Sayfadaki görseller
PDF
ePub

favole, eccotene un' altra, intorno alla quale ti vo' proporre una questione. Io so che oggi i vostri pari tengono per sentenza certa, che la vita umana, in qualunque paese abitato, e sotto qualunque cielo, dura naturalmente, eccetto piccole differenze, una medesima quantità di tempo, considerando ciascun popolo in grosso. Ma qualche buono antico (24) racconta che gli uomini di alcune parti dell' India e dell' Etiopia non campano oltre a quarant' anni; chi muore in questa età, muor vecchissimo; e le fanciulle di sette anni sono di età da marito. Il quale ultimo capo sappiamo che, appresso a poco, si verifica nella Guinea, nel Decan e in altri luoghi sottoposti alla zona torrida. Dunque, presupponendo per vero che si trovi una o più nazioni, gli uomini delle quali regolarmente non passino i quarant'anni di vita; e ciò sia per natura, non, come si è creduto degli Ottentotti, per altre cagioni; domando se in rispetto a questo, ti, pare che i detti popoli debbano essere più miseri o più felici degli altri?

Fisico. Più miseri senza fallo, venendo a morte più presto.

Metafisico. Io credo il contrario anche per cotesta ragione. Ma qui non consiste il punto. Fa' un poco di avvertenza. Io negava che la pura vita, cioè a dire il semplice sentimento dell' esser proprio, fosse cosa amabile e desiderabile per natura. Ma quello che forse più degnamente ha nome altresì di vita, voglio dire l'efficacia e la copia delle sensazioni, è naturalmente amato e desiderato da tutti gli uomini: perchè qualunque azione o passione viva e forte, purchè non ci sia rincrescevole o dolorosa, col solo essere viva e forte, ci riesce grata, eziandio mancando di ogni altra qualità dilettevole. Ora in quella specie d' uomini, la vita dei quali si consumasse naturalmente in ispazio di quarant'anni, cioè nella

metà del tempo destinato dalla natura agli altri uomini; essa vita in ciascheduna sua parte, sarebbe più viva il doppio di questa nostra: perchè, dovendo coloro crescere, e giungere a perfezione, e similmente appassire e mancare, nella metà del tempo; le operazioni vitali della loro natura, proporzionatamente a questa celerità, sarebbero in ciascuno istante doppie di forza per rispetto a quello che accade negli altri; ed anche le azioni volontarie di questi tali, la mobilità e la vivacità estrinseca, corrisponderebbero a questa maggiore efficacia. Di modo che essi avrebbero in minore spazio di tempo la stessa quantità di vita che abbiamo noi. La quale distribuendosi in minor numero d'anni basterebbe a riempierli, 0 vi lascerebbe piccoli vani; laddove ella non basta a uno spazio doppio e gli atti e le sensazioni di coloro, essendo più forti, e raccolte in un giro più stretto, sarebbero quasi bastanti a occupare e a vivificare tutta la loro età; dove che nella nostra, molto più lunga, restano spessissimi e grandi intervalli, vôti di ogni azione e affezione viva. E poichè non il semplice essere, ma il solo essere felice, è desiderabile; e la buona o cattiva sorte di chicchessia non si misura dal numero dei giorni ; io conchiudo che la vita di quelle nazioni, che quanto più breve, tanto sarebbe men povera di piacere, o di quello che è chiamato con questo nome, si vorrebbe anteporre alla vita nostra, ed anche a quella dei primi re dell' Assiria, dell'Egitto, della Cina, dell'India, e d'altri paesi; che vissero, per tornare alle favole, migliaia d'anni. Perciò, non solo io non mi curo dell' immortalità, e sono contento di lasciarla a' pesci; ai quali la dona il Leeuwenhoek, purchè non sieno mangiati dagli uomini o dalle balene; ma, in cambio di ritardare o interrompere la vegetazione del nostro corpo per allungare la vita, come propone il Maupertuis (25), io vorrei che la potessimo accelerare

in modo, che la vita nostra si riducesse alla misura di quella di alcuni insetti, chiamati efimeri, dei quali si dice che i più vecchi non passano l' età di un giorno, e contuttociò muoiono bisavoli e trisavoli. Nel qual caso, io stimo che non ci rimarrebbe luogo alla noia. Che pensi di questo ragionamento?

Fisico. Penso che non mi persuade; e che se tu ami la metafisica, io m' attengo alla fisica: voglio dire che se tu guardi pel sottile, io guardo alla grossa, e me ne contento. Però senza mettere mano al microscopio, giudico che la vita sia più bella della morte, e do il pomo a quella, guardandole tutte due vestite.

Metafisico. Così giudico anch' io. Ma quando mi torna a mente il costume di quei barbari, che per ciascun giorno infelice della loro vita, gittavano in un turcasso una pietruzza nera, e per ogni dì felice una bianca (26); penso quanto poco numero delle bianche è verisimile che fosse trovato in quelle faretre alla morte di ciascheduno, e quanto gran moltitudine delle nere. E desidero vedermi davanti tutte le pietruzze dei giorni che mi rimangono; e, sceverandole, aver facoltà di gittar via tutte le nere, e detrarle dalla mia vita; riserbandomi solo le bianche: quantunque io sappia bene che non farebbero gran cumulo, e sarebbero di un bianco torbido.

Fisico. Molti, per lo contrario, quando anche tutti i sassolini fossero neri, e più neri del paragone, vorrebbero potervene aggiungere, benchè dello stesso colore: perchè tengono per fermo che niun sassolino sia così nero come l'ultimo. E questi tali, del cui numero sono anch'io, potranno aggiungere in effetto molti sassolini alla loro. vita, usando l'arte che si mostra in questo mio libro.

Metafisico. Ciascuno pensi ed operi a suo talento: e anche la morte non mancherà di fare a suo modo. Ma se tu vuoi, prolungando la vita, giovare agli uomini vera

mente; trova un' arte per la quale sieno moltiplicate di numero e di gagliardia le sensazioni e le azioni loro. Nel qual modo, accrescerai propriamente la vita umana, ed empiendo quegli smisurati intervalli di tempo nei quali il nostro essere è piuttosto durare che vivere, ti potrai dar vanto di prolungarla. E ciò senza andare in cerca dell' impossibile, o usar violenza alla natura, anzi secondandola. Non pare a te che gli antichi vivessero più di noi, dato ancora che, per li pericoli gravi e continui che solevano correre, morissero comunemente più presto? E farai grandissimo beneficio agli uomini: la cui vita fu sempre, non dirò felice, ma tanto meno infelice, quanto più fortemente agitata, e in maggior parte occupata, senza dolore nè disagio. Ma piena d' ozio e di tedio, che è quanto dire vacua, dà luogo a creder vera quella sentenza di Pirrone, che dalla vita alla morte non è divario. Il che se io credessi, ti giuro che la morte mi spaventerebbe non poco. Ma in fine, la vita debb' esser viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio.

DIALOGO

DI TORQUATO TASSO E DEL SUO GENIO FAMILIARE. (27)

Genio. Come stai, Torquato?

Tasso. Ben sai come si può stare in una prigione, e dentro ai guai fino al collo.

Genio. Via, ma dopo cenato non è tempo da dolersene. Fa' buon animo, e ridiamone insieme.

Tasso. Ci son poco atto. Ma la tua presenza e le tue parole sempre mi consolano. Siedimi qui accanto.

Genio. Che io segga? La non è già cosa facile a uno spirito. Ma ecco: fa'conto ch' io sto seduto.

Tasso. Oh potess' io rivedere la mia Leonora. Ogni volta che ella mi torna alla mente, mi nasce un brivido di gioia, che dalla cima del capo mi si stende fino all'ultima punta de' piedi; e non resta in me nervo nè vena che non sia scossa. Talora, pensando a lei, mi si ravvivano nell'animo certe immagini e certi affetti, tali, che per quel poco tempo, mi pare di essere ancora quello stesso Torquato che fui prima di aver fatto esperienza delle sciagure e degli uomini, e che ora io piango tante volte per morto. In vero, io direi che l'uso del mondo, e l'esercizio de' patimenti, sogliono come profondare e sopire dentro a ciascuno di noi quel primo uomo che egli era: il quale di tratto in tratto si desta per poco spazio, ma tanto più di rado quanto è il progresso degli anni; sempre più

« ÖncekiDevam »