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PIETRO BEMBO.

(Le di lui Canzoni scelte e Sonetti si trovano nel Vol. 1. e 3. de' Componimenti Lirici.

MOSTROMMI Amor dall' una parte, ov2 era

Quanta non fu giammai fra noi, nè fia,

Bellezza in sè raccolta, e leggiadria,

E piano orgoglio, ed umiltate altera :

Brama, che ogni viltà languisca e pera,

E fiorisca onestate e cortesia;

Donna in opre crudel, in vista pia,

Che di nulla guaggiù si fida o spera:

Dall' altra, speme al vento, e temo in vano,

E fugace allegrezza, e fermi guai,

E stimulato riso, e pianti veri,

E scorno in su la fronte, e danno in mano

Poi disse a me: Seguace, quei guerrieri,

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GIOVANNI DELLA CASA.

Pandolfo della Casa e Lisabetta Tornabuoni, amendue di nobilissime famiglie Fiorentine, furono i genitori di Giovanni, che nacque a' 28 di Giugno del 1503. Era istruito negli studj in Bologna e anche in Firenze. Si trasferì poi a Roma ove nel 1538 era già chierico della Camera Apostolica. Ivi esercitossi negli studj già cominciati. Nel 1540 fu inviato a Firenze Commissario Apostolico, e ascritto all' Accademia Fiorentina. Nel 1544 era promosso all' Arcivescovado di Benevento, e nell'anno medesimo inviato Nuncio a Venezia, per gravissimi affari, ne' quali diede saggio della sua destrezza ed eloquenza. Colla morte di Paolo III. ebbe fine la nunciatura del Casa, Giulio III. non essendogli favorevole. Ritirossi allora a Venezia, e visse più privato tra gli ozje tra gli studj. Paolo IV. richiamollo a Roma e il nominò suo Segretario di Stato, ma non lo promosse al Cardina lato. La morte in età di soli 53 anni venne a rapirlo a' 14 di Novembre del 1556.

Il Casa è riposto tra' più chiari lumi della sua sì colta età. In amendue le lingue Greca e Latina fu versatissimo. Per l'eleganza di stile Toscano ha pochi che gli possano andar del pari: e basta solo nominare il suo Galateo. Insigne per la nobiltà de' pensieri e per la vivacità delle immagini, volle aprir un nuovo sentiero diverso da quello del Fetrarca. Vide che l'eleganza troppo affettata aveva estinta l'energia; e tentò d' introdurre nella poesia una sublime e nobile gravità; ma sarebbe egli ancora più degno di lode, se avesse voluto accoppiar la dolcezza alla maestà.

GIOVANNI DELLA CASA.

(Le di lui Canzoni scelte e Sonetti si trovano nel Vol. 1. e 3. de' Componimenti Lirici.)

CURA, che di timor ti nutri, e cresci,

E più temendo maggior forza acquisti,

E mentre con la fiamma il gelo mesci,

Tutto il regno d' Amor turbi e contristi;

Poichè in breve ora entro al mio dolce hai misti

Tutti gli amari tuoi, del mio cor esci;

Torna a Cocito, ai lagrimosi e tristi

Campi d'Inferno, ivi a te stesso incresci.
Ivi senza riposo i giorni mena,

Senza sonno le nøtti, ivi ti duoli
Non men di dubbia, che di certa pena :
Vattene. A che più fera, che non suoli,
Se 'l tuo venen m'è corso in ogni vena.
Con nuove larve a me ritorni, e voli?

JACOPO SANNAZARO.

Da Jacopo Niccolò e da Masella da S. Mango Salernitana nacque Jacopo in Napoli a' 28 di Luglio del 1458. Ebbe singolar cognizione e perizia delle lingue Greca e Latina, e dall'esempio de' molti accademici cambiò il suo nome di Jacopo in quello d'Azzio Sincero. S'innamorò di Carmosina Bonifacia, e la fece l'oggetto delle leggiadre sue rime. Il valore del Sannazaro nella Latina e nella volgar poesia lo fe conoscere al Re Ferdinando I, e a' principi di lui figliuoli Alfonso e Federigo, e fu ammesso tra❜lor famigliari. Dopo la morte di Ferdinando, Federigo succedutogli sul trono gli assegnò un' annua pensione col dono dell' amena e deliziosa Villa di Mergoglino, o Mergellina, ove si ritirò. Mori a Napoli nel 1530.

Era uno de' più colti scrittori di poesie Toscane, per l'eleganza dello stile, per la proprietà, e per la sceltezza dell' espressioni. Condusse la pastoral poesia alla sua perfezione; e sopra tutto gli ottenne gran nome la sua Arcadia, una delle opere più leggiadre di cui si vanti la lingua Italiana.

JACOPO SANNAZARO,

(Le di lui Canzoni scelte e Sonetti si trovano nel Vol. 1. e 3. de' Componimenti Lirici.)

VAGHI, soave, alteri, onesti, e cari

Occhi, del viver mio cagione e scorte,

Se'l ciel che vi creò con lieta sorte

Per far i giorni miei sereni e chiari;

Dunque il bel velo, e quei leggiadri e rari

Capelli, a studio sparsi per mia morte,
Con la man ne' miei danni sempre accorte,
Perchè mi son di voi sì spesso avari?

Se questa offesa non tardasse in parte

La debil penna, e l' affannato ingegno,
Sareste forse ornati in molte carte:

Che, benchè i' sia di tanta altezza indegno

D'amor sospinto, pur potrei senz' arte

Lassar di voi quà giù non leggier pegno.

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