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Non può stanza esser del giubilo
Dove il pianto è al limitar.
Con inchiesta mansueta
Tentò il cor del Solitario
Che rispose al suo pregar:

Non è lieta, ma pensosa;
Non v'è plauso, ma silenzio;
Non v'è pace, ma terror.
Come il mar su cui si posa
Sono immensi i guai d'Italia,
'Inesausto è il suo dolor.
Libertà volle, ma, stolta!

Credè ai prenci; e osò commettere
Ai lor giuri il suo voler.
I suoi prenci l'han travolta,
L'han ricinta di perfidie,
L'han venduta allo stranier.

Da quest' Alpi infino a Scilla

La sua legge è il brando barbaro
Che i suoi régoli invocár.

Da quest' Alpi infino a Scilla

È delitto amar la patria,

È una colpa il sospirar.

Una ciurma irrequïeta

Scosse i cenci, e giù dal Brennero

Corse ai Fòri, e gli occupò;

Trae le genti alla Segreta,

Dove, iroso, quei le giudica

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Che bugiardo le accusò.
Guarda; i figli dell' affanno

Su la marra incurvi sudano;
Va', ne interroga il sospir: -
Queste braccia, ti diranno,
Scarne penano onde mietere
Il tributo a un stranio sir.
Va', discendi, e le bandiere

-

Cerca ai prodi; cerca i lauri
Che all'Italia il pensier diè.
Son disciolte le sue schiere;
È compresso il labbro ai savii,
Stretto in ferri ai giusti il piè.
Tolta ai solchi, alle officine,
Delle madri al caro eloquio
La robusta gioventù,
Data, in rocche peregrine,
Alla verga del vil Teutono
Che l'edúchi a servitù.
Cerca il brio delle sue genti
All'Italia; i dì che furono
Alle cento sue città:
Dov'è il flauto che rammenti

Le sue veglie, e delle vergini
La danzante ilarità?

Va', ti bèa de' Soli suoi;

Godi l'aure; spira vivide
Le fragranze de' suoi fior.

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V. 112. Si allude evidentemente a Silvio Pellico allora prigioniero nello Spielberg; e perciò nel romito il poeta volle rappresentare il padre.

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Può le angosce in lui sopir,
Che dal turbin della vita,
Dalle care consuetudini,
Disperato, il dipartîr?
Come il voto che, la sera,

Fe' il briaco nel convivio,
Rinnegato è al nuovo dì:
Tal, su l'itala frontiera,
Dell' Italia il desiderio
All' estranio in sen morì.
A' bei Soli, a' bei vigneti,
Contristati dalle lagrime
Che i tiranni fan versar,
Ei preferse i tetri abeti,
Le sue nebbie ed i perpetui
Aquiloni del suo mar.

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[DA] LE FANTASIE.
[1829.]

V.

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Era sopito l'esule;
Era la notte oscura;
E nulla più del lago
E delle grigie mura.
Ecco ne' sogni mobili
Una diversa immago;
Ecco un diverso palpito
Del dormiente al cor.
Pargli aver penne agli omeri,

E un ciel che l'innamora
Battere, ai rai vermigli
D' italiana aurora.
Fiuta dall' alto i balsami
De' suoi materni tigli;
Gode in veder la turgida
Foglia de' gelsi ancor.
Come la vispa rondine,
Tornata ov' ella nacque,
Spazia sul pian, sul fiume,
Scorre a lambir fin l'acque,
Sale, riscende, librasi
Su l'indefesse piume,
Viene a garrir nei portici,
Svola e garrisce in ciel;

Così fidato all' äere

Ei genial lo spira;

E cala ognor più il volo,
Più lo raccorcia, e gira
Lento, più lento a radere
Il vagheggiato suolo;

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V. 1-4. Si accenna alla Fantasia IV, in cui l'esule sogna di trovarsi alla pace fra la Lega lombarda e l'imperatore Barbarossa nel 1183 a Costanza, città che ha guglie di grigio colore ed è posta sul lago dello stesso nome.

V. 13-16. In questi quattro versi si accenna a Milano e a' suoi dintorni. V. 24. Svola, cioè svolazza, va aliando come più avanti nel v. 65 Frettevole per Frettoloso, sono parole fuori d'uso.

Com' ape fa indugevole
Circa un fiorito stel.
L'aja, il pratel, la pergola
Dove gioia fanciullo:
L'erte indicate ai bracchi
Nel giovenil trastullo;
Le fratte donde al vesperɔ,
Chino a palpar gli stracchi,
Redia, colmo sul femore
Pendendogli il carnier;
Tutti con l'occhio memore
I siti egli rifruga,
I cari siti, ahi lasso!
Che nell' amara fuga
Larve mandar parevano
A circuïrgli il passo,
A collocargli un tribolo
Sovra ciascun sentier.
Rinato ai dì che furono,

Il mattin farsi ammira
Più rancio; e la salita
Del sol piena sospira,
Tanto che intorno ei veggasi
Ribrulicar la vita,

Oda il venir degli uomini,
Voli dinanzi a lor.

Tutta un sorriso è l'anima
Di riversarsi ardente.
Presago ei si consola

Nelle accoglienze; e sente
Che incontreria benevolo
Fin anco lei che sola
Sa pur di quale assenzio
Deggia grondargli il cor.
Eccolo, il sol! Frettevoli

Pestan la guazza, e fuori
A seminati, a vigne
Traversano i cultori,
Recan le facce stupide
Che il gramo viver tigne;
Scalzi, cenciosi muovono
Sul suol dell' ubertà.
Dai fumajuoli annunziansi

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