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SONETTO.

DEH porgi mano all' affannato ingegno,

Amor, ed allo stile stanco e frale;

Per dir di quella ch'è fatta immortale,

E cittadina del celeste regno.

Dammi, Signor, che 'l mio dir giunga al segno

Delle sue lode, ove per sè non sale;

Se virtù, se beltà non ebbe eguale

Il mondo, che d'aver lei non fu degno.
Risponde: Quanto 'l ciel ed io possiamo,

E i buon consigli, e 'l conversar onesto,
Tutto fu in lei; di che noi morte ha privi.

Forma par non fu mai dal dì ch' Adamo

Aperse gli occhi in prima; e basti or questo:
Piangendo il dico, e tu piangendo scrivi.

SONETTO.

ITE, rime dolenti, al duro sasso

Che'l mio caro tesoro in terra asconde :

Ivi chiamate chi dal ciel risponde;

Benchè 'l mortal sia in loco oscuro e basso.

Ditele, ch'io son già di viver lasso,

Del navigar per queste orribil onde:
Ma ricogliendo le sue sparte fronde
Dietro le vo pur così passo passo,

Sol di lei ragionando viva, e morta,
Anzi pur viva, ed or fatta immortale ;
Acciò che 'l mondo la conosca, ed ame.

Piacciale al mio passar esser accorta,

Ch'è

presso omai: siami all'incontro; e quale

Ella è nel cielo, a sè mi tiri e chiame.

SONETTO.

QUEL Sol che mi mostrava il cammin destro

Di gire al ciel con gloríosi passi,

Tornando al sommo Sole, in pochi sassi

Chiuse'l mio lume, e 'l suo carcer terrestro :

Ond' io son fatto un animál silvestro,

Che co' piè vaghi, solitari, e lassi

Porto'l cor grave, e gli occhi umidi e bassi

Al mondo, ch'è per me un deserto alpestro. Così vo ricercando ogni contrada

Ov' io la vidi; e sol tu, che m'affligi,

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Amor, vien' meco, e mostrimi ond' io vada.

Lei non trov'io; ma suoi santi vestigi

Tutti rivolti alla superna strada

Veggio lunge da' laghi Averni e Stigi.

SONETTO.

OR hai fatto l'estremo di tua possa,

O crudel Morte; or hai'l regno d' Amore

Impoverito; or di bellezza il fiore,

E'l lume hai spento, e chiuso in poca

fossa.

Or hai spogliata nostra vita, e scossa D'ogni ornamento, e del sovran suo onore: Ma la fama, e 'l valor, che mai non muore, Non è in tua forza: abbiti ignude l'ossa;

Che l'altro ha il cielo, e di sua chiaritate, Quasi d'un più bel Sol, s' allegra e gloria; E fia al mondo de' buon' sempre in memoria.

Vinca 'l cor vostro in sua tanta vittoria,

Angel novo, lassù di me pietate,

Come vinse qui 'l mio vostra beltate.

SONETTO.

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GIORNO, O ora, o ultimo momento,
O stelle congiurate a impoverirme!
O fido sguardo, or che volei tu dirme,
Partend' io, per non esser mai contento?

Or conosco i miei danni; or mi risento: Ch'io credeva (ahi credenze vane e infirme!) Perder parte, non tutto, al dipartirme.

Quante speranze se ne porta il vento!

Che già 'l contrario era ordinato in cielo, Spegner l'almo mio lume, ond' io vivea;

E scritto era in sua dolce amara vista.

Ma innanzi a gli occhi m'era posto un velo,

Che mi fea non veder quel ch' io vedea,

Per far mia vita subito più trista.

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