Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi, E se de' nostri affanni
Cosa veruna in ciel, se nell'aprica Terra s'alberga o nell' equoreo seno, Pietosa no, ma spettatrice almeno.
DE' PRINCIPII DEL GENERE UMANO.
E voi de' figli dolorosi il canto, Voi dell' umana prole incliti padri, Lodando ridirà; molto all' eterno Degli astri agitator più cari, e molto Di noi men lacrimabili nell' alma Luce prodotti. Immedicati affanni Al misero mortal. nascere al pianto, E dell' etereo lume assai più dolci Sortir l'opaca tomba e il fato estremo, Non la pietà, non la diritta impose Legge del cielo. E se di vostro antico Error, che l'uman seme alla tiranna Possa de' morbi e di sciagura offerse, Grido antico ragiona, altre più dire Colpe de' figli, e irrequïeto ingegno, E demenza maggior l' offeso Olimpo N'armaro incontra, e la negletta mano Dell' altrice natura; onde la viva Fiamma n' increbbe, e detestato il parto Fu del grembo materno, e violento Emerse il disperato Erebo in terra.
Tu primo il giorno, e le purpuree faci Delle rotanti sfere, e la novella
Prole de' campi, o duce antico e padre Dell' umana famiglia, e tu l' errante Per li giovani prati aura contempli: Quando le rupi e le deserte valli Precipite l' alpina onda fería D'inudito fragor; quando gli ameni Futuri seggi di lodate genti E di cittadi romorose, ignota Pace regnava; e gl'inarati colli Solo e muto ascendea l' aprico raggio Di Febo e l' aurea luna. Oh fortunata, Di colpe ignara e di lugúbri eventi, Erma terrena sede! Oh quanto affanno Al gener tuo, padre infelice, e quale D'amarissimi casi ordine immenso Preparano i destini! Ecco di sangue Gli avari cólti e di fraterno scempio Furor novello incesta, e le nefande Ali di morte il divo etere impara. Trepido, errante il fratricida, e l' ombre Solitarie fuggendo e la secreta Nelle profonde selve ira de' venti, Primo i civili tetti, albergo e regno Alle macere cure, innalza (7); e primo Il disperato pentimento i ciechi Mortali egro, anelante, aduna e stringe Ne' consorti ricetti: onde negata L'improba mano al curvo aratro, e vili Fur gli agresti sudori; ozio le soglie Scellerate occupò; ne' corpi inerti Domo il vigor natio, languide, ignave Giacquer le menti; e servitù le imbelli Umane vite, ultimo danno, accolse.
E tu dall' etra infesto e dal mugghiante
Su i nubiferi gioghi equoreo flutto Scampi l' iniquo germe, o tu cui prima Dall' aer cieco e da' natanti poggi Segno arrecò d'instaurata spene La candida colomba, e dell' antiche Nubi l'occiduo Sol naufrago uscendo, L'atro polo di vaga iri dipinse.
Riede alla terra, e il crudo affetto e gli empi Studi rinnova e le seguaci ambasce La riparata gente. Agl' inaccessi Regni del mar vendicatore illude Profana destra, e la sciagura e il pianto A novi liti e nove stelle insegna.
Or te, padre de' pii, te giusto e forte, E di tuo seme i generosi alunni Medita il petto mio. Dirò siccome Sedente, oscuro, in sul meriggio all'ombre Del riposato albergo, appo le molli Rive del gregge tuo nutrici e sedi, Te de' celesti peregrini occulte Beâr l'eteree menti; e quale, o figlio Della saggia Rebecca, in su la sera, Presso al rustico pozzo e nella dolce Di pastori e di lieti ozi frequente Aranitica valle, amor ti punse Della vezzosa Labanide: invitto Amor, ch'a lunghi esigli e lunghi affanni E di servaggio all' odïata soma Volenteroso il prode animo addisse.
Fu certo, fu (nè d' error vano e d'ombra L'aonio canto della fama il grido Pasce l' avida plebe) amica un tempo Al sangue nostro e dilettosa e cara Questa misera piaggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte Onda rigasse intemerata il fianco Delle balze materne, o con le greggi Mista la tigre ai consueti ovili Nė guidasse per gioco i lupi al fonte Il pastorel; ma di suo fato ignara E degli affanni suoi, vota d' affanno Visse l'umana stirpe; alle secrete Leggi del cielo e di natura indutto Valse l'ameno error, le fraudi, il molle Pristino velo; e di sperar contenta Nostra placida nave in porto ascese. Tal fra le vaste californie selve Nasce beata prole, a cui non sugge Pallida cura il petto, a cui le membra Fera tabe non doma; e vitto il bosco, Nidi l'intima rupe, onde ministra L'irrigua valle, inopinato il giorno
Dell' atra morte incombe. Oh contra il nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri E le quiete selve apre l' invitto Nostro furor; le violate genti Al peregrino affanno, agl' ignorati Desiri educa; e la fugace, ignuda Felicità per l'imo sole incalza (8).
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