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SONETTO.

LASCIATO hai, Morte, senza Sole il mondo Oscuro, e freddo; Amor cieco, ed inerme;

Leggiadria ignuda; le bellezze inferme;

Me sconsolato, ed a me grave pondo;

Cortesia in bando, ed onestate in fondo;

Dogliom' io sol, nè sol ho da dolerme :

Che svelt' hai di virtute il chiaro germe, Spento il primo valor ; qual fia il secondo?

Pianger l'aer, la terra, e 'l mar devrebbe L'uman legnaggio; che senz' ella è quasi Senza fior prato, o senza gemma anello. Non la conobbe il mondo, mentre l'ebbe : Conobbil' io, ch' a pianger qui rimasi;

E'l ciel, che del mio pianto or si fa bello.

TOM. III.

SONETTO.

GLI Angeli eletti, e l'anime beate

Cittadine del cielo, il primo giorno

Che Madonna passò, le fur intorno

Piene di maraviglia e di pietate.

Che luce è questa, e qual nova beltate?

Dicean tra lor, perch' abito sì adorno
Dal mondo errante a quest' alto soggiorno

Non salì mai in tutta questa etate.

Ella contenta aver cangiato albergo

Si paragona pur coi più perfetti;

E parte ad or ad or si volge a ergo,

Mirando s' io la seguo; e par ch' aspetti: Ond' io voglie e pensier tutti al ciel ergo; Perch' io l'odo pregar pur, ch' io m' affretti.

SONETTO.

DOLCI durezze, e placide repulse,

Piene di casto amore e di pietate;
Leggiadri sdegni, che le mie infiammate

Voglie tempraro (or me n' accorgo) e insulse:
Gentil parlar, in cui chiaro refulse

Con somma cortesia somma onestate;
Fior di virtù; fontana di beltate,

Ch' ogni basso pensier dal cor m' avulse;
Divino sguardo da far l' uom felice,

Or fiero in affrenar la mente ardita
A quel che giustamente si disdice,

Or presto a confortar mia frale vita
Questo bel varíar fu la radice

Di mia salute, ch'altramente era ita.

SONETTO.

CONOBBI, quanto il ciel gli occhi m' aperse,

Quanto studio ed amor m' alzaron l' ali,

Cose nove e leggiadre, ma mortali,

Che 'n un soggetto ogni stella cosperse.
L'altre tante sì strane e sì diverse

Forme altere, celesti ed immortali,

Perchè non furo all' intelletto eguali,

La mia debile vista non sofferse.

Onde quant' io di lei parlai, nè scrissi,

Ch' or per lodi anzi a Dio preghi mi rende,

Fu breve stilla d' infiniti abissi:

E

Chè stile oltra l'ingegno non si stende;

per aver uom gli occhi nel Sol fissi,

Tanto si vede men, quanto più splende.

SONETTO.

LAURA mia sacra al mio stanco riposo
Spira sì spesso, ch' io prendo ardimento

Di dirle il mal ch' i' ho sentito, e sento,
Che vivend' ella, non saria stato oso.

Io 'ncomincio da quel guardo amoroso,
Che fu principio a sì lungo tormento;
Poi seguo, come misero, e contento

Di dì in dì, d' ora in ora Amor m' ha roso.
Ella si tace, e di pietà dipinta

Fiso mira pur me; parte sospira,
E di lagrime oneste il viso adorna ;

Onde l'anima mia dal dolor vinta,
Mentre piangendo allor seco s' adira,
Sciolta dal sonno a sè stessa ritorna.

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