D'uomini ardea, non di fanciulle, amore. V'incresca esser nomate. I danni e il pianto La stirpe vostra, e quel che pregia e cole Tra le memorie e il grido Crescean di Sparta i figli al greco nome; Brando cingeva al caro lato, e poi Sul corpo esangue e nudo Quando e' reddía nel conservato scudo. Virginia, a te la molle Gota molcea con le celesti dita E all'Erebo scendesti Volonterosa. A me disfiori e sciogli Vecchiezza i membri, o padre; a me s'appresti, Dicea, la tomba, anzi che l' empio letto Del tiranno m'accoglia. E se pur vita e lena Roma avrà dal mio sangue, e tu mi svena. O generosa, ancora Che più bello a' tuoi di splendesse il sole È quella tomba cui di pianto onora L'alma terra nativa. Ecco alla vaga Tua spoglia intorno la romulea prole Di nova ira sfavilla: ecco di polve Lorda il tiranno i crini; E libertade avvampa Gli obbliviosi petti; e nella doma In duri ozi sepolta Femmineo fato avviva un'altra volta. A UN VINCITORE NEL PALLONE. Di gloria il viso e la gioconda voce, E quanto al femminile ozio sovrasti Te rigoglioso dell' età novella Gli antichi esempi a rinnovar prepara. Non colorò la destra Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, D'emula brama il punse. E nell' Alfeo Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de' Medi fuggitivi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido L'alto sen dell' Eufrate e il servo lido. Vano dirai quel che disserra e scote Le riposte faville? e che del fioco Da poi che Febo instiga, altro che giuoco Natura stessa: e là dove l'insano Negli ozi oscuri e nudi Mutò la gente i gloriosi studi. Tempo forse verrà ch' alle ruine Insultino gli armenti, e che l' aratro Dal rimembrar delle passate imprese. Chiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea, di ch' ella è spoglia, |