SONETTO. DUE E gran nemiche insieme erano aggiunte, Bellezza ed Onestà, con pace tanta, Non sentì poi ch' a star seco fur giunte; Ed or per morte son sparse e disgiunte : L'una è nel ciel, che se ne gloria e vanta; L'altra sotterra, ch'i begli occhi ammanta Ond' uscìr già tante amorose punte. L'atto soave, e'l parlar saggio umíle, Che movea d'alto loco, e 'l dolce sguardo, Che piagava 'l mio core, ancor Ρ accenna, Sono spariti: e, s' al seguir son tardo, Forse avverrà che'l bel nome gentile Consacrerò con questa stanca penna. SONETTO. QUELLA per cui con Sorga ha cangiat' Arno, Con franca povertà serve ricchezze ; Volse in amaro sue sante dolcezze, Ond' io già vissi, or me ne struggo e scarno. Pinger cantando, acciò che l'ame e prezze ; Ne col mio stile il suo bel viso incarno. Le lode mai non d' altra, e proprie sue, Che'n lei fur, come stelle in cielo, sparte; Pur ardisco ombreggiar or una, or due; Ma poi ch'i' giungo alla divina parte, Ch' un chiaro e breve sole al mondo fue, Ivi manca l'ardir, l' ingegno, e l'arte. SONETTO. L'ALT ALTO e novo miracol ch'a' dì nostri Apparve al mondo, e star seco non volse; Che sol ne mostrò 'l ciel, poi sel ritolse Per adornarne i suoi stellanti chiostri ; Vuol ch'i' dipinga a chi nol vide, e 'l mostri, Amor, che 'n prima la mia lingua sciolse, Non son al sommo ancor giunte le rime: SONETTO. Nè per sereno ciel ir vaghe stelle ; Nè per campagne cavalieri armati ; Nè per bei boschi allegre fere e snelle; Dolce cantare oneste donne e belle; Nè altro sarà mai ch' al cor m' aggiunga; Sì seco il seppe quella seppellire Che sola a gli occhi miei fu lume e speglio. SONETTO. AL cader d'una pianta, che si svelse, Vidi un' altra, ch' Amor obbietto scelse, Subbietto in me Calliope ed Euterpe ; Che'l cor m'avvinse, e proprio albergo felse, Qual per tronco, o per muro edera serpe. Gli alti pensieri, e i miei sospiri ardenti, Al ciel traslato, in quel suo albergo fido Lasciò radici, onde con gravi accenti È ancor chi chiami, e non è chi risponda. |