XXXVI. SCHERZO. Quando fanciullo io venni La mi condusse intorno A che ciascun di loro Delle prose e de' versi. lo mirava, e chiedea: Musa, la lima ov'è? Disse la Dea: La lima è consumata; or facciam senza Ed io, ma di rifarla Non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca? Rispose hassi a rifar, ma il tempo manca. FRAMMENTI. XXXVII ALCETA. Odi, Melisso: io vo' contarti un sogno Che quanto nel cader s' approssimava, E ne fumavan l'erbe intorno intorno. Allor mirando in ciel, vidi rimaso Come un barlume, o un'orma, anzi una nicchia, MELISSO. E ben hai che temer, chè agevol cosa ALCETA. Chi sa? non veggiam noi spesso di state Cader le stelle? MELISSO. Egli ci ha tante stelle, Che picciol danno è cader l'una o l'oltra Ha questa luna in ciel, che da nessuno sogno. XXXVIII. lo qui vagando al limitare intorno, Invan la pioggia invoco e la tempesta Acciò che la ritenga al mio soggiorno. Pure il vento muggía nella foresta, O care nubi, o cielo, o terra, o piante, O turbine, or ti sveglia, or fate prova S'apre il ciel, cade il soffio, in ogni canto Posan l'erbe e le frondi, e m'abbarbaglia Le luci il crudo sol pregne di pianto. XXXIX. Spento il diurno raggio in occidente, Quand' ella, vôlta all'amorosa meta, Spandeva il suo chiaror per ogni banda La sorella del sole, e fea d'argento Gli arbori ch'a quel loco eran ghirlanda. I ramuscelli ivan cantando al vento, E in un con l'usignol che sempre piagne Fra i tronchi un rivo fea dolce lamento. Limpido il mar da lungi, e le campagne E le foreste, e tutte ad una ad una Le cime si scoprian delle montagne. In queta ombra giacea la valle bruna, E i collicelli intorno rivestia Del suo candor la rugiadosa luna. Sola tenea la taciturna via La donna, e il vento che gli odori spande, Molle passar sul volto si sentia. Se lieta fosse, è van che tu dimande: Piacer prendea di quella vista, e il bene Che il cor le prometteva era più grande. Come fuggiste, o belle ore serene! Dilettevol quaggiù null' altro dura, Nè si ferma giammai, se non la spene. Ecco turbar la notte, e farsi oscura |