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cuni Inglesi, di cacio fresco (14)? che Maometto un giorno, o una notte che fosse, ti spartì per mezzo, come un cocomero; e che un buon tocco del tuo corpo gli sdrucciolò dentro alla manica? Come stai volentieri in cima dei minareti? Che ti pare della festa del bairam?

Luna. Va' pure avanti; chè mentre seguiti così, non ho cagione di risponderti, e di mancare al silenzio mio solito. Se hai caro d'intrattenerti in ciance, e non trovi altre materie che queste; in cambio di voltarti a me, che non ti posso intendere, sarà meglio che ti facci fabbricare dagli uomini un altro pianeta da girartisi intorno, che sia composto e abitato alla tua maniera. Tu non sai parlare altro che d' uomini e di cani e di cose simili, delle quali ho tanta notizia, quanta di quel sole grande grande, intorno al quale odo che giri il nostro sole.

Terra. Veramente più che io propongo, nel favellarti, di astenermi da toccare le cose proprie, meno mi vien fatto. Ma da ora innanzi ci avrò più cura. Dimmi: sei tu che ti pigli spasso a tirarmi l'acqua del mare in alto, e poi lasciarla cadere?

Luna. Può essere. Ma posto che io ti faccia cotesto o qualunque altro effetto, io non mi avveggo di fartelo: come tu similmente, per quello che io penso, non ti accorgi di molti effetti che fai qui; che debbono essere tanto maggiori de'miei, quanto tu mi vinci di grandezza e di forza.

Terra. Di cotesti effetti veramente io non so altro se non che di tanto in tanto io levo a te la luce del sole, e a me la tua; come ancora, che io ti fo gran lume nelle tue notti, che in parte lo veggo alcune volte (15). Ma io mi dimenticava una cosa che importa più d'ogni altra. Io vorrei sapere se veramente, secondo che scrive l'Ariosto, tutto quello che ciascun uomo va perdendo; come a dire la gioventù, la bellezza, la sanità, le fatiche e spese

che si mettono nei buoni studi per essere onorati dagli altri, nell'indirizzare i fanciulli ai buoni costumi, nel fare o promuovere le instituzioni utili; tutto sale e si raguna costà: di modo che vi si trovano tutte le cose umane; fuori della pazzia, che non si parte dagli uomini. In caso che questo sia vero, io fo conto che tu debba essere così piena, che non ti avanzi più luogo; specialmente che, negli ultimi tempi, gli uomini hanno perduto moltissime cose (verbigrazia l'amor patrio, la virtù, la magnanimità, la rettitudine), non già solo in parte, e l'uno o l'altro di loro, come per l'addietro, ma tutti e interamente. E certo che se elle non sono costì, non credo si possano trovare in altro luogo. Però vorrei che noi facessimo insieme una convenzione, per la quale tu mi rendessi di presente, e poi di mano in mano, tutte queste cose; donde io penso che tu medesima abbi caro di essere sgomberata, massime del senno, il quale intendo che occupa costì un grandissimo spazio; ed io ti farei pagare dagli uomini tutti gli anni una buona somma di danari.

Luna. Tu ritorni agli uomini; e, con tutto che la pazzia, come affermi, non si parta da' tuoi confini, vuoi farmi impazzire a ogni modo, e levare il giudizio a me, cercando quello di coloro; il quale io non so dove si sia, nè se vada o resti in nessuna parte del mondo; so bene che qui non si trova; come non ci si trovano le altre cose che tu chiedi.

Terra. Almeno mi saprai tu dire se costì sono in uso i vizi, i misfatti, gl'infortuni, i dolori, la vecchiezza, in conclusione i mali? Intendi tu questi nomi?

Luna. Oh cotesti sì che gl' intendo; e non solo i nomi, ma le cose significate, le conosco a maraviglia: perchè ne sono tutta piena, in vece di quelle altre che tu credevi. Terra. Quali prevalgono ne' tuoi popoli, i pregi o i difetti?

LEOPARDI. Opere. — 1.

16

Luna. I difetti di gran lunga.

Terra. Di quali hai maggior copia, di beni o di mali?
Luna. Di mali senza comparazione.

Terra. E generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici?

Luna. Tanto infelici, che io non mi scambierei col più fortunato di loro.

Terra. Il medesimo è qui. Di modo che io mi maraviglio come essendomi sì diversa nelle altre cose, in que

sta mi sei conforme.

Luna. Anche nella figura, e nell' aggirarmi, e nell'essere illustrata dal sole io ti sono conforme; e non è maggior maraviglia quella che questa: perchè il male è cosa comune a tutti i pianeti dell'universo, o almeno di questo mondo solare, come la rotondità e le altre condizioni che ho detto, nè più nè meno. E se tu potessi levare tanto alto la voce, che fossi udita da Urano o da Saturno, o da qualunque altro pianeta del nostro mondo; e gl'interrogassi se in loro abbia luogo l'infelicità, e se i beni prevagliano o cedano ai mali; ciascuno ti risponderebbe come ho fatto io. Dico questo per aver dimandato delle medesime cose Venere e Mercurio, ai quali pianeti di quando in quando io mi trovo più vicina di te; come anche ne ho chiesto ad alcune comete che mi sono passate dappresso: e tutti mi hanno risposto come ho detto. E penso che il sole medesimo, e ciascuna stella risponderebbero altrettanto.

Terra. Con tutto cotesto io spero bene: e oggi massimamente, gli uomini mi promettono per l'avvenire molte felicità.

Luna. Spera a tuo senno: e io ti prometto che potrai sperare in eterno.

Terra. Sai che è? questi uomini e queste bestie si mettono a romore: perchè dalla parte dalla quale io ti

favello, è notte, come tu vedi, o piuttosto non vedi; sicchè tutti dormivano; e allo strepito che noi facciamo parlando, si destano con gran paura.

Luna. Ma qui da questa parte, come tu vedi, è giorno. Terra. Ora io non voglio essere causa di spaventare la mia gente, e di rompere loro il sonno, che è il maggior bene che abbiano. Però ci riparleremo in altro tempo. Addio dunque; buon giorno.

Luna. Addio; buona notte.

LA SCOMMESSA DI PROMETEO.

L'anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi d'Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli Dei maggiori e minori, e gli altri abitanti della detta città, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. E scusandosi che per la sua nota povertà non si poteva dimostrare così liberale come avrebbe voluto, prometteva in premio a quello il cui ritrovamento fosse giudicato piu bello o più fruttuoso, una corona di lauro, con privilegio di poterla portare in capo il dì e la notte, privatamente e pubblicamente, in città e fuori; e poter essere dipinto, scolpito, inciso, gittato, figurato in qualunque modo e materia, col segno di quella corona dintorno al capo.

Concorsero a questo premio non pochi dei celesti per passatempo; cosa non meno necessaria agli abitatori d' Ipernéfelo, che a quelli di altre città; senza alcun desiderio di quella corona; la quale in se non valeva il pregio di una berretta di stoppa; e in quanto alla gloria, se gli uomini, da poi che sono fatti filosofi, la disprezzano, si può congetturare che stima ne facciano gli Dei, tanto più sapienti degli uomini, anzi soli sapienti secondo Pi

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