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mo de' fratelli Landolfo pervenne la baronia del Tufo; e, perchè questi moriva senza eredità di affelli, e trovandosi ancora il secondogenito Riccardo vescovo di Anglona, oggi unita a Tursi, la signoria di cui parliamo passò a Matteo, che tenne par quella di Monteleone, terra un tempo nella nostra provincia, ed al presente nell'altra di Capitanata; oltre a parecchi feudi e vassallaggi ancora in Montefusco, che Riccardo acquistati avea dal cavaliere Niccolò della Marra di Serino nel 1335 (1).

Trasferito finalmente il Del Tufo dal pontefice Giovanni XXII, Jacopo d'Euse o d'Osse di Cahors, dalla nostra chiesa all' altra di Tricarico in luogo di Bonaccursio nel 23 febbrajo 1326, compiva i suoi giorni nel 1348. Laonde è da reputarsi erroneo quanto scrisse il De' Franchi ed il Pionati, di avere cioè rinunziato nel 1316, dappoichè la sua traslazione appare non solo dall' Ughelli sul

(1) Giova anche qui ricordare che dal detto Matteo nacque Giordano, e da costui Giacomo, che fu padre di un altro Giordano, il quale, dietro la morte del genitore, restò signore del Tufo, ed a sua richiesta Giovanna II nel 1423, ritrovandosi le porte e le mura del castello del Tufo a causa delle guerre e fedeltà a lei serbata tutte rotte e rovinate, venne ad isgravare in parte quei cittadini dal pagamento delle collette che in ciascun anno si pagavano alla Regia Corte. Troviamo egualmente moglie di Giordano Berardina degli Ubaldini, famiglia nobilissima di Firenze, madre di Gio. Antonio, che denunziando nel 1450 al re Alfonso la morte di Giordano suo padre, ne ottenne la investitura della baronia del Tufo. Di Gio./ Antonio con Trusiana de Magris figliuola del barone di s. Maria Ingrisone, ne vennero Stazio e Simonetto. Stazio mori in vita del padre, lasciando Bartolomeo che nell'anno 1490 per la perdita dell' avo si ebbe da Ferdinando I la investitura del ripetuto castello non solo, ma anche del villaggio di Torrioni, di presente comune pure del Principato Ulteriore.

l'appoggio de' registri del Vaticano (1), ma anche da un'antica Platea esistente in quella curia vcscovile, come a noi si degnava di partecipare il zelantissimo vescovo monsignor Gamillo Letizia della congregazione di s. Vincenzo de' Paoli in Napoli; e, perocchè essa Platea racchiude similmente la cronologia de' Pastori di Tricarico, noi non omettiamo la opportunità di riferire quella parte che ci riguarda: « 1326. Gottifredo d' Avellino >> fu fatto vescovo da Papa Giovanni XXII, e pas» sò da questa vita nel 1348 nel sesto anno del » Pontificato di Clemente Sesto Lemonicense Fran» cese Monaco, e nel tempo di detto Vescovo. Rc> gnava in questo Regno il Re Roberto d'Angiò, >> che fu III genito del Re Carlo II, il quale Ro» berto amplificò il Castel nuovo di Napoli, ed > edificò quello di S. Eramo. >>

Resta intanto a notare che il Del Tufo mentre resse la delta chiesa avellinese, si ebbe a metropolitano l'arcivescovo Monaldo Monaldeschi, il quale, oltre alla facoltà concessa nel 1320 di far collette per la città e diocesi di Benevento affin di compiere la novella fabbrica della basilica di s. Bartolomeo, come dalla bolla che serbasi in quella pubblica biblioteca, d'ordine parimente del nominato pontefice Giovanni trasferì le monache di s. Maria a Porta somma della regola di s. Benedetto al Monastero di s. Pietro della regola medesima, e del monastero di Porta somma ne fece il castello per la difesa della città, dove ebber poi stanza i Rettori e quindi i Delegati di Benevento; e tanto nel 26 aprile 1323, essendo Rettore della città istessa Guglielmo Bolotta.

(1) Luogo citato.

Lo stemma della sua famiglia, riportato anche dall' Ughelli era un rastello rosso con tre denti in campo nero, in mezzo del quale scorgeansi due bordature acute di oro.

XXIV. FRA NATINBENE O NATUMBENE-Anno 1326.

a

Questo vescovo, a cui nè il De' Franchi, nè il Pionati, nè altri scrittori prima di loro, nè l' Ughelli sepper mai assegnare la patria, nacque, testimonio del conte Severino Servanzi Collio, nella città di Sanseverino negli Stati Pontificii, chiara per aver dato fuora altri vescovi (1); e, siamo indotti a credere, verso il torno del 1274, essendo egli il primo che il Severino enuncia nella sua opera (2).

Ci è noto intanto che, dato il suo nome al rispettabile ordine degli eremitani di s. Agostino, fu tosto scelto dallo stesso pontefice Giovanni XXII a successore del prenominato Del Tufo nella chiesa di Avellino, mediante bolla, Apostolatus offcium, spedita in Avignone in data del 18 febbrajo 1326, cioè pochi giorni prima che quegli fosse slato trasferito nell' altra di Tricarico, come ci

(1) Si furono essi appunto Giacomo, di Sanseverino, vescovo di Butintro nel 1365; Giacomo Procacci, di Sarsina nel 1397; Onofrio Semeducci, di Melfi, nel 1437; Giuliano di Antonio, di Cerigo nel 1439; Girolamo Boccaurati, di Corsica nel 1545; Angelo Massarelli, di Telese nel 1561; Gregorio Servanzi, di Trevico nel 1604; Celestino Puccitelli, di Scala e Ravello nel 1637; Cancellotti Cesare, di. Bisceglia, nel 1658; e Giovan Carlo Gentili di Ripatransone Del 1845.

(2) Ha essa per titolo: DI ALQUANTI VESCOVI NATI IN SANSEVERINO DOPO IL SECOLO XII. MEMORIE RACCOLTE E PUBBLICATE DAL CONTE SEVERINO SERVANZI-COLLIO CAVALIERE DEL SAGRO MILITARE ORDINE GEROSOLIMITANO. Macerata Tipografia di Alessandro Mancini 1815.

fan fede concorde l' Ughelli (1) e lo stesso autore de' SECOLI AGOSTINIANI, l'infaticabile Torelli (2), e questo sull' autorità del registro Vaticano. Quindi malamente si apposero il De'Franchi e il Pionati, quando, oltre al nome datogli di Francesco, dissero di aver egli rinunziato alla nostra chiesa nel 1326, se in quest'anno appunto vi venne promosso, sapendosi, d'altra parte, dal lodo o sentenza resa nell'interesse del monastero di Montevergine, dai giudici ed arbitri canonici napolitani, Giacomo de' Settepani, e Guglielmo di s. Germano, di nazione francese, nel 1328, di essere cioè unitamente al proprio capitolo intervenuto il Natinbene alla conferma di esso lodo, essendo abate generale di della congregazione Romano, come da queste sue parole: Nos Frater Natus bene, Dei, et Apostolicae sedis gratia, Episcopus Avellinensis confir

mamus.

E qui è da avvertire che, trovandosi la chiesa di Ajello col consentimento del vescovo e canonici di Avellino donata ai padri di Montevergine sin dai primordii della loro fondazione, essa uscì dal dominio di quelli, come chiaramente scorgesi dalle pontificie bolle di Celestino e d'Innocenzo III riferite dal Renda, dal Verace e dal Costo (3): nelle

(1) Luogo citato.

(2) Vol. V, pag. 412 e 414.

(3) Dal primo segnatamente in VITA ET ORITU S. Confessoris Guiliel

MI VERCELLENSIS, SACRI MONASTERII montis virGINIS DE MONTE FUNDATORIS, AC religionis EJUSDEM MANACHORUM ET MONIALIUM INSTITUTORIS, COLLECTA, ADDĪTIS EJUSDEM RELIGIONIS ALIORUMQUE SANCTORUM VITIS, ET PRIVILEGIS IN FAVOREM. Neap. apud lo. Donatum Coletum 1581. E dall'ultimo nell' ISTORIA DELL'ORIGINE DEL SAGRATISSIMO LUOGO DI MONTEVERGINE, dallo stesso nella seconda sua edizione di molta accresciuta e migliorata: Venezia appresso Barezzo Barezzi 1591,

quali bolle si leggono appunto le seguenti parole: Libertatem quoque quam in donatione Ecclesiarum vestrarum, et receptionem mortuorum ad sepulturam bonae memoriae Joannis Avellinensis Episcopus cum suorum Clericorum assensu rationabili dispositioni concessit. E perchè tra le varie riserve del vescovo Giovanni nel concedere l'assenso a' detti padri per la fondazione del loro instituto nel proprio territorio, vi fu quella, come altrove dicemmo nel 1126, di presentare a lui ed ai suoi successori nel giovedì santo di ciascun anno una libbra di cera lavorata, così per isciogliersi da cotal tributo, come dice il Bellabona (1), i padri medesimi, venne nel maggio del 1328 emesso il citato lodo, e restituita al vescovo e ai canonici della cattedrale di Avellino la chiesa di s. Maria di Ajello.

Sebbene il Natinbene avesse per otto anni governato la chiesa di Avellino, pure altra notizia non abbiam raccolta che quella della sua traslazione nella chiesa di Trivento nel 22 luglio 1334, come dallo stesso registro Vaticano, conoscendosi d'altronde di avere anche quivi avuto a successore altro frate per nome Antibono nel 1344, come ci assicurava quel già degnissimo vescovo Benedetto Terenzio di Fondi, avendolo egli ricavato dalla scriede' suoi predecessori nella sala del palazzo vescovile, in cui si vede effigiato appunto il Natinbene con mostacchi e pizzo secondo l'usanza di allora. Non è però da dubitare che un vescovo della sua spera, e creato da un pontefice tanto illustre qual si fu Giovanni XXII, non abbia con ogni

(1) Lib. I, raggua. IX, pag. 76 e 77.

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