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La bellissima donna; e fiso il guardo,
Di mille vezzi sfavillante, in quello
Tenea dell' infelice, ove l'estrema
Lacrima rilucea. Nè dielle il core
Di sprezzar la dimanda, e il mesto addio
Rinacerbir col niego; anzi la vinse
Misericordia dei ben noti ardori.

E quel volto celeste, e quella bocca,
Già tanto desiata, e per molt' anni
Argomento di sogno e di sospiro,
Dolcemente appressando al volto afflitto
E scolorato dal mortale affanno,

Più baci e più, tutta benigna e in vista
D'alta pietà, su le convulse labbra
Del trepido, rapito amante impresse.

Che divenisti allor? quali appariro
Vita, morte, sventura agli occhi tuoi,
Fuggitivo Consalvo? Egli la mano,
Ch' ancor tenea, della diletta Elvira
Postasi al cor, che gli ultimi battea
Palpiti della morte e dell' amore,
Oh, disse, Elvira, Elvira mia! ben sono
In su la terra ancor; ben quelle labbra
Fur le tue labbra, e la tua mano io stringo!
Ahi vision d' estinto, o sogno, o cosa
Incredibil mi par. Deh quanto, Elvira,
Quanto debbo alla morte! Ascoso innanzi
Non ti fu l'amor mio per alcun tempo;
Non a te, non altrui; chè non si cela
Vero amore alla terra. Assai palese
Agli atti, al volto sbigottito, agli occhi,
Ti fu: ma non ai detti. Ancora e sempre
Muto sarebbe l'infinito affetto

Che governa il cor mio, se non l'avesse

Fatto ardito il morir. Morrò contento
Del mio destino omai, nè più mi dolgo
Ch' aprii le luci al di. Non vissi indarno,
Poscia che quella bocca alla mia bocca
Premer fu dato. Anzi felice estimo

La sorte mia. Due cose belle ha il mondo:
Amore e morte. All'una il ciel mi guida
In sul fior dell' età; nell' altro, assai
Fortunato mi tengo. Ah, se una volta,
Solo una volta il lungo amor quïeto
E pago avessi tu, fôra la terra
Fatta quindi per sempre un paradiso
Ai cangiati occhi miei. Fin la vecchiezza,
L'abborrita vecchiezza, avrei sofferto
Con riposato cor: chè a sostentarla
Bastato sempre il rimembrar sarebbe
D'un solo istante, e il dir: felice io fui
Sovra tutti i felici. Ahi, ma cotanto
Esser beato non consente il cielo
A natura terrena. Amar tant' oltre
Non è dato con gioia. E ben per patto
In poter del carnefice ai flagelli,
Alle ruote, alle faci ito volando
Sarei dalle tue braccia; e ben disceso

Nel paventato sempiterno scempio.

O Elvira, Elvira, oh lui felice, oh sovra Gl'immortali beato, a cui tu schiuda Il sorriso d' amor! felice appresso Chi per te sparga con la vita il sangue! Lice, lice al mortal, non è già sogno Come stimai gran tempo, ahi lice in terra Provar felicità. Ciò seppi il giorno Che fiso io ti mirai. Ben per mia morte Questo m' accadde. E non però quel giorno

Con certo cor giammai, fra tante ambasce,
Quel fiero giorno biasimar sostenni.

Or tu vivi beata, e il mondo abbella,
Elvira mia, col tuo sembiante. Alcuno
Non t'amerà quant' io t' amai. Non nasce
Un altrettale amor. Quanto, deh quanto
Dal misero Consalvo in sì gran tempo
Chiamata fosti, e lamentata, e pianta!
Come al nome d' Elvira, in cor gelando,
Impallidir; come tremar son uso
All' amaro calcar della tua soglia,
A quella voce angelica, all'aspetto

Di quella fronte, io ch' al morir non tremo!
Ma la lena e la vita or vengon meno
Agli accenti d' amor. Passato è il tempo,
Nè questo dì rimemorar m' è dato.
Elvira, addio. Con la vital favilla
La tua diletta immagine si parte
Dal mio cor finalmente. Addio. Se grave
Non ti fu quest' affetto, al mio féretro
Dimani all' annottar manda un sospiro.

Tacque: nè molto andò, che a lui col suono Mancò lo spirto; e innanzi sera il primo Suo di felice gli fuggía dal guardo.

XVIII.

ALLA SUA DONNA.

Cara beltà che amore

Lunge m' inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core

Ombra diva mi scuoti,

O ne' campi ove splenda

Più vago il giorno e di natura il riso;

Forse tu l'innocente

Secol beasti che dall' oro ha nome,

Or leve intra la gente

Anima voli? o te la sorte avara

Ch' a noi t' asconde, agli avvenir prepara?

Viva mirarti omai

Nulla spene m' avanza;

S'allor non fosse, allor che ignudo e solo
Per novo calle a peregrina stanza

Verrà lo spirto mio. Già sul novello
Aprir di mia giornata incerta e bruna,
Te viatrice in questo arido suolo
Io mi pensai. Ma non è cosa in terra
Che ti somigli; e s'anco pari alcuna
Ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
Saria, così conforme, assai men bella.
Fra cotanto dolore

Quanto all' umana età propose il fato,
Se vera e quale il mio pensier ti pinge,

Alcun t'amasse in terra, a lui pur fôra
Questo viver beato:

E ben chiaro vegg' io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne' prim' anni
L'amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
Il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
E teco la mortal vita saria

Simile a quella che nel cielo india.
Per le valli, ove suona

Del faticoso agricoltore il canto,
Ed io seggo e mi lagno

Del giovanile error che m' abbandona;
E per li poggi, ov' io rimembro e piagno
I perduti desiri, e la perduta

Speme de' giorni miei; di te pensando,
A palpitar mi sveglio. E potess' io,
Nel secol tetro e in questo äer nefando,
L'alta specie serbar; chè dell'imago,
Poi che del ver m'è tolto, assai m' appago.
Se dell' eterne idee

L'una sei tu, cui di sensibil forma

Sdegni l'eterno senno esser vestita,
E fra caduche spoglie

Provar gli affanni di funerea vita;
O s'altra terra ne' superni giri
Fra' mondi innumerabili t' accoglie,
E più vaga del Sol prossima stella
T'irraggia, e più benigno etere spiri;
qua dove son gli anni infausti e brevi,
Questo d' ignoto amante inno ricevi.

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