Sayfadaki görseller
PDF
ePub

vava a mirare le belle fattezze, e gli atti compassionevoli di quella vaga giovane, alla quale, per quanto sembra non diresse mai una parola, infedeltà, in quanto si può dir tale, commessa verso la figlia di Folco Portinari; tutta intellettuale l'altra, che senza far torto alcuno alla Beatrice reale, avviluppando il Poeta nelle dispute, nei dubbi e negli errori della speculazione filosofica, l'alienarono dalla Beatrice allegorizzata come figura della scienza divina.

Questa doppiezza della Donna gentile ammette pur anche il dubbio, se vi sia coincidenza di tempo fra l'infedeltà a cui l'indusse l'una, e quella commessa per amore dell' altra. Veramente nulla c' impedisce di prestar piena fede a quelle parole, nelle quali la V. N. ci accerta che l'amore per quella vaga donzella non l'abbia posseduto che per « alquanti di», mentrecchè sappiamo dal Convivio, e lo vediamo confermato per altre prove, che l'amore di quell' altra donna allegorica, val' a dire lo studio della Filosofia, sia stata per una serie d'anni l'occupazione prediletta del Poeta. Non dubiteremo dunque, che, mentrecchè già nel capitolo 40 della V. N., cioè prima del trecento, l'aut. si era distaccato dall' amore per la Donna gentile in carne ed ossa, gli studi filosofici gli siano rimasti cari a segno, da fargli comporre ancora nel 1308 il commento alle quattordici canzoni di argomento tutto filosofico.

Volendo precisare il tempo in cui la V. N. fu scritta, bisognerà distinguere la composizione delle Poesic in essa raccolte, e quella del testo prosaico che le accompagna. Si può supporre che le Rime siano sincrone ai fatti in esse mentovati. Veramente il primo sonetto potrebbe far nascere un dubbio relativo a questa composizione contemporanea, se si riflette che l' ultimo verso assai chiaramente allude alla morte precoce di Beatrice.

Leggendo però le risposte che i poeti del tempo, come Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante da Maiano, Chiaro Davanzati, Guido Orlandi e più altri diedero a questo sonetto, resteremo convinti, che non si tratta di una profezia dopo l' evento, come sono quelle della Commedia, ma di un vero presentimento, fondato per avventura sulla delicatezza della salute di Madonna Beatrice. Simili presentimenti ricorrono nelle due prime Canzoni.

La Prosa sarà di data più recente. Non crederei però che sia scritta tutta di seguito. Si conosce dai cap. 5 e 6 che l' aut. non raccolse le sue Rime, scegliendone le une e rigettando le altre, che qualche tempo dopo che furono composte. Sembra probabile ch' egli abbia ripreso questo lavoro da tempo in tempo, aggiungendovi per volta la concernente parte del Commento. Ancora al tempo del cap. 42 la raccolta non era definitivamente terminata. In ogni modo però il cap. 31 ci fa supporre che tutta l' opera lo sia stata vivente Guido Cavalcanti, cioè nel 1300.

Come nel Canzoniere del Petrarca, così anche nelle Rime di Dante due parti principali s' intendono senz' altro: cioè Poesie composte in vita di Beatrice, e quelle in morte di essa. Con finissimo accorgimento però fu dimostrato dal D' ANCONA due periodi essenzialmente diversi dover distinguersi in quella prima parte: l' uno che comprende i primi sedici (o diciasette) capitoli, e l'altro che dal cap. 17 (oppure 18) arriva fino al ventesimo ottavo. Ma rendiamo le proprie parole di quell' illustre editore: «D' ora innanzi vediamo la mente

1 Egli è vero che nelle già sopra citate Annotazioni» pag. 5, avevo indovinato questa differenza; ma ben lungi dall' intenderne la somma importanza, non me n'era servito che per fondarvi sopra una divisione subordinata.

di Dante e l'affetto staccarsi dalla terra e innalzarsi alle cose eterne, e intanto la poesia diventare, con nuovo esempio contemplativa, ascendendo al cielo a udirvi le preci degli Angeli a Dio, e discendendo all' Inferno a udirvi le grida dei malnati. D' ora innanzi Dante non cerca più Beatrice, perch' ei ne ha ben fitta la immagine dentro l'anima sua: alla contemplazione corporca degli occhi succede la segreta contemplazione dell' intelletto: ei non trema più, non piange più, perchè si sente beato in quella intima adorazione: il saluto che dianzi era intollerabile beatitudine la quale passava e redundava la sua capacità, diviene dolcezza onesta e soave: il fine dell' amore non è più la vista di Beatrice, ma la lode. . . . . Così incomincia nella V. N.... quella che Dante, quasi vergognando degli intendimenti contenuti nelle rime anteriori, chiama materia nova e più nobile che la passata, e comincia insieme una maniera di poesia della quale egli sarà salutato inventore e maestro (Purgat. XXIV, 48). Nelle antecedenti rime troviamo, infatti, un misto non bene accordato di reminiscenze provenzali e sicule. D'ora innanzi, Dante procederà per la sua via, colle sue forze, collo stile suo, col fine suo da raggiungere: dirittamente, consapevolmente, innovando, e coll' intento ben chiaro e determinato di innovare le vecchie forme della poesia erotica.»><

Le altre sottodivisioni s' intenderanno facilmente dalla nostra tavola. L'infima di esse non è indicata nci testi a penna che per capoversi. Il primo a distinguerle per numeri apposti fu il TORRI. Applicandovi l'ultimo detto della prima di queste sottodivisioni (« quelle parole, le quali sono scritte nella mia memoria sotto maggiori paragrafi ») egli credè dover chiamarle « Paragrafi ». Non mi sembra però che questo nome corrisponda alle intenzioni dell' autore. Nelle altre sue

opere, come nella Monarchia, nel Convivio ecc. Dante stesso chiama « Capitoli» le sottodivisioni dei libri ossia dei trattati. Capitoli ancora da non pochi antichi sono detti li Canti della Commedia, e non si vede perchè l' aut. dovesse aver scelto pel presente libretto, il più semplice di tutti i suoi componimenti, un altro termine, termine che ricorda un po' troppo la pedanteria degli Scolastici. Questi maggiori paragrafi», ossia rubriche, non vogliono dir altro, che: oggetti di maggiore importanza a paragone delle altre che infino a quel punto si trovavano registrate nel libro della memoria dell' autore. Si è dunque restituito il nome di «CAPITOLI» a quello tutto arbitrario di paragrafi. Considerando però che nel cap. 29, l'autore dice: «< ciò non è del presente proposito, se volemo guardare il PROEMIO, che precede questo libello», non si è creduto dover far entrare questo proemio nella numerazione dei capitoli. Ma non volendo allontanarci troppo dai numeri, sull' esempio del Torri, ricevuti in tutte le edizioni moderne, il paragrafo 3 di esse fu da noi diviso in due capitoli, talmente che il terzo comprende esclusivamente la prima visione. La differenza fra la nostra numerazione e la sin qui usitata si limita dunque ai così detti paragrafi 1 e 2, comprese le prime righe del §. 3, che nella presente stampa si chiamano: Proemio, e capit. 1 e 2.

La «Serie delle edizioni» riferisce i modi ben differenti tenuti dagli editori a riguardo delle «divisioni ». Ch' esse siano parto genuino di Dante, destinato a far parte integrante dell' opera, è cosa tanto certa che non avrebbe dovuto mai esser messa in dubbio. Questo modo di dividere un testo da commentarsi, massime un testo poetico, è nell' uso universale di tutti i commentatori del tempo. Lo troviamo nel proprio commento

DANTE, Opere minori. I.

b

di Dante alle Canzoni del Convivio, come nell' epistola dedicatoria a Cangrande. Lo adoperano gli antichi commentatori della Commedia, il Laneo, l' Ottimo, l' Anonimo Fiorentino, Benvenuto da Imola e Francesco da Buti. Anche il contesto della V. N. fa vedere che non solamente Dante stesso ne sia l'autore, ma pure che le voleva innestate nel testo come parte di esso, di modo che, chi credeva dover rigettarle intieramente, oppure trasporle altrove, non poteva far a meno, di alterare arbitrariamente qualche parola del testo indubitato. Servino d'esempio la fine della Prosa che precede la prima Canzone (cap. 19) e tutto il cap. 39. Altre volte, come nel cap. 34, quegli stessi si videro nella necessità di esser infedeli al loro sistema, amettendo nel testo una parte della divisione. Si aggiunga che l'aut. stesso, dicendo nel cap. 22. « Acciocchè questa canzone paia rimanere vie più vedova dopo il suo fine, la dividerò prima ch' io la scriva: e cotal modo terrò da qui innanzi», indica chiaramente il posto che nella prima parte dell' opera aveva dato, e che nella seconda voleva dare alle divisioni. I codici manoscritti non sono veramente concordi, ma i migliori e i più antichi hanno le divisioni ai rispettivi posti che l' aut. aveva assegnato ad esse. Le notizie che abbiamo di sei testi a penna da noi enumerati, non bastano per accertarci,· se le divisioni vi si trovino o nò. Degli altri sedici sette ne sono mancanti; ma nove, e tra esse i più antichi le danno ai luoghi dovuti. Ben grave è dunque l'errore del KEIL, se afferma che in tutti i manoscritti, eccettuatone un solo, le divisioni manchino. Del resto non ignoriamo la cagione per cui alcuni amanuensi omisero quelle divisioni. Ecco quanto una nota contemporanea del cod. Laurenziano Plut. XC. sup. No. 136, pubblicata dal BISCIONI, e più correttamente dal MEHUS nella

« ÖncekiDevam »