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rifiutarli tutti, tranne pochissimi, accolti quindi nei volumi pubblicati dopo la sua morte, a cura di Antonio Ranieri. Gli altri scritti di traduzione e originali, filologici e letterarî, che qui sarebbe troppo lungo enumerare, se non accrescono la gloria del Leopardi, valgono però a far conoscere i suoi studî, le aberrazioni e i progressi maravigliosi, la via insomma da lui percorsa per ottener l'eccellenza. Nei lavori dei primi anni vagò di soggetto in soggetto, e tentò diversi generi letterarî avanti di poter trovare con sicurezza la sua strada. Aveva tradotto l'Arte poetica di Orazio travestendola in ottava rima (1811), la Batracomiomachia (che poi rifece più volte) e gl' Idilli di Mosco (1815), il Canto primo dell' Odissea e la Titanomachia (1816), il Libro secondo dell'Eneide e in prosa le Epistole e le Orazioni di Frontone (1816), i Frammenti di Dionigi di Alicarnasso (1817), scoperti dal Mai. Di lavori originali in prosa ne scrisse molti e svariati su materie filologiche e d'erudizione, fra i quali basti ricordar l'opera degli Errori popolari degli antichi (1814), prima in ordine cronologico e più voluminosa di tutte, ma d' erudizione un po' affastellata, e la dotta Lettera critica al Giordani sopra il Dionigi del Mai (1817); in versi una poesiola narrativa e satirica intitolata la Reminiscenza (1811), una tragedia Pompeo in Egitto (1811), il qual genere dipoi dal Leopardi fu abbandonato affatto, e, più notabile di tutte, la Cantica Appressamento della Morte, ch'ei scrisse nei principî della conversione letteraria, su lo scorcio del 1816, per rappresentare lo stato dell' animo suo nei primi tempi del deperimento della salute, che gli faceva creder prossima la sua fine. Il soggetto, in sostanza è lirico, e di quel genere più intimo, in cui egli venne poi a tanta eccellenza; e questo carattere emerge, non ostante la forma narrativa che l'autore volle dargli, forse per imitare le famose Cantiche del Monti e i Trionfi del Petrarca. Del resto, come i Trionfi sono più schiettamente poetici dove comparisce la lirica, così pure la cantica del giovinetto recanatese; se è lecito tirarla su dalla sua bassezza al paragone di quelli. Pur con tutte le affettazioni e disuguaglianze e stranezze, troviamo in essa bei tratti e qual

110 Paralipomeni della Batracomiomachia di Giacomo Leopardi, Parigi, Libreria Europea di Baudry, 1842. Un volumetto. 2o Opere di Giacomo Leopardi, edizione accresciuta, ordinata e corretta, secondo l'ultimo intendimento dell'autore, da Antonio Ranieri. Firenze, Felice Le Monnier, 1845. Volumi due.

che germe del futuro Leopardi, specialmente poi la nota di quel dolore che lo ispirò sempre, colorando tutti gli affetti cantati nelle sue poesie, l'amor della donna, l'amor della patria, il sentimento stesso della natura.

VIII. - Degli amori di Giacomo Leopardi si può dire ciò che generalmente della sua vita, che han solo importanza e meritano d'essere ricordati per aver dato argomento ovvero occasione a parecchi suoi canti. Il primo amore fu per Geltrude Cassi sorella del traduttore di Lucano,1 donna bellissima e piena di attrattive; e nacque nell' autunno del 1816, quando essa, già maritata e allora su i venticinque anni, co ndottasi a Recanati per mettere in monastero una sua piccola figlia, si trattenne in casa del cugino Monaldo una quindicina di giorni. Da quest'ardente passione originarono una prosa (1816), non pubblicata mai, e due elegie in terza rima (1817); la prima delle quali col titolo Il primo amore comparisce fra i Canti sotto il num. X, della seconda, scritta posteriormente, fu accolto nei Canti stessi, sotto il num. XXXVIII, un breve frammento. La donna del primo amore nelle due elegie non è designata con altro nome; le altre che il poeta celebrò co' suoi versi hanno tutte nomi fittizî: Silvia, Nerina, Elvira, Aspasia. Le prime due furono giovinette popolane recanatesi, accasate vicino al palazzo Leopardi, donde si prospettavano le loro abitazioni e finestre; e morirono l'una e l'altra nel fiore degli anni. Sotto il nome di Silvia si deve intender Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa e tessitrice; la quale, nata nell'ottobre 1797, morì il 30 settembre 1818. Giacomo, che la vedeva tesser dalle finestre della casa paterna, se ne innamorò, come risulta dal canto A Silvia, nel maggio dell'anno stesso. Di questo amore il poeta tocca anche nell'idillio intitolato il Sogno (1819); e forse al medesimo amore si rapporta la canzone giovanile, esclusa dalle poesie approvate, Per una donna malata di malattia lunga e mortale. Chi fosse Elvira, rappresentata nel Consalvo, non si è potuto fin qui accertare; ma, poichè questa poesia fu scritta probabilmente nei principî del 1821, è da credere anche lei recanatese, e probabilissimamente giovinetta non di umile condizione; potrebbe anch' essere quella stessa di cui si parla nell'idillio La sera del dì di festa, che non pare una popolana; nel qual caso un tale amore avrebbe du

1 Vedi nel vol. I di questo Manuale, a pag. 424.

rato un po' a lungo. Nerina era Maria Belardinelli, recanatese anche lei, nata di famiglia campagnuola il 15 novembre del 1800, e venuta con essa in città nel 1821. Le finestre della casipola da lei abitata stavano quasi di fronte a quelle della camera da letto di Giacomo guardanti a settentrione verso il carro di Boote. Era una biondina candidissima come la Nerina Galatea di Virgilio, e morì il 3 novembre del 1827, circa un anno avanti all'ultima tornata di Giacomo in Recanati, che poi la celebrò estinta nelle Ricordanze. Vanno pure congiunti a' suoi scritti due amori fuori di Recanati per donne fiorentine, ambedue maritate, l'uno a Bologna nella primavera del 1826, l'altro Firenze tra il 1830 e il 1833; nei quali provò l'infelice giovane le più acerbe delusioni. La prima fu Teresa Carniani moglie del conte Francesco Malvezzi bolognese, donna assai cólta nelle lettere, più graziosa che bella; della quale il Leopardi fa menzione nell' Epistolario, e teneramente nella lettera del 30 maggio 1826 a suo fratello Carlo, e fors' anco, ma non senza amarezza, nel Risorgimento, scritto credibilmente a Pisa. nel 1828, quando ogni relazione amorosa per volontà della donna era già finita. L'altra era una gentildonna tuttora vivente, la quale egli, dopo averla amata due anni, consacrò alla posterità col nome di Aspasia nel canto così intitolato, ultimo di quelli d'amore. Silvia, Nerina, Elvira, Aspasia, ancorchè ne' canti del poeta idealizzate, furono donne reali e dal poeta amate realmente, come io già dimostrai per primo in un pubblicato compendio di una storia degli amori leopardiani, la quale darò in luce, quando che sia, integralmente; e noto intanto che se parecchi, citando o no il fonte, hanno tratto profitto da tali notizie, altri, avversarî impenitenti d'ogni vero storico nella poesia, senza darsi un pensiero dei fatti accertati o anche ridendoci sopra, hanno proseguito a parlar vacuamente degli amori stessi con la massima disinvoltura.

IX. La lirica leopardiana, approvata dall' autore, comprende trentanove componimenti originali, dei quali i tre ultimi sono frammenti, inoltre due traduzioni di due piccoli frammenti di Simonide; e si estende, nel suo svolgimento completo, del 1816 col frammento trentesimonono, tratto dalla cantica Appressamento della Morte,

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sino alla morte del poeta con La Ginestra, che fu da lui composta negli ultimi tempi. Tutta questa lirica può dividersi in due grandi periodi, distinti l'uno dall' altro per caratteri di sostanza e di forma, senza escluder però che ne abbiano dei comuni, quello del dolore segnatamente, che, sia pur trasformandosi, accompagna sempre la poesia leopardiana dal primo fino all'ultimo canto. Il primo periodo, stendendosi per otto anni dal 1816 al 1824, data dell' edizione bolognese delle Canzoni, o, se vuolsi, più precisamente fino al 5 decembre del 1823, in cui l'autore mandò a stamparle copiate in nitido manoscritto, comprende principalissimamente le Canzoni suddette e gl' Idilli, che, sebbene pubblicati nel Nuovo Ricoglitore di Milano del 1825 e 1826, e di nuovo con altri versi indi a poco, quanto alla composizione appartengono al 1819. La lirica di questo primo periodo accoglie in sè i primi diciotto componimenti e di più tre frammenti, dei quali i due citati qui addietro precedono col canto Il primo amore in ordine di tempo il canto all'Italia. Tanto è falso che sia questo il primo dei componimenti lirici approvati dal poeta; ed è più falso ancora che nella prima parte di questo periodo, della quale alcuni fanno un periodo distinto, campeggi il sentimento nazionale, che di dodici componimenti, anteriori tutti al canto ad Angelo Mai, ne investe due o tre soltanto; senza dire che quel sentimento appartiene anche ad alcuni canti posteriori, e specialmente a quello per le nozze della sorella Paolina. E anche poco esatta a me pare l'asserzione che la lirica leopardiana anteriore al 1824 sia tutta un'antitesi storica fra l'antica e la moderna vita umana, asserzione applicabile a un terzo appena dei componimenti suddetti, che, compresivi i tre frammenti, sono ben ventidue. Procedendo di questo passo si finirebbe, pur non volendo, con lo smembrare la lirica leopardiana come sì sconciamente fece della petrarchesca il Marsand. Questa lirica anteriore al 1824, benchè rispetto alla contenenza manifesti

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1 Canzoni del conte Giacomo Leopardi. Bologna, pei tipi del Nobili e Comp., 1824.

Versi del conte Giacomo Leopardi. Bologna, 1826. Dalla Stamperia

delle Muse.

3 Il rispettivo ordine cronologico di questi tre componimenti, che precedono il canto all'Italia, è il seguente: XXXIX, (frammento della cantica), X (prima elegia, Tornami a mente ec., cioè Il primo amore), XXXVIII (frammento della seconda elegia, Dove son? dove fui? ec.).

una progressiva trasformazione del pensiero leopardiano, a me pare che di nette spartizioni intermedie non ne abbia alcuna, e costituisca perciò un periodo solo; ove è rappresentata la distruzione di tutte le illusioni che l'uomo si ha create nel volger dei tempi, nè già le antiche soltanto, ma le medioevali e le moderne altresì, e ove la natura è invocata come potenza misteriosa che potrebbe riuscir parimente ostile o benefica. Fatto intorno a sè un deserto, il Leopardi insistendo nei medesimi concetti espressi con la poesia, per circa due anni, dal decembre del 1823 (e fors' anche fin da prima) allo scorcio del 1825, attende a svolgerli in prosa; tornando poi nel marzo del 1826 alla poesia, con l' Epistola a Carlo Pepoli inizia un altro periodo lirico. In questo egli ci presenta una trasformazione più vasta è una nuova lotta di sè stesso o, se vuolsi, dell' uomo con le risorgenti illusioni dell' amore, fino a che rimangono anche quelle distrutte, e poi con gli altri uomini quali oggidì sono o, meglio, quali se li figura il poeta, è in fine con la natura stessa che apparisce nell'universo al poeta, come già la religione a Lucrezio, dominatrice onnipotente, che non ha cura dell' uomo o lo schiaccia. Il dolore poi, che nel primo periodo è rappresentato principalmente come individuale, nel secondo periodo, senza cessar mai d'esser tale, si fa universale ancora, non però subito, ma a poco a poco; e con più alto suono investe i canti del Pastore errante e della Ginestra, dove non è più solo il poeta a sentirlo, ma lo sente, secondo lui, tutto l'uman genere, tutto il mondo.

X.-Quanto alla forma, le differenze dei due periodi lirici si manifestano in più maniere. E prima di tutto ricorderemo ch'essa, con una distinzione, accettata generalmente, fu detta latina nelle poesie anteriori al 1824, per l'imitazione di parole, locuzioni ed imagini tolte dai poeti latini, e greca nelle poesie del secondo periodo, perchè in queste forma e pensiero sono, come nei sommi poeti greci, anche meglio armonizzate. Se non che, chi non tiene dietro (e difatti comunemente non vi si bada) alle diverse ragioni dell' applicazione dei due qualificativi, può credere che nelle poesie del secondo periodo vi sia quella stessa maniera d'imitazione, che si riconosce nel primo; e, anche a prescinder da questo equivoco, con l'attribuire alla poesia leopardiana una forma latina e una forma greca si commette una grave esagerazione, e si viene effettivamente a negarle per gran parte quel

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