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za un uomo, che nella poesia parve inspirato dal Cielo, andava brancolando in coteste cose della Filosofia, della quale nondimeno gli ba lenavano molti bei raggi. Serve inoltre quest' opera mirabilmente alla illustrazione di molte parti della Commedia, e svela da quale spirito Dante fosse guidato nella creazione de' suoi pensieri. Dacchè, quantunque le sue opere non abbiano tra loro un'espressa dipendenza, in tutte però havvi certa conformità d'invenzioni e di spiriti, in tutte il medesimo amore alle allegorie, e la copia della dottrina, spesso superiore alla condizione de' tempi,

facies non omnibus una, Nec diversa tamen qualem decet esse sororum,

che più volte nell'una si trova il comento e la spiegazione dell'altra. Onde poichè tali opere si debbono pur ristampare (e niuno il contende), sarà sempre lodevole il far sì, ch'esse vengano alla luce di guisa, che non pajano totalmente indegne del gran nome che portano in fronte. E sarebbe poi follia il togliere l'onore della stampa a tante produzioni dell'umano ingegno, solamente perchè i progressi di questo hanno rese di minore importanza il loro contenuto. In tal modo si andrebbero perdendo infinite memorie dell'antica sapienza, e si verrebbe a certe conseguenze che sentirebbero di molta barbarie.

Così Dante si fosse sempre ed unicamente abbandonato al proprio sentimento, che gli apriva un vasto e chiarissimo orizzonte di osservazioni dedotte dal proprio cuore intor

no alla morale universale, come vedrassi nel quarto Trattato! Egli non si sarebbe allora volontariamente messo a giacere sul letto di Procuste delle sottigliezze scolastiche, assamendo qua e là un'aria pedantesca ed imbarazzata, mentre il suo ingegno vorrebbe spiccarsi a libero volo. Nè, in mezzo a molte sublimi bellezze di pensiero e ad alcuni passi veramente eloquenti che adornano questo libro e rivelano ad ogni tratto l'alto ingegno di Dante, verrebbe a farci pietà nel secondo Trattato il lungo paragone de'sette Cieli colle sette scienze del Trivio e del Quadrivio, come allora si chiamavano la Gramatica, la Rettorica, la Dialettica, l'Aritmetica, la Musica, la Geometria e l'Astronomia.

Ma per quanto l'uomo sia fornito d'ingegno meraviglioso è proprietà della sua natura, che poco o molto ei debba contrarre delle abitudini de'tempi in cui vive. Il che è da attribuirsi alle impressioni della prima educazione, alla necessità degli altrui consigli che ci sostengono quando non siamo ancor forti abbastanza a camminar da noi stessi, e poi mettono profonde radici negli animi nostri, a quella di farci intendere ed apprezzare dai nostri contemporanei.

Di qui il metodo peripatetico di disporre e di trattare gli argomenti che Dante aveva appreso nelle scuole della Teologia, da lui coltivata con lungo amore, di che si veggono le tracce in tutte le sue opere. Imperocchè tutto quel poco di scienza ch'era rimasto dal gran naufragio dell'umana civiltà erasi allora rifu

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giato ne' cenobii, e concentratosi negli studii teologici, secondo il metodo degli scolastici si nutriva di prolisse disputazioni e di distinzioni sottili.

A torto adunque un celebre scrittore va gridando in un suo Discorso sulla Divina Com

media: (9) <«< Non mi pare età questa no>>stra che voglia più comportare d'essere ad>> dottrinata sul poema di Dante in quanto ap» partiensi alla facoltà teologica, ec. » — Ma con quali altre dottrine, Dio buono! possiamo noi introdurci nella piena conoscenza di quell'opera, in cui Dante, consecrando la sua poesia colla religione, collegò la dottrina teologica de'tre stati spirituali dell'anima dopo la morte colla scienza inorale de'varii stati di questa vita, per inodo che quelli fossero tutto insieme significato e significante (10)?

Ma poichè in quel Discorso sono attribuiti al Convito ed alla Commedia due fini diversi, e vuolsi che il primo possa essere stato intrapreso da Dante per certe sue mire private e temporarie, e che l'altra fosse da lui destinata ad uno scopo universale e perpetuo, ne pare innanzi tratto di dover fare una disgressione non inopportuna dal nostro soggetto, per dire

(9) LA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI ILLUStraTA DA UGO FOSCOLO.-Tomo I. Discorso sul testo e su le opinioni diverse prevalenti intorno alla storia e alla emendazione critica della Commedia di Dante. LONDRA, Guglielmo Pickering, 1825, in 8.0 pag. 264.

(10) Ved. Gravina, Ragion poetica, Lib. 2. §. 1. ef. 13.

qualche cosa sull'audacissima opinione di quello scrittore intorno la Divina Commedia. La quale, dove fosse tenuta anche solamente per probabile, spargerebbe di brutte macchie la fama di Dante. E l'opinione ridotta in breve, e raccolta da varii passi sparsi qua e là nel Discorso, si è questa: che Dante non abbia in vita sua pubblicato giammai interamente il poema, ed anzi ne abbia gelosamente nascosta agli occhi di tutti la terza Cantica, perciocchè intendeva in esso, quando che fosse,

« a

>> riordinare per mezzo di celesti rivelazioni » la religione di Cristo e l'Italia. » (11) — Onde che, costituitosi riformatore non solo della disciplina, ma eziandio del dogma, avrebbe dettato quest'opera per una missione profetica, alla quale di proprio diritto sarebbesi con · sacrato con rito sacerdotale nell'altissimo dei Cieli, assuntovi come san Paolo. L'autore del Discorso raffigura cotesto rito della consacrazione all'apostolico ministero in que'versi sul fine del Canto vigesimoquarto del Paradiso, ove san Pietro benedice cantando il Poeta, e lo cinge tre volte (12): e vede chiaramente

(11) Disc. cit., pag. 334.

(12),, Cosi benedicendomi cantando,

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Tre volte cinse me, sì com'io tacqui,
L'apostolico lume, al cui comando
lo avea detto; si nel dir gli piacqui.

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E ciò non significa altro se non che san Pietro (figurato nell'apostolico lume), essendo stato soddisfatto di quello che Dante gli aveva risposto sulla Fede, lo benedice cantando, e gli gira intorno tre volte, per segno di approvazione. Il che dicesi chia

indicata l'anzidetta missione da Beatrice nel Canto vigesimoquinto della stessa Cantica con questi versi:

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La Chiesa militante alcun figliuolo

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"

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Non ha con più speranza, com'è scritto Nel Sol che raggia tutto nostro stuolo; Però gli è conceduto, che d'Egitto Vegna in Gerusalemme vedere, per Anzi che 'l militar gli sia prescritto. E qui al verbo prescrivere anzichè assegnare il senso, che tutti gli danno in cotesto passo, di limitare, por termine, l'autore del Discorso attribuisce l'altro di ingiugnere, comandare: onde in vece di trarre dagli ultimi due versi il senso legittimo di Venga a vedere il Paradiso, in premio della sua grande speranza, prima che sia posto termine al suo militare sulla terra, cioè alla sua mortale carriera, ne trae quest'altro, sul quale ștabilisce la sua opinione: Venga, ecc., prima che gli sia comandato di militare, cioè di combattere per la sua missione d' riformato

ramente nella terzina che precede i versi qui riferiti:

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Come 'I signor, ch' ascolta quel che piace, Da indi abbraccia il servo, gratulando Per la novella, tosto ch'ei si tace, ecc. e non vi si parla di consacrazione sacerdotale, benchè questo sarebbe stato il luogo; chè i signori non consacrano sacerdoti i loro servi congratulandosi quando portano loro le buone novelle. Pur l'autore del Discorso (pag. 79) trova espresso in que' versi, che san Pietro circonda tre volte a Dante la fronte di divino splendore, e vi ravvisą l'imposizione delle mani, ecc.

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