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re politico e religioso. Se Dante veramente sentisse nell'animo, o solo stimasse di far credere, ch' egli era delegato dagli Apostoli, l'autore del Discorso non lo tiene per definito, ma presume il primo (13). Ed ecco l'Alighieri trasformato per lo meno in un impostore scismatico, che da sè stesso sarebbesi condannato alla brutta pena della nona bolgia del suo Inferno (14), e la Divina Commedia accomunata coll'Alcorano (15). Per buona ventura però contra quanto havvi di sognato e di temerario in questa ipotesi, a cui il suo autore pretende di dare la consistenza del vero (16), risplende con luce di meriggio in tutti gli scritti di Dante quanto ingenua fosse la sua Fede, e quanto egli fosse affezionato al dogma in cui era nato e cresciuto. Nè perchè talvolta (essendo egli di indole sdegnosissima, e caldo d'ira ghibellina, che lo rendea furiosamente avverso alla confusione dei due reggimenti) insorga in fiera guisa contra tutto ciò che gli sembra disordine, e le parole non timide amiche del vero gli escano impetuose come vento che le più alte cime più percuote (17), non va però oltre quel punto ove la diritta sua coscienza gli grida di arrestarsi. Quindi protesta fin da principio che Roma è il loco santo, u'siede il successor del maggior Piero (18); e ove detesta l'avarizia

(13) Disc. cit., pag. 323.
(14) C. xxvíl.
(15) Disc. cit., pag. 84.
(16) Ivi, pag. 381.

(17) Par. C. XVII. v. 134.
(18) Inf. C. II. v. 23.24.

dei Pastori, rattiene contra Nicolò III. le parole troppo acerbe, per la reverenza delle somme chiavi (19); e s'inginocchia nel Purgatorio nel favellare a papa Adriano, riverendo sua dignitate (20); e in quel suo grande e personale nemico Bonifacio VIII. preso e schernito in Alagna, deplora rinnovellato l'aceto e il fiele, e Cristo prigioniero nel suo Vicario ed ucciso tra i vivi ladroni (21); e grida stolti coloro che sperano che la nostra ragione possa trascorrere la infinita via che tiene una Sustanzia in tre persone (22); e sono molti i luoghi consimili che si potrebbono raccogliere, ed a cui indarno il più ostinato scetticismo si studierebbe di opporne altri che loro sembrino contraddire. Perciocchè in questi ultimi ei prorompe con libero petto contra gli abusi, che vorrebbe tolti; e cantore della Rettitudine, mira a condurre sul retto sentiero coloro ch' ei crede traviati, porgendo loro vital nutrimento (23): non si però che da questo stes so magnanimo sdegno non si manifesti l'uomo intimamente religioso; ma ne' passi testè allegati, e negli altri che potrebbono allegarsi, si scorge aperto il suo cuore penetrato dalle verità di quella Fede ch'è principio alla via di salvazione (24). Lungi pertanto il pensiero, che un uomo animato da tali sentimenti ab

(19) Ivi, C. XIX. v. IOL.

(20) Purg. C. XIX. v. 127-132.
(21) Ivi, C. XX. v. 85-90,
(22) Ivi C. III. v. 34-45.
(23) Par. C. XVII. v, 131.
(4) Infer. C. H. v. 3o.

bia mai inteso a farsi novatore nella religione, e che debbasi dare interpretazione ereticale ad alcuni passi della Commedia, i quali l'autore del Discorso si studia di torcere a senso inusitato ed erroneo, rinnovando le stravaganze del P. Arduino, che pretendeva essere questo Poema opera di un settario di Wiclefo. Nel che havvi tanto di vero, quanto in quello ove l'Arduino medesimo sognò che l'Eneide di Virgilio fosse lavoro di qualche monaco de' bassi tempi, e che vi si ricoprisse sotto la venuta d' Enea in Italia il viaggio di san Pietro dalla Palestina a Roma.

Ma tornando al Convito, da cui ci siamo un po' dilungati, l'autore del Discorso lo crede composto con sentimenti repressi, e con certi riguardi di non offendere chicchessia (25); col

(25) Quanto sia mal fondata l'opinione di questo autore, che Dante, cioè, sia stato trattenuto dal pubblicare, mentre vivea, il suo Poema in tutto od in parte per la tema di offendere chi gli avrebbe potuto nuocere, o ch'egli avesse intenzione di tenerlo celato per lo scopo che gli si vorrebbe attribuire, chiaramente apparisce dal Canto XVII. del Paradiso (v. 100, sino alla fine). Ivi immagina il Poeta di chieder consiglio al suo antenato Cacciagnida, se deb. ba manifestare le cose apprese nel suo viaggio pei tre regni ; le quali taciute, o narrate altrimenti dal vero, non gli avrebbero procurata vita tra' posteri ; e ridette, sarebbero state a molti sapore di forte agrume, ond' ei correva rischio di perdere l'ospitale ricovero che, dopo essergli stata tolta la patria, trovava in altri paesi. E Cacciaguida, che qui non fa ch' interpetrare la volontà di Dante, gli risponde risolutamente:

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Coscienza fusca,
,, O della propria o dell' altrui vergogna,

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lo scopo che, pubblicato dallo stesso Dante, giovasse a risvegliare ne' suoi concittadini il senso della pietà e del desiderio verso di lui mendico e sbandito, ed a riaprirgli le porte della sempre desiderata sua patria. « Fosse » però ch'ei si desse a dettarlo di pianta, o >> solamente, com'è più verosimile mettesse >> insieme e allargasse con ordine e stile mol>>te questioni da lui tocche e abbozzate in più » tempi diversi, e le intrecciasse al comento >> delle sue canzoni amorose, » (26) — è opinione di quello scrittore, ch' ei l'abbia intrapreso nel 1313 (27), dopo la morte dell'imperatore Arrigo VII. di Lucemburgo, allorchè, rimasto privo d'altre speranze probabili, e godendo del più riposato domicilio in Ravenna sotto l'ale dell'Aquila da Polenta, ritentava e travedava fors' anche opportunità di tornare in Firenze. « Se gliene fu >> data intenzione (così l'Autore del Discor. » so (28)) non so; alcuni v'erano ad ogni mo>> do che avevano a cuore il suo ritorno, e ne » sollecitavano la repubblica. Può e non può » essere ch' egli, affrettandosi a mandare co

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Pur sentirà la tua parola brusca.

Ma nondimen rimossa ogni menzogna,

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TUTTA TUA VISION FA MANIFESTA,

E LASCIA PUr grattar doV'È LA ROGNA. Dunque nè intendeva di nascondere ciò ch' ei fingeva d'aver veduto e sentito, né temeva il risentimento di coloro ch'erano fatti bersaglio ai colpi del generoso suo sdegno.

(26) Disc, cit., pag. 227. (27) Ivi, pag. 205. e segg. (28) Ivi.

» pia agli amici suoi d'una parte dell'opera, » v'innestasse la querela de' suoi studii disa» giati, e il perdono a chiunque n'era stato » cagione; e anche a'cittadini ch'avevano fallato, o de' quali fu piacere ch' egli fosse >> gittato fuori del seno della bellissima e fa» mosissima figlia di Roma, Fiorenza, nel qua» le, con buona pace di quella, desiderava » con tutto il cuore di riposare l'animo stan» co (29)..... Quel passo quant'è piu raf>>frontato co' suoi vicini, tanto più ha faccia » d'intarsiatura. » — « Sarebbe assai faci>>le (30) l'andar additando che Dante col Poe» ma si preparava secretamente eterna gloria » da' posteri; e che intendeva di pubblicare >> il Convito, sperando di ripatriare.

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Da queste incerte ed avventate sentenze verremo ora a quello che pare a noi potersi con sicurezza affermare. Che Dante intraprendesse il Convito dopo aver divulgata la Vita Nuova, non havvi alcun dubbio, perocchè ne lo dice ei medesimo sul bel principio (31), e soggiunge d'averlo scritto dopo trapassata la gioventù, cioè, secondo la dottrina da lui posta nel quarto Trattato (32), dopo compiuto l'anno quarantacinquesimo. Quindi è pur cosa indubitata ch' ei fosse già esule, non tanto per la menzione che vi si trova dell'esilio (chè ben potrebbe avervela innestata dopo composte le altre parti del libro), quanto perchè la

(29) Vedi il Convito, pag. 20 e segg.

(30) Disc. cit., pag. 243.

(31) Conv. pag. 9.

(32) Cap. 24.

Vol. 11.

C

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