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dici, i quali le interrogavano, mentre che un officiale scriveva.

Prometeo. Chi sono questi sciagurati?

Famiglio. Il mio padrone e i figliuoli.

Prometeo. Chi gli ha uccisi?

Famiglio. Il padrone tutti e tre.

Prometeo. Tu vuoi dire i figliuoli e se stesso?

Famiglio. Appunto.

Prometeo. Oh che è mai cotesto! qualche grandissima sventura gli doveva essere accaduta.

Famiglio. Nessuna, che io sappia.

Prometeo. Ma forse era povero, o disprezzato da tutti, o sfortunato in amore, o in corte?

Famiglio. Anzi ricchissimo, e credo che tutti lo stimassero; di amore non se ne curava, e in corte aveva molto favore.

Prometeo. Dunque come è caduto in questa dispera

zione?

Famiglio. Per tedio della vita, secondo che ha lasciato scritto.

Prometeo. E questi giudici che fanno?

Famiglio. S'informano se il padrone era impazzito o no: che in caso non fosse impazzito, la sua roba ricade al pubblico per legge: e in verità non si potrà fare che 'non ricada.

Prometeo. Ma, dimmi, non aveva nessuno amico o parente, a cui potesse raccomandare questi fanciulli, in cambio d' ammazzarli ?

Famiglio. Si aveva; e tra gli altri, uno che gli era molto intrinseco, al quale ha raccomandato il suo cane (19).

Momo stava per congratularsi con Prometeo sopra i buoni effetti della civiltà, e sopra la contentezza che appariva ne risultasse alla nostra vita; e voleva anche ramLEOPARDI. Opere.

22

si

memorargli che nessun altro animale fuori dell' uomo, uccide volontariamente esso medesimo, nè spegne per disperazione della vita i figliuoli: ma Prometeo lo prevenne; e senza curarsi di vedere le due parti del mondo che rimanevano, gli pagò la scommessa.

DIALOGO

DI UN FISICO E DI UN METAFISICO.

Fisico. Eureca, eureca (20).
Metafisico. Che è? che hai trovato?
Fisico. L'arte di vivere lungamente (21).
Metafisico. E cotesto libro che porti?

Fisico. Qui la dichiaro: e per questa invenzione, se gli altri vivranno lungo tempo, io vivrò per lo meno in eterno; voglio dire che ne acquisterò gloria immortale.

Metafisico. Fa' una cosa a mio modo. Trova una cassettina di piombo, chiudivi cotesto libro, sotterrala, e prima di morire ricòrdati di lasciar detto il luogo, acciocchè vi si possa andare, e cavare il libro, quando sarà trovata l'arte di vivere felicemente.

Fisico. E in questo mezzo?

Metafisico. In questo mezzo non sarà buono da nulla.
Più lo stimerei se contenesse l'arte di viver poco.
Fisico. Cotesta è già saputa da un pezzo; e non fu
difficile a trovarla.

Metafisico. In ogni modo la stimo più della tua.
Fisico. Perchè?

Metafisico. Perchè se la vita non è felice, che fino a ora non è stata, meglio ci torna averla breve che lunga. Fisico. Oh cotesto no: perchè la vita è bene da se medesima, e ciascuno la desidera e l' ama naturalmente.

Metafisico. Cosi credono gli uomini; ma s' ingannano: come il volgo s'inganna pensando che i colori sieno qualità degli oggetti: quando non sono degli oggetti, ma della luce. Dico che l' uomo non desidera e non ama se non la felicità propria. Però non ama la vita, se non in quanto la reputa instrumento o subbietto di essa felicità. In modo che propriamente viene ad amare questa e non quella, ancorchè spessissimo attribuisca all'una l'amore che porta all' altra. Vero è che questo inganno e quello dei colori sono tutti e due naturali. Ma che l'amore della vita negli uomini non sia naturale, o vogliamo dire non sia necessario, vedi che moltissimi ai tempi antichi elessero di morire potendo vivere, e moltissimi ai tempi nostri desiderano la morte in diversi casi, e alcuni si uccidono di propria mano. Cose che non potrebbero essere se l'amore della vita per se medesimo fosse natura dell' uomo. Come essendo natura di ogni vivente l'amore della propria felicità, prima cadrebbe il mondo, che alcuno di loro lasciasse di amarla e di procurarla a suo modo. Che poi la vita sia bene per se medesima, aspetto che tu me lo provi, con ragioni o fisiche o metafisiche di qualunque disciplina. Per me, dico che la vita felice, saria bene senza fallo; ma come felice, non come vita. La vita infelice, in quanto all' essere infelice, è male; e atteso che la natura, almeno quella degli uomini, porta che vita e infelicità non si possono scompagnare, discorri tu medesimo quello che ne segua.

Fisico. Di grazia, lasciamo cotesta materia, che è troppo malinconica; e senza tante sottigliezze, rispondimi sinceramente: se l' uomo vivesse e potesse vivere in eterno; dico senza morire, e non dopo morto; credi tu che non gli piacesse?

Metafisico. A un presupposto favoloso risponderò con qualche favola; tanto più che non sono mai vissuto in

eterno, sicchè non posso rispondere per esperienza; nè anche ho parlato con alcuno che fosse immortale; e fuori che nelle favole, non trovo notizia di persone di tal sorta. Se fosse qui presente il Cagliostro, forse ci potrebbe dare un poco di lume; essendo vissuto parecchi secoli: se bene, perchè poi morì come gli altri, non pare che fosse immortale. Dirò dunque che il saggio Chirone, che era dio, coll' andar del tempo si annoiò della vita, piglid licenza da Giove di poter morire, e morì (22). Or pensa, se l'immortalità rincresce agli Dei, che farebbe agli uomini. Gl' Iperborei, popolo incognito, ma famoso; ai quali non si può penetrare, nè per terra nè per acqua; ricchi di ogni bene; e specialmente di bellissimi asini, dei quali sogliono fare ecatombe; potendo, se io non m' inganno, essere immortali; perchè non hanno infermità nè fatiche nè guerre nè discordie nè carestie .nè vizi nè colpe, contuttociò muoiono tutti: perchè, in capo a mille anni di vita o circa, sazi della terra, saltano spontaneamente da una certa rupe in mare, e vi si annegano (23). Aggiungi quest' altra favola, Bitone e Cleobi fratelli, un giorno di festa, che non erano in pronto le mule, essendo sottentrati al carro della madre, sacerdotessa di Giunone, e condottala al tempio; quella supplicò la dea che rimunerasse la pietà de' figliuoli col maggior bene che possa cadere negli uomini. Giunone, in vece di farli immortali, come avrebbe potuto; e allora si costumava; fece che l'uno e l'altro pian piano se ne morirono in quella medesima ora. Il simile toccò ad Agamede e a Trofonio. Finito il tempio di Delfo, fecero instanza ad Apollo che li pagasse: il quale rispose volerli soddisfare fra sette giorni; in questo mezzo attendessero a far gozzoviglia a loro spese. La settima notte, mandò loro un dolce sonno, dal quale ancora s'hanno a svegliare; e avuta questa, non dimandarono altra paga. Ma poichè siamo in sulle

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