l suo gli ha tolto.
Poi vien colei ch' ha 'l titol d'esser bella.
Seco ha 'l pastor che mal il suo bel volto
Mirò sì fiso, ond' uscir gran tempeste,
E funne il mondo sottosopra volto.

Odi poi lamentar fra l'altre meste

Enone di Paris, e Menelao

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D' Elena, ed Ermion chiamare Oreste,

E Laodamia il suo Protesilao,

Ed Argia Polinice, assai più fida

Che l' avara moglier d' Anfiarao.

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