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e degli apostoli, fa d'uopo spesso riflettere sensatamente alle parole di S. Paolo, che scrisse nella prima lettera ai Corinti nel cap. Iv dal verso 9 fino al 12. Si avverte però, che, come si è detto, niuno imprenda mortificazione dalla regola non prescritta senza espressa licenza del superiore o direttore di nostra casa, coll'approvazione del superiore.

CAPO DECIMOSETTIMO.

Delli digiuni e discipline.

1. Oltre a' digiuni comandati dalla santa Chiesa, che si dovranno osservare con somma diligenza, si digiunerà ogni venerdì in onore della passione e morte di nostro signor Gesù Cristo, ed ogni sabato in onore di Nostra Signora e di tutta la Sagra Famiglia; sebbene nel tempo pasquale si dovrà fare il solo sabato, se questo ancor non paresse al superiore dispensarlo; e così parimente quando concorresse festa di prima classe, o quando si fosse digiunato il giovedi, dovrà tralasciarsi il digiuno.

II. Si digiunerà di più le vigilie delle feste della Circoncisione del Signore e del Santissimo Sagramento, della Natività e Purificazione della Vergine Santissima, come anche in quella di S. Giuseppe, S. Giovacchino e S. Anna.

III. Si asterranno dalla carne in tutte le vigilie de' santi protettori, cioè S. Giovanni Nepomuceno martire, S. Francesco di Sales, S. Carlo Borromeo, S. Francesco Saverio, S. Filippo Neri e S. Teresa di Gesù, poichè nella vigilia del primo protettore S. Tomaso apostolo s'osserverà la vigilia della Chiesa.

iv. In tutti i venerdì di marzo, eccettuati gl'infermi o convalescenti, tutti gli altri seduti in terra mangeranno una sola cosa calda; e nel venerdì santo, sol pane ed acqua.

v. Ogni venerdi si farà la disciplina, eccetto sol quelli che occorreranno nell'ottava di Pasqua, Pentecoste e Natale; ed in quelli venerdi, ne' quali occorreranno feste di prima classe, o de' santi della Sagra Famiglia o protettori della fondazione, allora la disciplina si farà nelle loro vigilie,

VI. La disciplina dovrà durare un Miserere, un Deprofundis ed una Salve Regina cantati.

CAPO DICIMOTTAVO. Del silenzio.

1. Essendo il silenzio uno dei principali argini della disciplina regolare, è perciò stimato molto ed osservato con gran rigore dai padri antichi, e da essi pubblicato per uno dei principali mezzi per venire alla santa perfezione; ed avendo noi abbandonato la casa paterna, quanto di comodo e dilettevole il mondo ci esibiva, ed essendoci ritirati in questa comunità, tutto a fine di procurare ad ogni costo l'acquisto delle virtù, per pervenire alla santa desiderata perfezione: pertanto in questo capo s'intima a tutti l'esercizio di questa virtù tanto importante del silenzio, e da tutti se n'esige un'esatta ed intiera osservanza ne' tempi e ne' luoghi, che qui si prescrive.

II. Circa i luoghi, s'osserva silenzio rigorosissimo nel coro, nella chiesa, nella sagrestia, nella libreria, ne' luoghi comuni, ne' dormitori, nelle scuole, nel mentre s'insegna, e tanto nella prima quanto nella seconda tavola. E se in detti luoghi occorresse dire qualche cosa necessaria, si dica, ma in voce bassa ed in poche parole.

III. Circa il tempo, s'osservi silenzio rigoroso nelle ore già stabilite nel cap. 1x; nelle altre ore del giorno sarà lecito il parlare, ma nei soli luoghi pubblici ed a ciò destinati dal superiore.

IV. Per custodire il silenzio bisogna essere amici della camera, ed inimici d'andar vagando per la casa e molto più entrare nelle camere altrui; per essere amici della camera bisogna esser ricordevoli sempre della presenza di Dio, ed inimici dell'ozio che rende fastidiosa la camera e fa desiderare la conversazione; e sarà obbligo del superiore che non si vada girando per la casa, e far che ognuno stia applicato nella sua camera. Chi però ha bisogno di sollievo, si sollevi pure, ma ne' luoghi a ciò destinati.

v. Nella camera poi del superiore, ed in

sua assenza, in quella del suo sostituto, vi si può entrare in ogni ora e tempo, quando essi stanno in camera; in loro assenza poi, nessuno ardisca entrarvi.

VI. Nessuno faccia qualsivoglia sorta di rumore ne' tempi di silenzio, tanto fuori quanto dentro la propria stanza; e dovendo però farlo in tempo lecito e durar lungo tempo, lo faccia con licenza del superiore.

CAPO DECIMONONO.

Della modestia.

1. Siccome la modestia nei ministri evangelici ha tanta forza e fa tanta impressione ne' cuori de' secolari, che, senz'altra predica, questa sola l'edifica, e non rare volte è causa di singolari conversioni; così all'opposto un minimo atto d'immodestia, che scovrono in essi, li scandalizza, e spesse volte distrugge tutto quel bene che con le loro apostoliche fatighe a gran stento averanno procurato. Il che essendo pur troppo vero, per ciò con special forza s'incarica a tutti d'osservare rigorosamente in tutte le loro azioni questa santa virtù, dovendo ognuno come di continuo tener scolpito nel cuore il ricordo che S. Paolo incaricò alli primi cristiani Modestia vestra nota sit omnibus hominibus; e con tutta diligenza dovrà osservare le seguenti regole.

II. Siano modesti nel vedere, non andando or qua or là curiosamente guardando, specialmente verso persone di altro sesso.

III. Siano modesti nel parlare, non mai dicendo parole che ridondino in lode e stima propria, e molto meno in discapito della stima e decoro altrui, ma piuttosto, quando la prudenza il richiegga, lodino le altrui azioni senza affettazione alcuna.

IV. Si sfugga il contrastare e dimostrarsi pertinace nel proprio parere; anzi nelle cose indifferenti, dopo aver bastantemente detto colla solita modestia il proprio sentimento, non bisogna contristarsi, ma si la sci ognuno nella sua opinione.

v. Si esorta ognuno ad una santa allegrezza, con la quale ci dice il Profeta reale che dobbiam servire il Signore: onde sfug1 Ad Philipp., iv, 5.

gano la tristezza e malinconia, della quale lo Spirito Santo parlando dice: Spiritus tristis exsicat ossa 1. Avvertano però che allora sarà santa l'allegrezza, quando sarà moderata.

VI. Incontrandosi per la casa si salutino l'un l'altro, ma non si trattengano lungo tempo a parlare, dovendosi ciò fare ne' luoghi a ciò destinati.

VII. Nel trattare con forestieri e cogli istessi di casa, in tal modo deve ognuno portarsi, che non comparisca nè leggiero, nè rustico, ma sia ciascuno docile et affabile con tutti, e procurino tutti esser sempre li primi in onorare e cedere il miglior luogo.

VIII. Così nel gestire che nel camminare sfuggano ogni incompostezza, ogni puerilità, ogni leggerezza, dovendo esser gravi in tutte le azioni, sfuggendosi però sempre l'affettazione.

IX. Si ricerca parimente una gran modestia nel vestire e ne' mobili della camera : circa il vestire la materia non sia di seta, e la forma poi sia come quella degli onesti preti secolari.

x. La sottana dei fratelli laici sia lunga sino a mezza gamba, ed il mantello due o tre dita più lungo.

XI. Così anche nelle vesti interiori nessuno userà seta, nè sorte alcuna di vanità e leggerezza d'ornamenti superflui e curiosi.

XII. Li calzoni e calzette siano di color nero, e procurino per quanto sarà possibile essere uniformi in ogni cosa.

XIII. I mobili della camera siano parimente poveri, modesti e ben ordinati; non sia la stanza sporca, non sia confusa, ma ogni cosa stia pulita e nel suo luogo. Il letto stia sempre rifatto, e la camera sempre spazzata pertanto ognuno dovrà rifarsi il letto, alzato che sarà la mattina, prima di andare all'orazione, e spazzare la sua stanza almeno una volta la settimana.

XIV. Di notte nessuno cammini per casa senza lume, nessuno esca dalla camera con berettino bianco in testa, o con cinta sciolta, o con fazzoletto al collo, o con altra 1 Prov., XVII, 23.

simile indecenza; ed acciocchè con maggior | le parole di S. Paolo: Pretio empti estis, prestezza e facilità si acquisti la modestia in nolite fieri servi hominum 1. pubblico, s'eserciti con rigore nel mentre si sta in camera serrato; e questo si farà più facilmente, considerando che si sta alla presenza di Dio e del nostro angelo custode. xv. Il resto che spetta alla modestia ed alla buona educazione che s'insegna nel noviziato, s'incarica ad ognuno a mai volersene scordare, ma sino alla morte osservare il tutto con rigore.

CAPO VENTESIMO.

Del distacco del mondo, e quanto dobbiamo star lontani dagli affari e negozi de' secolari.

1. Il fine per lo quale, secondando la chiamata di Dio, ci siamo ritirati in questa casa, è acciocchè lontani da tumulti ed affari del mondo, e così sciolti da que' lacci che potevano legarci lo spirito, potessimo fissare la nostra mente nei pensieri delle cose celesti, e deposta ogni cura, ogni affetto, ogni speranza di mondo, unirci con Dio, cominciando a menare quella felice vita che vivea S. Paolo, e che diceva: Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus1; e dee ciascuno cosi bandire dal cuore qualsivoglia pensiero e speranza del mondo, che possa dire collo stesso: Mihi mundus crucifixus est, et ego mundo. E se ciascuno dee stimare il mondo crocifisso, cioè vile, abbominevole, e da non prezzarsi dal suo cuore, che errore sarebbe se, accostandosi di nuovo al mondo e fomentando nell'animo di nuovo pensieri del secolo, dimostrasse che ancor lo prezza, e lo ha in istima e l'onora? E qual miseria sarebbe di chi, dopo la generosa risoluzione di vivere in questa comunità come crocefisso al mondo, e dopo d'essersi liberato dalla sua tirannia, e aver preso il porto di sua volontà, per sua colpa ritornando ai pericoli, si soggettasse di nuovo al mondo, e coll' ingerirsi in faccende dei secolari movesse a' suoi danni la tempesta nel porto? Acciocchè adunque tal disgrazia a niuno intervenga, si prescrivouo le seguenti regole, e si esorta ognuno a ben ponderare 1 Ad Gal., 11, 20. 2 Ad Gal., VI, 14.

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II. Si esorta a tutti e a qualsivoglia dei nostri di procurare di togliere i lunghi discorsi, e le frequenti ed inutili conversazioni con secolari, essendo ciò un far cattivo uso del tempo, e perderlo malamente in cosa che è cagione di distrazione, esca avvelenata che alletta e trae l'animo pria al compiacimento, indi al desiderio delle cose ed affari del mondo.

III. A niuno sia lecito il battezzare, il tener nel battesimo o confirmazione qualunque persona, senza licenza del superiore, il quale non la dia facilmente, ma in casi nei quali ci sia manifesta cagione e ragionevole. IV. Essendo cose nonchè aliene, ancor contrarie al nostro istituto, il difendere o sollecitare le cause o liti criminali o civili, l'assistere a' testamenti, l'essere esecutori testamentarî; si proibiscono con ogni rigore queste cose a tutti, e specialmente il trattar matrimoni, contratti o altre simili cose che son proprie de' secolari,, e l'Apostolo ci ammonisce Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus 2.

v. Niuno dia testimonianza nè in cause civili nè in criminali, se non in caso che venisse a ciò obbligato da legittima potestà, e ne' casi ne' quali la carità o altro degno rispetto ci obbligasse a comparire, e si faccia con la licenza del superiore.

VI. Finalmente si proibisce non solo il governare luoghi pii e trattare i loro affari, ma anche il mostrarsi propensi e inclinati a detti governi e maneggi, se prima non si sia ottenuta licenza del superiore e della consulta, avanti la quale niuno mostri detta inclinazione ad altri, e molto meno il prometta.

CAPO VENTESIMOPRIMO.

Dello spirito d'umiltà che si ricerca in questa comunità, e della stima in cui si devono tenere le altre.

1. Essendo il nostro intento di condurre anime alla luce dell'Evangelo ed alla per1 I. ad Cor., vii, 23. 2 II. ad Timoth., 11, 4.

fezione della vita cristiana, avendo prescritto a' nostri un esatto e gelosissimo studio per conservarsi puri innanzi a Dio e agli uomini, dobbiamo ben tenerci fermi sullo stabile, sicuro e necessario fondamento della santa umiltà, riflettendo al bell' avvertimento di S. Cipriano: Custos virginitalis charitas, locus autem huius custodis humilitas. La carità verso Dio e il prossimo ci farà sempre mantenere illibati, e l'umiltà raccoglierà come in sicuro soggiorno le virtù che coll'aiuto di Dio coltiveremo nei nostri cuori. Stimi adunque ognuno e si persuada che questa nostra radunanza sia la minima fra tutte le altre, e nel parlare, parli secondo questo fermo giudizio, che così non la preporrà a niuna, ma la posporrà come deve a tutte.

11. Non mai alcun de' nostri dee tacciare o in qualsisia modo dir male di qualsivoglia altra comunità, nè del loro modo di governarsi e procedere..

II. Sempre dovranno sentir piacere nell'udire che la tale o tale, questa o quella comunità superi la nostra nella gloria, fama e lode degli uomini, nel favore dei grandi, e nelle occupazioni onorate nelle quali li loro soggetti sono impiegati; e molto più dovremo sinceramente rallegrarci del loro spirituale profitto e della conquista gloriosa di anime a gloria di Gesù, dovendo sempre ricordarci che il fine per il quale è eretta questa nostra minima comunità si è il raccogliere le miche che cadono dalla mensa, e le spiche che fuggono dalle fruttuose falci di tante altre religioni e comunità che con tanto frutto faticano nella vigna del Signore; onde dobbiamo con sincero affetto e consolazione dell'animo compiacerci del bene che quelle fanno nelle anime, e delle loro fatiche ad onore del nostro Dio. Epperciò ciascuno de' nostri dee ben fissarsi nell'animo questa massima che il fine di questo nostro istituto è che Cristo sia annunziato e glorificato or come venga glorificato Gesù Cristo, sia per nostro mezzo o di qualsivoglia altra comunità, dobbiamo sempre rallegrarcene e godere, per essersi già ottenuto il fine che da noi si pretende, è se 1 De disciplinâ et·habitu virginum,

per avventura taluno non ne godesse, darebbe segno che non ama Gesù Cristo, ma ben se stesso, e colle sue azioni e fatiche non cerca la pura gloria di Dio, ma con amor proprio sè medesimo. Dobbiamo ancora ben persuaderci e fissare nell'animo questo pensiero e questa massima cristiana, che rallegrandoci e compiacendoci noi del ben fatto dagli altri per puro fine dell'onor di Dio e per il desiderio della salvezza dei prossimi, potremo talvolta meritar più che se da noi medesimi quel bene si fosse procurato ed eseguito; imperocchè facendolo noi, sarà facile che vi si mischiasse amor proprio, che si facesse con compiacenza e soddisfazione di noi medesimi, con intenzione talvolta viziosa o almeno imperfetta; laddove con sincero compiacimento rallegrandoci dell'altrui fruttuose fatiche, dette imperfezioni nel nostro cuore non avranno luogo.

IV. E ponga finalmente ognuno mente in ciò, che in questa umile e caritatevole com-* piacenza facciamo nostre in parte le altrui fatiche, senza nostro travaglio, ma con gran merito ed utile nostro. Si vesta dunque ognuno del generoso spirito di Mosè, il quale consigliato a proibire di profetare ad alcune persone che profetavano, esclamò : Quis tribuet ut omnis populus prophetet, et det eis Dominus spiritum suum ; e questo è non avere spirito d'invidia ed aver spirito buono, che è ciò che ardentemente si desidera in questa piccola radunanza.

2

v. Avvertasi tuttavia, che, benchè dobbiamo stimare e prezzare ogni altra radunanza più degna di questa minima nostra, dobbiamo però amare più questa nostra che qualsivoglia altra, con l'amore filiale che ad essa dobbiamo, a guisa de' figliuoli di buona indole che teneramente amano la loro madre, benchè povera e brutta, piucchè qualsisia altra donna tuttochè ricca e bella, e i loro fratelli, benchè miserabili e disprezzati, piucchè altri uomini benchè di maggior condizione e di miglior fortuna. Questo amor dunque dee essere verso la 1 Forsan legendum saria (R. T.). 2 Num. XI, 29.

comunità come verso una madre quale essa si sia, non come verso una comunità che contenesse il pregio di qualche eccellenza speciosa e stimabile agli occhi del mondo; imperocchè dobbiamo fuggire nonchè l' applauso particolare nostro, ma ancora l'andar procurando l'applauso di tutta la Congregazione, dovendo solo desiderare che cosi i soggetti particolarmente, come tutta la Congregazione serva il più che possa al Signore, ma con ispirito d'umiltà. Dee anco all'istesso modo esser tenuto l'amor nostro coi fratelli, desiderando loro gran progresso nelle virtù, grand' animo negli apostolici ministeri, e forza per le fatiche, ma intraprese per pura gloria di Dio; e non desiderando mai loro nome, gloria e stima negli occhi del mondo, ma solo aumento di spirito e merito appresso il nostro grande Iddio e Signore.

CAPO VIGESIMOSECONDO.
Della mensa.

1. Nella nostra casa due sole tavole si dovranno fare e nella prima dovranno venire tutti coloro che non sono destinati a servire nella comunità, nè sono legittimamente impediti, non permettendosi a niuno l'andare alla seconda tavola, fuori che a coloro che sono di servizio, o sono legittimamente impediti, o avranno l'espressa licenza del superiore.

11. Appena intesosi il segno del campanello, subito dovranno tutti venire e radunarsi nel coretto; dovran fare l'esame di coscienza generale e particolare; qual finito, ed alzatosi il superiore, si leveranno tutti, e seguitatolo, entreranno in refettorio, ove fatto profondo inchino al crocifisso, aspetteranno che il superiore faccia la benedizione: la quale nella prima tavola si farà da lui secondo il rito romano, nella seconda tavola la farà ciascuno con voce bassa, usando la forma breve; e lo stesso si eseguirà allo stesso modo nell'azione di grazie e nella cena.

. Finita che sarà la benedizione, ognuno sederà al suo luogo, e con rispettosa civiltà niuno ardisca di scovrire il pane, finchè il superiore ne dia il segno.

IV. Il lettore però, il quale starà come gli altri in piedi e col capo scoverto, mentre il superiore benedice, dopo aver detto il versetto: Iube, Domine, benedicere, dee aspettare che tutti sedano, e dopo gli altri sedere ancora lui; e covertosi il capo, incomincierà la lezione da un capo della sacra Scrittura, il quale finito, leggerà qualche libro, o di vita de' santi, o d'altra materia divota, secondo la scelta ed ordine del superiore, senza l'avviso del quale non cesserà dalla lettura; se in leggendo commettesse il lettore alcun errore, il superiore potrà subito correggerlo con pronunziar rettamente quella voce, nella quale si è errato, senza aggiungere altro, ed il lettore è tenuto ripeterla così come il superiore l'ha detta.

v. Verso il fine del pranzo e della cena, il superiore darà il segno al lettore, e costui subito darà fine alla lezione, ed all'ora si dovrà cominciare il seguente esercizio. Si proporrà un dubbio la mattina intorno ai casi di coscienza, e la sera di Scrittura : questi non devono essere molto intrigati nè difficili, e saranno proposti da un prefetto destinato dal superiore, e dovranno rispondere coloro che destinerà il superiore : nel fine scioglierà la questione colui che ha proposto, e risolverà il dubbio o approverà la risoluzione forse già fatta da alcuno, ma senza additarlo nè generalmente nè determinatamente nominandolo. Le risposte che si daranno da ciascuno, dovranno essere brevi e senza minima ombra di ostentazione o di riprensione delle altrui.

VI. Al pranzo si darà principio dal superiore, dopo che avrà veduto tutti assisi ed all'ordine, e dopo che con un paio di versi della sagra Scrittura si sarà cominciata la lezione.

VII. Chi giungerà nel tempo che si legge il capo della Scrittura, si dovrà inginocchiare vicino alla porta a vista di tutti; e dopo una breve orazione, levatosi, fatta la riverenza al superiore, si andrà a sedere, ma non già al suo luogo, per non cagionar disturbo, ma dopo l'ultimo seduto. Solo il superiore in qualsivoglia tempo che entri,

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