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NOTIZIA

INTORNO AGLI SCRITTI, ALLA VITA ED AI COSTUMI

DI

GIACOMO LEOPARDI.

Poichè l'universo è una viva rappresentazione d'una intelligenza e d'una forza infinita, e l'uomo, che vive in esso, è una viva rappresentazione dell' universo, egli è deputato a rappresentarlo prima col pensiero propriamente detto, ch'è la parola, poi col pensiero incarnato, ch'è l'azione. La maggiore o minore imperfezione e delle due parti onde consta quella rappresentazione e della corrispondenza reciproca fra loro, constituisce il volgo o il grande uomo. Sventuratamente l'uomo sortisce talvolta il nascere in contrade o in tempi così esiziali alla sua specie, che il pensiero non trova o cagione o possibilità d'incarnarsi e di manifestarsi sotto la forma dell'azione. Allora tutto l'essere umano si concentra nel pensiero propriamente detto, cioè nella parola; e dove quell' essere sia potente, apparisce quella dimezzata maniera di grande uomo che si domanda grande scrittore. Dunque, come la vita di un grande uomo in generale si compone della storia de' suoi pensieri e delle sue azioni, quella di un grande scrittore in particolare si compone della

storia solamente de' suoi pensieri. E però la breve notizia che ora si dà del grande scrittore Giacomo Leopardi, non potrà versarsi in viaggi, battaglie ed altri casi strani e rumorosi, ma nel modo onde e l'universo successivamente gli apparve ed egli il venne successivamente manifestando.

Giacomo Leopardi nacque in Recanati, città della Marca di Ancona, a dì 29 di giugno 1798, da Monaldo Leopardi, conte, e da Adelaide de' marchesi Antici. Ebbe a maestri, nei primi studi di umanità, Giuseppe Torres; poi in quelli di umanità e di filosofia insieme, Sebastiano Sanchini, l'uno e l' altro ecclesiastico. Col primo studiò fino a nove anni, col secondo fino ai quattordici; e dato un pubblico saggio di filosofia, non ebbe più altro maestro al mondo che la vasta biblioteca de' suoi maggiori. Quivi (già provetto nella propria lingua e nella latina) imparò miracolosamente da se stesso non solo la francese, la spagnuola e l'inglese, ma ancora, quel ch'è assai più, la greca e la ebraica, nella quale giunse insino a disputare con alcuni dotti ebrei anconitani.

Il grande ingegno consta di due elementi quasi incompatibili, una gran fantasia e un gran raziocinio. La rarità della congiunzione di questi due elementi, e la frequenza della loro separazione, forma la rarità dei grandi ingegni e la frequenza dei mediocri. E poichè lo scibile altro non è che l'applicazione dell'ingegno umano, cioè della congiunzione di quei due elementi, all' universo, il Leopardi, in cui quella congiunzione fu maravigliosa, conquistate nelle lingue le chiavi dello scibile ovvero dell'universo, studiò

prima l'applicazione che vi fecero del loro ingegno 1 grandi uomini o antichi o moderni che lo avevano preceduto, e poi vi applicò il suo proprio. Ma a que' due elementi era congiunto un terzo, la malattia, il dolore, la parte più inesplicabile dell' inesplicabile mistero dell' universo. Laonde, sferzato da un tanto flagello, egli ne domandò la spiegazione, prima a quello studio e poi a quell' applicazione, prima agli altri e poi a se stesso; e questa perpetua ed insaziabile interrogazione è il pensiero a un tempo dominante ed occulto de' suoi scritti. In nessun uomo non fu mai traveduto meno oscuramente l'innesto terribile di quei due principii che diedero agli uomini il primo concetto d' Oromazo e d' Arimane; il maggior bene, l'intelletto, commisto col maggior male, il dolore. Egli si valse del primo a manifestare il secondo; e cantò, per così dire, l'inferno colle melodie del paradiso.

Lo studio dell'applicazione all'universo dei grandi ingegni passati e del modo ond' ella seguì e ond' essi la manifestarono, costituisce la filologia. L'applicazione all'universo del primo elemento del proprio ingegno (cioè della fantasia) e la manifestazione del modo onde ella segue, costituisce la poesia. L'applicazione all'universo stesso del secondo elemento del proprio ingegno (cioè del raziocinio) e la manifestazione del modo ond'ella segue, costituisce la filosofia. Dunque il Leopardi fu prima gran filologo, poi gran poeta, poi gran filosofo. E per intendere la vera natura del suo ingegno, è mestieri di studiarlo ordinatamente sotto ciascuna delle tre grandi forme che assunse.

La condizione della contrada ov' egli nacque e

studiò, e i travagli della rivoluzione, non consentirono al Leopardi di conoscere il mondo orientale com'è stato possibile di conoscerlo poi, che trent'anni di pace e lo sforzo onnipotente dell'Occidente e della civiltà hanno così mirabilmente lacerato il mistico velo che lo nascondeva. Dunque egli cominciò il suo grande studio dal mondo greco; e si scontrò felicemente nei più grandi ingegni che, a memoria d' uomini, si sieno applicati alla considerazione dell' universo. È cosa incredibile (e bisogna esserne stato molti anni testimone e quasi parte per intenderla appieno) la dimestichezza ch' egli aveva presa con quella lingua e con quegli scrittori sovrumani. Basta che nei momenti in cui degnava di non nascondere i prodigi dell'ingegno suo, egli confessava di aver più limpido e vivo nella sua mente il concetto greco che il latino o eziandio l'italiano. Da questa dimestichezza egli attinse una sorte di divinazione critica sopra tutti gli autori greci e della migliore e delle più basse età, riscontrata infallibilmente per vera o nei testi più perfetti o negli scolii e nei comenti dei più grandi espositori. Dal mondo greco passò a studiare il mondo latino; e dai dodici ai ventisei anni versò un così fatto tesoro di sapienza filologica in un sì sterminato numero di carte, che, senza altre prove, s'avrebbe quasi paura di narrarlo solo. Mirabile di profonda e vasta erudizione è il suo Saggio sopra gli errori popolari degli antichi. Mirabilissima la copia senza fine delle note, delle interpretazioni, delle chiose, dei comenti d'ogni genere sopra un gran numero d' autori antichi, fra i quali Platone, Dionigi di Alicarnasso, Frontone, Demetrio Falereo, Teone Sofi

sta ed altri assai. Più che mirabilissimi i Frammenti ch'egli raccolse di cinquantacinque Padri della Chiesa. Questi ed altri molti non meno importanti manoscritti filologici egli fidò nel 30, in Firenze, al chiarissimo filologo tedesco Luigi de Sinner, ora professore in Parigi, il quale ha già lasciato pregustarne un piccolo, ma coscienzioso ed accuratissimo, sunto (1): e gli egregi editori parigini del Tesoro di Enrico Stefano, usarono volonterosamente di quelle squisite, profonde e peregrine illustrazioni. Gli altri manoscritti di minore importanza sono conservati nella biblioteca paterna (2).

A quattordici anni fu preconizzato per un gran portento di sapere dal grande e credibile divinatore degl' ingegni patrii, Pietro Giordani, dal Cancellieri, dal celebre filologo svedese Akerblad; e poscia, di mano in mano, dal Niebuhr, dal Watz, dal Thilo, dal Bothe, dal Creuzer, dal Boissonade e da altri innumerabili (3). E chi volesse arrecare tutte le testimonianze che rendettero del suo sterminato sapere i più celebri filologhi tedeschi, inglesi e francesi, farebbe opera incredibilmente voluminosa.

Studiato i greci e i latini e domandata la misteriosa causa del dolore a tutto l'Occidente antico, corse senza troppo indugiarsi nel medio (dove il dolore non era più mistero), a domandarla all'odierno. Dante e il suo figliuolo Shakspeare risposero finalmente alla sua domanda, e gli dimostrarono l'universo sotto tutte le forme onde interpretava se stesso. Ed allora il Leopardi applicò all'universo il primo elemento del suo proprio ingegno, la sua fantasia; e si rivelò gran poeta.

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