Credea, che il vezzosetto Scherzoso fanciulletto Tutte sue brame avesse Di gioventude amiche; Non che a serbo tenesse Anche le cose antiche. Dentro una ricca stanza, Che di tempio ha sembianza, Guidami il mio bel Duce. L'oro, che intorno luce, Mi raddoppiava il giorno: Guarda, oh servo fedele. Di sculti marmi, e di dipinte tele Ricco è il bel loco, dove Amor passeggia; E quinci Ilio m' addita, e l' arsa Reggia Cui la Greca tradì sposa infedele. E quindi il mare e le fuggenti vele Di Téseo ingrato: e vuol, che sculta io veggia Ninfa che guizza, e ninfa che arboreggia, V'è Amor dipinto in cocchio alto d'onore, Con mille uomini e numi in ceppi e in foco Dinanzi al carro, ed ei gli urta e confonde. Psiche, che i vanni e'l tergo arse ad Amore Non v'è dipinta. Ognun fa pompa e gioco De l' altrui scorno, il suo scorda e nasconde. Ma più liete e gioconde Cose e più rare io serbo, Disse il garzon superbo: Ciò che pennel dipinse, Ciò che scalpello finse, Il tuo piè non ritardi; Rivolgi al ver gli sguardi. Vedi queste due spade, Opra di prisca etade ? Furon, dicea Cupido, Di Piramo, e di Enea. Su queste, ei soggiungea, Caddero Tisbe e Dido; Del sangue sparso allora Ecco le stille ancora. E mentre ciò dicea, Quel barbaro ridea. Stavano in un de' lati Cinque bei pomi aurati, De' quai molto si canta Ma non è chi paregge In Argiva favella : Abbialo la più bella: Pomo famoso tanto Per la man che vi scrisse: Pomo cagion sul Xanto Di tante pugne e risse. Volgo lo sguardo, e appesa Di verde bronzo antico Veggo lucerna, io dico, Oh chi la vide accesa ? Allora il Nume infido, Che il tutto prende a gioco: La vide, ma per poco, Il Notator d' Abido. Ah sventurato Notator d' Abido; Disse Ah misera lei, chi la conforta, Ch' estinto il vede comparir sul lido. . . . . ... Qui m'interruppe Amore: a te ch' importa? |