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SONETTO.

LEVOMMI il mio pensier in parte ov' era Quella ch'io cerco, e non ritrovo in terra:

Ivi fra lor, che 'l terzo cerchio serra,

La rividi più bella, e meno altera.

Per man mi prese, e disse, In questa sfera Sarai ancor meco, se'l desir non erra;

I' son colei, che ti diè tanta guerra,
E compie' mia giornata innanzi sera.

Mio ben non cape in intelletto umano : Te solo aspetto, e quel, che tanto amasti, E laggiuso è rimaso, il mio bel velo.

Deh, perchè tacque, ed allargò la mano? Ch' al suon de' detti sì pietosi e casti, Poco mancò ch'io non rimasi in cielo.

SONETTO.

AMOR, che meco al buon tempo ti stavi
Fra queste rive a' pensier nostri amiche;

E per

saldar le ragion nostre antiche,

Meco, e col fiume ragionando andavi :

Fior, frondi, erbe, ombre, antri, onde, aure soavi;

Valli chiuse, alti colli, e piagge apriche,

Porto de l'amorose mie fatiche,

Delle fortune mie tante e sì gravi.

O vaghi abitator de' verdi boschi,
O Ninfe, e voi che 'l fresco erboso fondo
Del liquido cristallo alberga e pasce;

I miei dì fur sì chiari, or son sì foschi,
Come morte, che 'l fa. Così nel mondo

Sua ventura ha ciascun dal dì che nasce.

SONETTO.

ZEFIRO torna, e 'l bel tempo rimena,
E i fiori e l'erbe, sua dolce famiglia,
E garrir Progne, e pianger Filomena,
E primavera candida e vermiglia.

Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena;
Giove s' allegra di mirar sua figlia;

L'aria, e l'acqua, e la terra è d'amor piena: Ogni animal d'amar si riconsiglia.

Ma per me, lasso! tornano i più gravi

Sospiri, che del cor profondo tragge

Quella ch' al ciel se ne portò le chiavi ;

E cantar augelletti, e fiorir piagge,

E'n belle donne oneste atti soavi

Sono un deserto, e fere aspre, e selvagge.

SONETTO.

QUEL Rosignuol che sì soave piagne
Forse suoi figli, o sua cara consorte,

Di dolcezza empie il cielo e le campagne

Con tante note sì pietose e scorte,

E tutta notte par che m' accompagne,

E mi rammente la mia dura sorte;

Ch' altri che me non ho di cui mi lagne;

Che 'n Dee non credev' io regnasse Morte. O che lieve è ingannar chi s'assecura ! Que' duo bei lumi, assai più che 'l sol chiari, Chi pensò mai veder far terra oscura?

Or conosco io, che mia fera ventura, Vuol che vivendo e lagrimando impari,

Come nulla quaggiù diletta e dura.

SONETTO.

TRANQUILLO porto avea mostrato Amore A la mia lunga e torbida tempesta,

Fra gli anni dell' età matura e onesta, Che i vizj spoglia, e virtù veste e onore: Già traluceva a' begli occhi'l mio core, E l'alta fede non più lor molesta.

Ahi, Morte ria, come a schiantar se' presta Il frutto di molt' anni in sì poche ore!

Pur vivendo veniasi, ove deposto

In quelle caste orecchie avrei parlando
De' miei dolci pensier l'antica soma;

Ed ella avrebbe a me forse risposto

Qualche santa parola sospirando,
Cangiati i volti, e l'una e l'altra coma.

TOM. III.

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