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E quel loro inchinar, ch' ogni mia gioia
Spegne, o per umiltate o per orgoglio,
Cagion sarà che 'nnanzi tempo i' moia:

E d'una bianca mano anco mi doglio,
Ch'è stata sempre accorta a farmi noia,
E contra gli occhi miei s' è fatta scoglio.

SONETTO XXV. (31.)

Rimproverato di aver tanto differito a visitarla, ne adduce le scuse.

Io temo sì de' begli occhi l'assalto,

Ne' quali Amore e la mia morte alberga,
Ch' i fuggo lor come fanciul la verga;
E gran tempo è ch' io presi 'l primier salto.

Da ora innanzi faticoso od alto

Loco non fia, dove 'l voler non s'erga,
Per non scontrar chi i miei sensi disperga,
Lassando, come suol, me freddo smalto.

Dunque s'a veder voi tardo mi volsi,
Per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
Fallir forse non fu di scusa indegno.

Più dico: Che 'l tornare a quel ch' uom fugge,
El cor che di paura tanta sciolsi,

Fur della fede mia non leggier pegno.

9. LORO: de' due begli occhi. 14. SCOGLIO: impedimento, ostacolo; cfr. Dante, Purg. II, 122 e seg. Tass.:,,Il soggetto di questo sonetto pare aver corrispondenza con quello della ballata: Lassare il velo per Sole o per ombra."

3. FANCIUL LA VERGA: Murat. B.: FAN

Son. XXV. 1. sì: tanto. CIULLO VERGA. 4. SALTO: corso. È già un pezzo che cominciai a fuggire i begli occhi. -6. NON S' ERGA: dove io non voglia andare. — 7. CHI; quegli occhi che mi togliono l'uso dei sensi, lasciandomi stupido come un sasso. 1 9. MI VOLSI: tornai. 12. IL TORNARE: come io feci. 13. E'L COR: e l' avermi io, per tornare a vedervi, discacciata dal cuore quella tanta paura che io aveva degli occhi vostri. Leop. П Vell. racconta:,,Passando un giorno M. Laura da quel luogo, ove a caso il Poeta era, e non essendosi egli così tosto nè con quel modo voltato per vederla, ch''usato era di fare, si dubitava ch' ella non pensasse ch' egli l'avesse fatto per superbia, o per più di lei non curarsi. Onde per volerla di tal opinione rimuovere, ora le narra la cagione perchè lo facesse." Così anche Ges, ecc. Ma questa è cosa molto incerta, e niente è altro che indovinare.

SONETTO XXVI. (33.)

Quando Laura parte, il cielo tosto si oscura, ed insorgono le procelle.

Quando dal proprio sito si rimove

L'arbor ch' amò già Febo in corpo umano,
Sospira e suda all' opera Vulcano,

Per rinfrescar l'aspre saette a Giove:
Il quale or tona, or nevica ed or piove
Senza onorar più Cesare che Giano;
La terra piagne, e 'l Sol ci sta lontano
Che la sua cara amica vede altrove.
Allor riprende ardir Saturno e Marte,
Crudeli stelle; ed Orïone armato
Spezza a' tristi nocchier governi e sarte:
Eolo a Nettuno ed a Giunon, turbato,
Fa sentir, ed a noi, come si parte
Il bel viso dagli Angeli aspettato.

SONETTO XXVII. (34.)

Al ritorno di Laura si rasserena il cielo e si ricompone in placida calma.

nome.

Ma poi che 'l dolce riso umile e piano

Più non asconde sue bellezze nove;

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Son. XXVI. Coi due che seguono il presente sonetto forma una catena di tre sonetti, d' uno stesso concetto e tessuti colle medesime rime. Nel primo dice: Quando Laura parte, il cielo si turba; nel secondo: Quando torna, il cielo si rasserena; nel terzo: Ora son nové giorni che ella è lontana, perciò il cielo ritiene il primo stato torbido. 2. L' ARBOR: il lauro. Usa il solito simbolo di Laura e di Dafne per la medesimezza del 3. ALL' OPERA: di fabbricar saette; cfr. Virg. Aen. VIII, 423 e segg. 4. RINFRESCAR: rinnovare. 6. CESARE: il mese di luglio che ha il suo nome da Giulio Cesare. GIANO: il mese di gennaio. Senso: In qualsiasi stagione. - 7. PIAGNE: per l' innondazione.,,Piovendo, la terra diventa umida, sì che ella versa correnti rivi e pieni d' abbondevolissime acque." Ges. CI: da noi. 8. AMICA: Dafne-Laura. 10. CRUDELI: perchè (secondo le credenze del tempo) maligni ne sono gl' influssi. ORIONE: Costellazione infesta ai naviganti, come la disse Orazio, o nembosa, come la disse Ovidio. ARMATO: di tempeste. 11. TRISTI: inGOVERNI: timoni. - 12. EOLO: i venti. NETTUNO: al mare. GIUNONE: all' aere. 13. A NOI: alla terra. 14. ASPETTATO: imitazione di Dante nella Canz. Donne ch' avete intelletto d'amore (Vita Nuova cap. 19), st. 2 e 3.

felici.

Son. XXVII. 1. IL DOLCE RISO: il ridente volto di Laura; cfr. Dante, Inf. V, 133. -UMILE: modesto. PIANO: benigno. Tass.:,,Riso umile e piano chiama il Poeta quello di Laura, a distinzione del sogghigno e del riso disprezzativo; e dello smoderato che non è umile; e dell' acerbo, od espresso come contro voglia, che non è piano." 2. NOVE: maravigliose.

1

Le braccia alla fucina indarno move
L' antiquissimo fabbro Siciliano:
Ch' a Giove tolte son l'arme di mano
Temprate in Mongibello a tutte prove;
E sua sorella par che si rinnove

Nel bel guardo d' Apollo'a mano a mano.
Del lito occidental si move un fiato

Che fa securo il navigar senz' arte

E desta i fior tra l'erba in ciascun prato.
Stelle noiose fuggon d'ogni parte

Disperse dal bel viso innamorato,
Per cui lagrime molte son già sparte.

SONETTO XXVIII. (35.)

Infintantochè Laura è assente, il cielo rimane sempre torbido ed oscuro.

Il figliuol di Latona avea già nove
Volte guardato dal balcon sovrano

Per quella ch' alcun tempo mosse in vano
I suoi sospiri, ed or gli altrui commove:
Poi che cercando stanco non seppe ove
S'albergasse, da presso o di lontano:
Mostrossi a noi qual uom per doglia insano,
Che molto amata cosa non ritrove.

E così tristo standosi in disparte,
Tornar non vide il viso che laudato
Sarà, s' io vivo, in più di mille carte.
E pietà lui medesmo avea cangiato
Si che i begli occhi lagrimavan parte:
Però l'aere ritenne il primo stato.

INDARNO: perchè

4. FABBRO: Vulcano.
SORELLA: Giunone =

3. LE BRACCIA: cfr. Virg. Georg. IV, 173 e, segg.
Giove non è più per adoperare le saette.
6. MONGIBELLO: Etna; cfr. Dante, Inf. XIV, 56. — 7.
l' aria. 8. NEL BEL: nel chiaro raggio del Sole. 9. DEL LITO: da po-
nente. FIATO: Zefiro. 12. NOIOSE: maligne. 13. INNAMORATO: pieno
delle grazie d'amore. -- 14. SPARTE: da me.

-

Son. XXVIII. 1. IL FIGLIUOL: Apollo il Sole. Il Sole si era levato già nove volte. 3. PER QUELLA: per veder quella. QUELLA: Dafne, che anche quì, come di solito, è identificata con Laura e col lauro. 4. ALTRUI: miei. 6. SALBERGASSE: ella, cioè Laura. 7. INSANO: infermo d'animo. 8. RITROVE: ritrovi. 9. IN DISPARTE: coperto di nuvole. 12. LUI MEDESMO: gli antichi (Vell.. Ges., Cast., Tass. ecc.) intendono di Apollo, cioè del Sole, cambiatosi (cioè oscurato, cfr. Luc. XXIII, 44. 45) per il dolore della partenza di Laura, e lagrimante in parte (..perchè

D

SONETTO XXIX. (36.)

Alcuni piansero i loro stessi nemici, e Laura nol degna neppur d'una

lagrima.

Quel ch' in Tessaglia ebbe le man sì pronte
A farla del civil sangue vermiglia,
Pianse morto il marito di sua figlia
Raffigurato alle fattezze conte:

E' pastor ch' a Golia ruppe la fronte,
Pianse la ribellante sua famiglia,

E sopra 'l buon Saul cangiò le ciglia:
Ond' assai può dolersi il fiero monte.
Ma voi, che mai pietà non discolora,
E ch'avete gli schermi sempre accorti
Contra l'arco d' Amor che 'ndarno tira,
Mi vedete straziare a mille morti:
Nè lagrima però discese ancora

Da' be' vostr' occhi; ma disdegno ed ira.

SONETTO XXX. (37.)

E lo specchio di Laura che gli fa soffrire il duro esilio dagli occhi suoi.

Il mio avversario, in cui veder solete

Gli occhi vostri, ch' Amore e 'l Ciel onora,

Con le non sue bellezze v' innamora,

Più che 'n guisa mortal soavi e liete.

alquanto pioveva"; Vell., Ges.). I moderni (Biag., Leop., Car., Boz., ecc.) intendono invece del bel viso di Laura, fatto mesto per cagion della morte di un parente infermo, a visitare il quale Laura era partita da Avignone, talmente mesto che i suoi begli occhi intanto versavano lagrime. Alcuni lasciano la questione indecisa (Murat., Wagn., Ambr., Carb., ecc.). Se il Sole non vide tornare il viso di Laura (v. 10), ella era ancor lontana (chè non è ammissibile l' interpretazione:,,Il Sole non si accorse quando Laura tornò fuori"); e se ella era ancor lontana, il Poeta non poteva sapere se il di lei viso era cangiato nè se i di lei occhi lagrimavano. Intendi pertanto cogli antichi del Sole. 14. IL PRIMO: quello descritto nel Son. XXVI. Son. XXIX. 1. QUEL: Giulio Cesare. 3. IL MARITO: Pompeo, suo genero. Cast.:,,Non posso lodare questa spippaav di Pompeo in questo luogo, che scema la compassione di Cesare, quando la dovrebbe accrescere; perciocchè, che maraviglia è che Cesare piangesse un suo genero? da tacere, il marito di sua figlia." Così pure Tass., Car. ecc. Il Biag. risponde che l'odio fra parenti è il maggiore, e tanto maggiore quanto più intima è la parentela." Scusa un po' magra! 4. RAFFIGURATO: riconosciuto. -CONTE: note. - 5. IL PASTOR: Davide. LA FRONTE: cfr. I. Sam. (I. Reg.) XVII, 49. 6. FAMIGLIA: il ribelle suo figlio Absalom; efr. II. Sam. (II. Reg.) XVIII, 33. — 7. CANGIÒ: ne pianse la morte; cfr. II. Sam. (II. Reg.) 1, 17 e segg. 8. MONTE: Ghilboa, cfr. ibid. v. 21. Dante, Purg. XII, 40 e segg. 10. ACCORTI: pronti. 12. A MILLE: Con pena uguale a mille morti.

Son. XXX. 1. AVVERSARIO: rivale; lo specchio. vostre. 4. PIÙ CHE: si riferisce a bellezze.

Era

3. NON SUE: ma

Per consiglio di lui, Donna, m'avete
Scacciato del mio dolce albergo fora;
Misero esilio! avvegna ch' io non fora
D'abitar degno ove voi sola siete.
Ma s' io v'era con saldi chiovi fisso,
Non devea specchio farvi per mio danno
A voi stessa piacendo, aspra e superba.
Certo, se vi rimembra di Narcisso,

Questo e quel corso ad un termino vanno:
Benchè di sì bel fior sia indegna l' erba.

SONETTO XXXI. (38.),

Si adira contro gli specchi, perchè la consigliano a dimenticarsi di lui.

L'oro e le perle, e i fior vermigli e i bianchi
Che 'l verno devria far languidi e secchi

Son per me acerbi e velenosi stecchi,
Ch' io provo per lo petto e per li fianchi:

Però i dì miei fien lagrimosi e manchi:

Chè gran duol rade volte avvien che 'nvecchi.
Ma più ne 'ncolpo i micidiali specchi
Che 'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.
Questi poser silenzio al signor mio,

Che per me vi pregava; ond' ei si tacque
Veggendo in voi finir vostro desio.

6. ALBERGO: del vostro cuore.

8. OVE: nel vostro cuore.

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SOLA: non

- CHIOVI:

amando che voi medesima. Cast.: Sola degna d' abitare, cioè degna amante di voi medesima." 9. V ERA: nel vostro cuore. chiodi. Vell.:,,Se v' era stabilito con forti e tenaci legami, come l'affezione ch' ella verso di lui avea dimostrata dinotava." 10. DEVEA: doveva. 12. DI NARCISSO: che di sè stesso invaghitosi nello specchiarsi ad un fonte fu cangiato in fiore; cfr. Ovid. Metam. III, 509 e seg. 13. QUESTO: vostro. QUEL: di Narcisso. - CORSO: non destino (Vell., ecc.), ma procedere. VANNO: conducono ad un medesimo fine. 14. sì BEL: come sareste voi, quando, al modo di Narcisso, foste trasformata in fiore.

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Son. XXXI. 1. I FIOR: di cui vi adornate. Cast.:,,Si potrebbe intendere delle bellezze di Laura, cioè oro per gli capelli; perle per gli denti; fior vermigli e bianchi per le guancie." E il verno? 2. DEVRIA: dovrebbe.,,Ed intanto sono trovati vivi e verdi in onta alla stagione invernale per procurare gli ornamenti muliebri.“ Boz. ,,Pare che il sentimento del Poeta sia il seguente: I fiori vermigli e i bianchi, che dovrebbero esser colpiti da un verno prematuro, posciachè io ne provo sì acerbe pene (?). Car. 3. STECCHI: cfr. Dante, Inf. XIII, 6. - 5. MANCHI: abbreviati. 6. GRAN DUOL: Senec. Epist. 30: Nullum enim dolorem esse longum, qui magnus est. - 8. STANCHI: stancati. 9. SIGNOR: Amore.

11. FINIR: terminare in voi stessa amando voi solamente voi stessa.

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