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Con proprio nome il ver, non altro in somma
Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo,
ne' civili ordini e modi,

E non pur
Ma della vita in tutte l' altre parti,
Per essenza insanabile, e per legge
Universal che terra e cielo abbraccia,
Ogni nato sarà. Ma novo e quasi
Divin consiglio ritrovâr gli eccelsi
Spirti del secol mio: che, non potendo
Felice in terra far persona alcuna,
L'uomo obbliando, a ricercar si diero
Una comun felicitade; e quella
Trovata agevolmente, essi di molti
Tristi e miseri tutti, un popol fanno
Lieto e felice; e tal portento, ancora
Da pamphlets, da riviste e da gazzette
Non dichiarato, il civil gregge ammira.

Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume

Dell' età ch' or si volge! E che sicuro
Filosofar, che sapienza, o Gino,
In più sublimi ancora e più riposti
Subbietti insegna ai secoli futuri
Il mio secolo e tuo! Con che costanza
Quel che ieri scherni, prosteso adora
Oggi, e domani abbatterà, per girne
Raccozzando i rottami, e per riporlo
Tra il fumo degl' incensi il di vegnente!
Quanto estimar si dee, che fede inspira
Del secol che si volge, anzi dell'anno,
Il concorde sentir! con quanta cura
Convienci a quel dell' anno, al qual difforme
Fia quel dell' altro appresso, il sentir nostro
Comparando, fuggir che mai d' un punto
Non sien diversi! E di che tratto innanzi,

Se al moderno si opponga il tempo antico, Filosofando il saper nostro è scorso!

Un già de' tuoi, lodato Gino; un franco Di poetar maestro, anzi di tutte Scienze ed arti e facoltadi umane, E menti che fur mai, sono e saranno, Dottore, emendator, lascia, mi disse, I propri affetti tuoi. Di lor non cura Questa virile età, vôlta ai severi Economici studi, e intenta il ciglio Nelle pubbliche cose. Il proprio petto Esplorar che ti val? Materia al canto Non cercar dentro te. Canta i bisogni Del secol nostro, e la matura speme. Memorande sentenze! ond' io solenni Le risa alzai quando sonava il nome Della speranza al mio profano orecchio Quasi comica voce, o come un suono Di lingua che dal latte si scompagni. Or torno addietro, ed al passato un corso Contrario imprendo, per non dubbi esempi Chiaro oggimai ch' al secol proprio vuolsi Non contraddir, non repugnar, se lode Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente Adulando ubbidir: cosi per breve Ed agiato cammin vassi alle stelle. Ond' io, degli astri desioso, al canto Del secolo i bisogni omai non penso Materia far; chè a quelli, ognor crescendo, Provveggono i mercanti e le officine Già largamente; ma la speme io certo Dirò, la speme, onde visibil pegno Già concedon gli Dei; già, della nova Felicità principio, ostenta il labbro

De' giovani, e la guancia, enorme il pelo. O salve, o segno salutare, o prima Luce della famosa età che sorge.

Mira dinanzi a te come s' allegra

La terra e il ciel, come sfavilla il guardo Delle donzelle, per conviti e feste

Qual de' barbati eroi fama già vola.

Cresci, cresci alla patria, o maschia certo
Moderna prole. All'ombra de' tuoi velli
Italia crescerà, crescerà tutta
Dalle foci del Tago all' Ellesponto
Europa, e il mondo poserà sicuro.
E tu comincia a salutar col riso
Gl'ispidi genitori, o prole infante,
Eletta agli aurei di: nè ti spauri
L'innocuo nereggiar de' cari aspetti.
Ridi, o tenera prole: a te serbato
È di cotanto favellare il frutto;
Veder gioia regnar, cittadi e ville,
Vecchiezza, gioventù del par contente;
E le barbe ondeggiar lunghe due spanne.

XXXIII.

IL TRAMONTO DELLA LUNA.

Quale in notte solinga,

Sovra campagne inargentate ed acque,
Là 've zefiro aleggia,

E mille vaghi aspetti
E ingannevoli obbietti
Fingon l'ombre lontane
Infra l'onde tranquille

E rami e siepi e collinette e ville;

Giunta al confin del cielo,

Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno

Nell' infinito seno

Scende la luna; e si scolora il mondo;

Spariscon l'ombre, ed una

Oscurità la valle e il monte imbruna;

Orba la notte resta,

E cantando, con mesta melodia,
L'estremo albor della fuggente luce,

Che dianzi gli fu duce,

Saluta il carrettier dalla sua via;

Tal si dilegua, e tale

Lascia l'età mortale

La giovinezza. In fuga

Van l'ombre e le sembianze

Dei dilettosi inganni; e vengon meno

Le lontane speranze,

Ove s' appoggia la mortal natura.
Abbandonata, oscura

Resta la vita. In lei porgendo il guardo,
Cerca il confuso viatore invano

Del cammin lungo che avanzar si sente
Meta o ragione; e vede

Ch'a se l' umana sede,

Esso a lei veramente è fatto estrano.

Troppo felice e lieta

Nostra misera sorte

Parve lassù, se il giovanile stato,
Dove ogni ben di mille pene è frutto,
Durasse tutto della vita il corso.
Troppo mite decreto

Quel che sentenzia ogni animale a morte,
S'anco mezza la via

Lor non si desse in pria

Della terribil morte assai più dura.

D'intelletti immortali

Degno trovato, estremo

Di tutti i mali, ritrovâr gli eterni

La vecchiezza, ove Iosse

Incolume il desio, la speme estinta,

Secche le fonti del piacer, le pene

Maggiori sempre, e non più dato il bene.

Voi, collinette e piagge,

Caduto lo splendor che all' occidente
Inargentava della notte il velo,

Orfane ancor gran tempo

Non resterete, chè dall' altra parte

Tosto vedrete il cielo

Imbiancar novamente, e sorger l'alba:
Alla qual poscia seguitando il sole,
E folgorando intorno

LEOPARDI. Opere. — 1.

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