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SONETTO.

QUANTO più m'avvicino al giorno estremo

Che l'umana miseria suol far breve,

Più veggio il tempo andar veloce e leve,

E il mio di lui sperar fallace e scemo.

I' dico a' miei pensier: non molto andremo D'amor parlando omai; che il duro e greve Terreno incarco, come fresca neve,

Si va struggendo, onde noi pace avremo:
Perchè con lui cadrà quella speranza
Che ne fe' vaneggiar sì lungamente,
E'l riso, e'l pianto, e la paura, e l'ira.
Sì vedrem chiaro poi, come sovente
Per le cose dubbiose altri s'avanza,
E come spesso indarno si sospira.

SONETTO.

PADRE del Ciel, dopo i perduti giorni,
Dopo le notti vaneggiando spese

Con quel fero desio, ch' al cor s'accese,
Mirando gli atti per mio mal sì adorni;

Piacciati omai, col tuo lume, ch'io torni

Ad altra vita, ed a più belle imprese ;

Sì ch' avendo le reti indarno tese,

Il mio duro avversario se ne scorni.

Or volge, Signor mio, l' undecim' anno Ch'i' fui sommesso al dispietato giogo; Che sopra i più soggetti è più feroce.

Miserere del mio non degno affanno;

Riduci i pensier vaghi a miglior luogo:
Rammenta lor, come oggi fosti in Croce.

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SONETTO.

ERANO i capei d'oro all' aura sparsi,

Che 'n mille dolci nodi gli avvolgea;

E'l vago lume oltra misura ardea

Di quei begli occhi ch'or ne son sì scarsi; E'l viso di pietosi color farsi,

Non so se vero, o falso mi parea:

Io che l'esca amorosa al petto avea,

Qual maraviglia, se di subit' arsi?

Non era l'andar suo cosa mortale,
Ma d'angelica forma; e le parole

Sonavan altro, che pur voce umana.
Uno spirto celeste, un vivo Sole

Fu quel ch'i' vidi: e se non fosse or tale,

Piaga per allentar d'arco non sana.

SONETTO.

АHI, bella libertà, come tu m'hai
Partendoti da me mostrato, quale

Era il mio stato quando 'l primo strale
Fece la piaga ond' io non guarrò mai.

Gli occhi invaghiro allor sì de' lor guai, Che'l fren della ragione ivi non vale; Perchè hanno a schifo ogni opera mortale: Lasso così da prima gli avvezzai.

Nè mi lece ascoltar chi non ragiona Della mia morte, che sol del suo nome Vo empiendo l'aere, che sì dolce suona. Amor in altra parte non mi sprona; Nè i piè sanno altra via, nè le man, come Lodar si possa in carte altra persona.

SONETTO.

LASSO! ben so, che dolorose prede
Di noi fa quella ch' a null' uom perdona ;
E che rapidamente n' abbandona

II mondo, e picciol tempo ne tien fede.
Veggio a molto languir poca mercede;

E già l'ultimo dì nel cuor mi tuona:
Per tutto questo, Amor non mi sprigiona;
Che l'usato tributo a gli occhi chiede.

So, come i dì, come i momenti, e l'ore Ne portan gli anni; e non ricevo inganno, Ma forza assai maggior che d' arti maghe.

La voglia, e la ragion combattut' hanno Sette e sett' anni; e vincerà il migliore; S'anime son quaggiù del ben presaghe.

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