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D2

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

31-920.

Firenze, Tip. "L'Arte della Stampa ", Succ. Landi, Via S. Caterina

PREFAZIONE

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ON essendo stato possibile, per ragioni che a tutti sono

non che compiere, neppure iniziare la stampa dell'edizione critica delle Opere di Dante promossa dalla nostra Società, edal Parlamento nazionale incoraggiata e assicurata con legge sancita poco innanzi allo scoppiare della grande guerra, abbiamo voluto che nel sesto centenario della morte del Poeta fosse almeno appagato il desiderio, antico e molto largamente diffuso, di avere finalmente, per cura della critica italiana, raccolte in un volume tutte le opere di lui ridotte a quella più corretta e più sicura lezione che per ora è dato di stabilire. La Società Dantesca offre in questo volume il frutto di lunghi e pertinaci studi compiuti per sua iniziativa; dà come una riproduzione anticipata, senza le giustificazioni necessarie ai dotti, di quello che è nella mente dei suoi cooperatori l'edizione critica delle Opere di Dante. Rimangono, com'è facile immaginare in lavoro simile, dubbiezze d'ogni genere, che saranno indicate e ragionate nell'edizione grande; ma questo è quanto, a nostro giudizio, risulta di più probabile e sicuro dallo studio dei testi che sono giunti sino a noi. Certo è questa la prima volta che l'opera di Dante vien presentata al pubblico dopo una recensione ordinata di tutto ciò che serve a stabilirne le vere sembianze. Potrà nell'edizione maggiore esser fatto qualche ritocco (ogni edizione, anche la più accurata, è sempre suscettibile di miglioramenti);

ma per l'ordine delle opere, per le divisioni introdotte in esse, per la lezione dei singoli testi, questa deve essere, ed è, un' immagine in piccolo, ma fedelissima, dell' edizione nazionale: perciò, pur mancando di apparato e di giustificazioni, abbiam potuto e voluto dire francamente « testo critico» sin dal frontespizio.

Preparato da più persone, ma con norme prefisse, speriamo che il volume abbia raggiunto nelle varie parti quella uguaglianza e coerenza che era nei desiderii comuni, nonostante le naturali resistenze che sono in tutti noi ad allontanarci dalle proprie abitudini ortografiche: non una coerenza assoluta, che sarebbe innaturale in ogni scrittore, anche moderno, e particolarmente anacronistica per quelli medievali; e neppure quella coerenza rigida e materiale (ad es. nella punteggiatura e nell'uso delle maiuscole) che accuserebbe, piuttosto che finezza critica, amore di una regolarità tutta esterna, con danno spesse volte dell'evidenza del pensiero espresso dall'autore. Proposito comune è stato di rimaner fedeli ai testi, ma senza pedanteria, e senza precludersi la strada a quelle prudenti correzioni congetturali che fossero qua e là richieste da guasti evidenti nella lezione. Forse ci sarà rimproverato di aver mantenuto nelle opere latine la ortografia medievale. Ma questo è l'uso legittimo; e arbitrario sarebbe stato in un testo critico discostarsene, e senza alcun vantaggio pratico: chi è in grado di leggere quei testi latini non può provare difficoltà a intenderli anche con quell'ortografia. Maggior libertà ci siam potuti prendere coi testi in lingua nostra, perchè non essendo ancora nell'età dantesca il volgare un linguaggio regolato come quello latino, l'ortografia vi aveva per gli autori stessi minore importanza; e vari essendo allora i mezzi di rappresentazione, possiamo preferire, senza anacronismo, quelli che meglio rendono a noi moderni la retta pronunzia di ciò che leggiamo: piuttosto che alla materiale ortografia, che nè scuola nè uso imponevano così rigidamente come per il latino, conviene mirare a render facile al lettore moderno la retta percezione del fenomeno fonetico resa dubbia dall' instabilità dei mezzi di rappresentazione allora usati.

Benchè contrari ad allontanare con vane grafie arcaiche i moderni lettori dalla nostra edizione, siamo però stati fermi a mantenere alla lingua di Dante i suoi vocaboli, le sue forme e i suoi suoni, anche se, come apparivano al suo tempo naturali perchè dell'uso comune, oggi appariscano insueti e difficili a intendersi alla prima ; e ci siam fatto un dovere di restituirli là dove i copisti più recenti e gli editori avevano sostituito vocaboli, forme e suoni d'uso più moderno e comune. È una tendenza quanto mai naturale nei lettori quella di voler conservate le forme loro abituali e per loro assai più chiare ; ma non perciò è meno giustificata la cura di chi avendo dai codici più antichi è più autorevoli la testimonianza di forme altrettanto legittime, e di solito più conformi all'uso letterario d'allora, le mantiene intatte. Ben si provò un tempo perfino una mente larga come quella di Ruggiero Bonghi a difendere incontrastabile contro l'incontastabile introdotto nella Vita Nuova da Alessandro D'Ancona; ma fu facile a Pio Rajna mostrare, come a' tempi di Dante la seconda forma fosse non meno largamente usata, anche nelle scritture di carattere più popolare, nè meno legittima della prima. Ora si sorriderà di canoscenza o caunoscenza, e si crederanno forse errori di stampa 'mentre che il vento come fa ci tace', 'e partir la convene innamorata', se non etterne, e io etterna duro'. Ma se a discorrere di Dante e a commentare le sue opere s'appresteranno finalmente persone che veramente conoscano la lingua di quei tempi, sì delle scuole letterarie e sì del popolo, esse potranno insegnare ai dotti e agli ignari che quelle forme, quei vocaboli e quei suoni anche se possano alla prima offender oggi il nostro orecchio, abituato ad altro, sonavano allora naturalissime, allo stesso modo che faccenda suona a noi così bene come facendo, e sodisfare come soddisfare; che non c'è ragione, se fino al Cinquecento si disse essempio, essilio (come oggi si può dire, poniamo, essoterico), che si anticipi di qualche secolo lo svolgimento naturale della lingua scempiando la s; che se nel Convivio, II XIII 8, i codici portano a legger quadruvio, come insegnava che si dovesse dire in latino quadruvium il celebre vocabolarista medievale Giovanni da Genova, questo

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