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SONETTO XXIX.

ARGOMENTO.

Godeva il mondo in Laura d' un maraviglioso spettacolo inaudito, cioè la vista d'onestà accompagnata con bellezza; or più non è, e sparì insieme quanto d' oltre al mortale in lei pose il cielo, natura,

e Amore.

DUE gran nemiche insieme erano aggiunte,
Bellezza ed onestà, con pace tanta,
Che mai rebellion l'anima santa

Non sentì poi ch' a star seco fur giunte.

Ed or per morte son sparse e disgiunte;
L'una è nel ciel, che se ne gloria e vanta,
L'altra sotterra, ch' i begli occhi ammanta,
Ond' uscir già tante amorose punte.

L'atto soave, e 'l parlar saggio umile

Che movea d'alto loco, e 'l dolce sguardo
Che piagava 'l mio core (ancor l'accenna)

Sono spariti; e, s'al seguir son tardo,
Forse avverrà che 'l bel nome gentile
Consacrerò con questa stanca penna.

SONETTO XXX.

ARGOMENTO.

E per quello che fu prima che Laura morisse, e per quello ch'è poscia divenuto, infelicissimo si giudica oltre ad ogni altro mortale.

QUAND' io mi volgo indietro a mirar gli anni,
Ch' hanno fuggendo i miei pensieri sparsi,

E

spento

'Ifoco ov' agghiacciando i' arsi,

E finito 'l riposo pien d'affanni,

Rotta la fe degli amorosi inganni;

E sol due parti d'ogni mio ben farsi,
L'una nel cielo, e l'altra in terra starsi;
E perduto 'l guadagno de' miei danni;

I' mi riscuoto, e trovomi sì nudo,

Ch' i' porto invidia ad ogni estrema sorte;
Tal cordoglio e paura ho di me stesso.

O mia stella, o fortuna, o fato, o morte,
per me sempre dolce giorno e crudo,
Come m'avete in basso stato messo!

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SONETTO XXXI.

ARGOMENTO.

Dove sono le tante bellezze che fiorirono in Laura? Dove le tante virtù di quell' anima divina? Dove colei che fu reina della sua mente?

Ov'è la fronte che con picciol cenno

Volgea 'l mio core in questa parte e'n quella?
Ov' è 'l bel ciglio, e l' una e l' altra stella
Ch' al corso del mio viver lume denno?

Ov' è 'l valor, la conoscenza, e 'l senno,
L'accorta, onesta, umil, dolce favella?
Ove son le bellezze accolte in ella,
Che gran tempo di me lor voglia fenno?

Ov'è l'ombra gentil del viso umano,
Ch'ora e riposo dava all' alma stanca,
E là 've i miei pensier scritti eran tutti ?

Ov' è colei che mia vita ebbe in mano?

Quanto al misero mondo, e quanto manca
Agli occhi miei! che mai non fieno asciutti.

SONETTO XXXII.

ARGOMENTO.

Desiderio di morte a potersi con Laura riunire, mosso da invidia al cielo ov'è l'anima beata, alla terra ch' in se chiude il bel corpo, a morte che stassi ne' begli occhi di Laura.

QUANTA
UANTA invidia ti porto, avara terra,
Ch' abbracci quella cui veder m' è tolto,
E mi contendi l'aria del bel volto

Dove pace trovai d' ogni mia guerra!

Quanta ne porto al ciel, che chiude e serra,
E sì cupidamente ha in se raccolto

Lo spirto dalle belle membra sciolto,

E

per altrui sì rado si disserra!

Quanta invidia a quell' anime che 'n sorte
Hann' or sua santa e dolce compagnia,
La qual io cercai sempre con tal brama !

Quanta alla dispietata e dura morte,
Ch' avendo spento in lei la vita mia,

Stassi ne' suoi begli occhi, e me non chiama !

SONETTO XXXIII.

ARGOMENTO.

Quanto accresca il suo dolore il luogo dove egli vide Laura viva, e donde mosse all' ultimo volo.

VALLE, che de' lamenti miei se' piena,
Fiume, che spesso del mio pianger cresci,
Fere silvestre, vaghi augelli, e pesci
Che l'una e l' altra verde riva affrena;

Aria de' miei sospir calda e serena,
Dolce sentier che sì amaro riesci,
Colle, che mi piacesti or mi rincresci,
Ov' ancor per usanza amor mi mena;

Ben riconosco in voi l' usate forme,
Non, lasso! in me, che da sì lieta vita
Son fatto albergo d' infinita doglia.

Quinci vedea 'l mio bene, e per quest' orme
Torno a veder ond' al ciel nuda è gita
Lasciando in terra la sua bella spoglia.

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