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sua cronaca disse : « Idem antistes (cioè Landolfo) die videlicet decimo » stante mensis maji cum episcopo Frequentino et de Monte Marano et » Arianensi, corpora sanctorum collocavit, inter quos corpus associavit >> beati Joannis XXI beneventani episcopi, qui triginta et tres annos, sicut » titulus testabatur, in episcopatu advixit. » Quanto poi alle sue reliquie, esse o perirono nelle molte vicende guerriere, che afflissero Benevento, o tra quelle si trovano, che complessivamente si venerano nella nuova cattedrale, senza conoscerne i nomi a cui appartengono. Credesi, che il suddetto Giovanni vivesse sino al 448: certo è, che in questo anno il pontefice s. Leone I scriveva lettera di rimprovero al vescovo DORO II, il quale preferiva nell' ecclesiastico ministero i preti di fresco ordinati e ne trascurava gli anziani. Non sarà fuor di proposito, che io ne porti la lettera (1).

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« DILECTISSIMO FRATRI DORO

» LEO EPISCOPVS.

Judicium, quod de te sperabamus, dolemus esse frustratum quando » ea te commisisse perspicimus, quae omnem ecclesiasticae sanctionis regulam culpabili novitate foedarent: cum plenissime noveris, quanta » sollicitudine per omnes Domini ecclesias paternorum velimus canonum » praecepta servari, et hanc maxime curam ad sacerdotes universarum plebium pertinere, ut sanctarum constitutionum regulae nullis corum>> pantur excessibus. Unde miramur te, quem auctoritatum apostolicae >> Sedis observantissimum esse convenerat, tam negligenter, ac potius » insolenter egisse, ut traditarum sibi legum non custos sed transgressor » existeres. Libello enim Pauli presbyteri tui, qui in subditis habetur, co>> gnovimus apud te novo ambitu foedoque colludio presbyterii ordinem >> fuisse turbatum: ita ut unius festina et immatura provectio, quaedam >> eorum dejectio facta sit, quorum honorem aetas commendabat et nulla culpa minuebat. Quod si ambientis intentio, aut imperita faventium >> studia id quod nunquam habuit consuetudo, poscebant, ut incipiens

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(1) È la x1x tra le lettere del santo Pontefice, nell'edizione veneta del 1753, pag. 733 del primo tomo.

emeritis, et novellus praeferretur antiquis; tuae fuerat industriae atque doctrinae, ut injusta petentium desideria rationabili auctoritate cohiberes ne quem sacerdotali propere provehebas honore, ad injuriam • eorum, quibus sociabatur, inciperet, minorque se fieret dum in illo non humilitatis virtus, sed elationis vitium roboraretur. Neque enim ignorabas dixisse Dominum, quod qui se humiliat, exaltabitur; qui vero se exaltat, humiliabitur: eumdemque dixisse: Vos autem quaeritis de pusillo » crescere et de majore minores esse (1). Utrumque enim inordinatum, ⚫ utrumque praeposterum est; et omnis meritorum mensura vacuatur, si tantum quis assequitur dignitatis quantum adulationis obtinuit: ut cupiditas eminendi non solum superbientem minuat, sed etiam conni» ventem. Si vero, ut asseritur, primi secundique presbyteri, circa Epi» carpium sibimet praeponendum, tanta huic assentatio fuit, ut illum cum > sui dedecore poscerent honorari, ne hoc quidem illis proprio se judicio » dejicientibus tribui debuit, quod volebant: quia tam miserae voluntati dignius te fuerat obviare quam cedere. Deformis autem et ignava sub»jectio bene sibi consciis et non irritam facientibus gratiam Dei, praejudicare non potuit, ut primatus suos quocumque commercio in alte> rutrum transferentes, subsequentium suorum minuerent dignitatem, et quia ultimum sibi anteposuerat, ceteris praeemineret. Praedicti igitur » presbyteri, qui indignos se honoris sui ordinis sunt professi, licet pri› vari etiam sacerdotio mererentur; tamen, ut eis pro apostolicae Sedis pielate parcatur, ultimi inter omnes ecclesiae presbyteros habeantur; et, ut judicii sui sententiam ferant, inferiores etiam illo erunt quem propria sententia sibimet praetulere: ceteris omnibus praesbyteris in eo ordine permanentibus, quem unicuique ordinationis suae tempus adscripsit. Nec quisquam praedictos duos imminutae dignitatis patiatur injuriam, sed in eorum tantummodo statum hoc recurrat opprobrium, qui novello et immature ordinato inferiores fieri delegerunt; ut illam evangelicam sententiam ad se sentiant pertinere, qua dicitur: Quo judicio judicaveritis, judicabitur de vobis: et qua mensura mensi fueritis, › eadem remetietur vobis (2). Paulus vero presbyter ordinem suum, de quo laudabili firmitate non cessit, obtineat: nec ulterius aliquid in cujusquam praesumatur injuriam ; ita ut dilectio tua, quam non imme

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(1) Luc. x1v, 11, e xvi, 14.

Vol 11'.

(2) Lue. vi, 38.

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>> rito tota facti hujus pulsat invidia, hoc saltem remedio curare se pro» peret, ut sine dilatione haec, quae decernimus tradantur effectui: ne si >> iterato ad nos imploratio justa confugerit, necesse sit severius com>> moveri : cum his, quae male sunt facta, correctis, malimus redintegrare » disciplinam, quam augere vindictam. Executionem vero praeceptionum >> nostrarum fratri et coepiscopo nostro Julio commisisse nos noveris, ut » omnia illico, quemadmodum constituimus, roborentur, Data VIII idus » martii, Posthumano viro clarissimo consule. »

Nè di più si sa di questo vescovo Doro II. Un santo martire, dopo Doro, decorò la chiesa beneventana col suo episcopale governo, e di purpurea palma l'abbelli col suo generoso sacrificio per la fede cristiana. Anzi possiamo dire, ch' egli fosse martire prima ancora d' esserne pastore. Egli è SAN TAMMARO, uno di que' dodici vescovi, che il romano martirologio commemora sotto il primo giorno di settembre; collega di san Prisco e degli altri; tormentato fieramente dai Vandali sulle coste dell'Africa, e in fine coi suoi compagni abbandonato alla discrezione del vento e del mare sopra sdruscito naviglio, che alle spiagge approdò della Campania, intorno l'anno 440. Di là si dispersero quei generosi atleti a rendere solenne testimonianza della fede cristiana in varie provincie : Tammaro si fermò vicino alla città di Benevento, ed ivi si diè a condur vita solitaria. Ma la fama delle sue virtù mosse ben presto i beneventani ad accorrergli intorno, ed a volerlo, dopo la morte di Doro, loro spirituale pastore. Visse da santo e da santo mori. Egli fiori su questa cattedra probabilmente dopo la metà del quinto secolo: la chiesa, che l'ebbe a pastore, ne celebra la festa addi 15 ottobre: le sue venerande reliquie riposano in cattedrale sotto l'altar maggiore. Un altro straniero elessero i beneventani al governo della loro chiesa, dopo la morte di Tammaro : santo anch'esso e di purpurea palma glorioso. SoFIO si nominava, e prima era detto Cadoco; era britanno di nazione; aveva suo genitore s. Gundleo re della Wallia meridionale (4). Per divina volontà egli era stato tratto prodigiosamente a Benevento: qui aveva professato vita monastica sotto il nome di Sofio o Sofia: morto il santo vescovo Tammaro, tutto il clero lo volle suo pastore sulla cattedra episcopale.

Bollivano terribilmente a que' giorni le guerre in tutta l'Italia, e le

(1) De Vita, Thesaurus alter, etc., dissert. v, pag. 318.

armi di Odoacre e di Teoderico la irrigavano crudelmente di sangue, e bene spesso di sangue cattolico; giacchè, come ognun sa, i due feroci principi professavano l'ariana eresia. Fu. in quei tumulti bellicosi, che anche Benevento, a quanto narra il De Vita (1), sperimentò la fierezza di quei barbari devastatori della nostra penisola e dopo averne messo a soqquadro i circostanti sobborghi, entrati furibondi in città, penetrati persino nella primaria basilica, ove il santo vescovo assistito dal suo arcidiacono Benigno, celebrava i divini misteri, un sacrilego soldato a cavallo trapassò con un solo colpo di lancia il pio pastore e il suo fervoroso ministro. Al quale proposito così ragiona l'erudito canonico De Vita : Non ea dicenda calamitas est, quae duos Beneventanos martyres, epi» scopum atque archidiaconum, coelo peperit, triumphalibusque laureis » sacros beneventanos fastos redimivit. » E quanto al tempo della loro morte erra il Bollando nello stabilire, che questa non sia avvenuta prima del 570: più esattamente e con miglior critica il De Vita la dice nel 489. Come può infatti il vescovo s. Sofio, succeduto immediatamente a s. Tammaro, dopo la metà del quinto secolo, anzi, a quanto pare, intorno il 465, aver protratto la sua vita anche dopo il 570 ? Sarebbe stato vescovo per più di un secolo.

Pochissime notizie ecclesiastiche ci offre di questa età la storia beneventana; i nomi appena, per quasi un secolo, troviamo dei sacri pastori che ne governarono lo spiritual gregge; perciò di questi appena mi dovrò contentare. E in fatti dopo Sofio aveva retto la chiesa di Benevento un EPIFANIO, di cui si hanno memorie sotto il papa Gelasio (2) e sotto il papa Simmaco, al cui primo sinodo del 499 intervenne. Eragli succeduto FELICE, il quale si crede che abbia vissuto intorno al 520 ; ed a questo, verso il 555, venne dietro SAN MARCIANO. Erano divenuti padroni di Benevento i barbari goti, nè di altro si occupavano che di violenze, di rapine, di oppressioni, di morti: pareva che in questa disgraziata città avessero piantato la sede della loro durissima tirannia. Belisario, il celebre capitano delle truppe imperiali di Giustiniano, avevala dalle mani di costoro strappata, ed a più lieti giorni le aveva aperto la via. Ma il fiero Totila, pochi anni di poi, se l'aveva ricuperata colla forza e l'aveva messa a desolamento, a soqquadro. N'era vescovo allora SANTO ZENONE, che taluno volle

(1) Luog. cit., pag. 320.

(2) Nel test. cap. Frater et coepiscopus noster.

nominar Zozimo e di lui e del suo predecessore celebra questa chiesa la
festa; di Marciano a' 14 di luglio, di Zenone ai 17 di ottobre; all' uno e
all' altro fu in seguito fabbricata una chiesa; al primo fuor delle mura, al
secondo in città.

A ripigliare il dominio di Benevento, l'imperatore Giustiniano mandò
in Italia il suo generale Nersete, il quale, scacciatovi il fiero goto, la rin-
forzò di bel nuovo, rifabbricandovi le mura, che Totila vi aveva distrutto.
Di ciò abbiamo testimonianza in Procopio (1), ove dice del re dei goti,
che Amne Tiberino transmisso, ad Campanos et Samnites divertit, Be-
»> neventum inde munitissimum oppidum facile in potestatem redegit,
>> ejusque muros ad solum mox diruit, ne forte exercitus aliquis ex
» Byzantio eo se conferens, ut e loco munito, in gothos impetu facto
» negotium his exhiberet. » E che Nersete dipoi ne rifabbricasse le
mura, ci fa certi l'iscrizione, scolpitagli sotto la statua di lui nella stessa
città, ove tra le altre lodi tributategli, quella altresì vi si legge di fabbri-
catore delle mura: CONDITORI MOENIVM (2). Or, mentre il valoroso
generale dimorava in Benevento, venne da Costantinopoli a visitarlo sua
sorella Artellaide (Arthellays), vergine di esimia santità, la quale colla
esemplare sua vita edificò i beneventani e sparse tra di essi il soave odore
di Gesù Cristo. Non mi fermo a descriverne le azioni, i viaggi, la dimora,
perchè di troppo allungherei queste pagine. L'erudito Stefano Borgia, che
fu dipoi cardinale, ne pubblicò gli atti, trascritti da un autografo antico,
il quale autografo si conserva in Benevento, e giova a correggere molti
sbagli dei Bollandisti (5). Chi volesse conoscere questi atti li può trovare
nel primo tomo delle sue Memorie istoriche della pontificia città di Bene-
vento, dalla pag. 141 alla 176. Essa a quanto pare entrò in Benevento
nel giorno 25 luglio 560 e vi mori a'5 di marzo 567 in età di sedici anni,
tre mesi ed otto giorni. Nè tardarono i beneventani a prestarle culto re-
ligioso ; sicchè nel secolo VII, coll'approvazione del vescovo, fu trasferito
il sacro corpo di lei dentro la chiesa di s. Luca, presso la quale era stato
sepolto « e di qui avvenne, dice il prefato Borgia (4), che questa chiesa

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