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la mia in parecchie cose di questo volume differisce da quella di uomini egregii, il cui sapere nobilmente invidio e altamente onoro, di parecchi dei quali l'amicizia e la benevolenza mi è vanto e consolazione; ma in quella guisa che sarebbe più che puerile il supporre che le loro opposte idee offendessero me, non sarebbe serio dayvero il sospettare che le idee mie offendano loro; per chi cerca non altro che il vero, è sempre viva ed efficace la parola di Marco Tullio nelle Tuscolane (II, 2): Nos est refellere sine pertinacia, et refelli sine iracundia parati sumus; la quale, a parer mio, fu il germe di quella ancor più viva e bella di Sant' Agostino: in necessariis unitas, in dubiis liberias, in omnibus charitas.

Nè vi sia chi creda, che difendendo le opinioni mie coll' onesto vigore che vien dalla persuasione pienissima, io avessi mai pensato di levar altare contro altare; chi è credente sincero, degli altari, alla fin fine, non ne vede ed ammette che uno, e si compiace che nella necessaria unità dell'altare, pur nella bella varietà dei riti, molti e fervidi e operosi sieno i sacerdoti, a difesa del vero, ad onore ed incremento delle lettere, a gloria dell' Italia e di Dante.

"

APPENDICE I.

LA BEATRICE REALE E L'ALLEGORICA.

I. Da quando, più che un secolo e mezzo fa, il Biscioni, appoggiandosi ad altri dubbi di scrittori precedenti, accampò i dubbi suoi sulla realtà di Beatrice, e pretese indi dedurre nuove norme d'interpretazione degli scritti di Dante, la lotta s'impegnò più volte con forze differenti e con differente fortuna. Se da una parte può esser cosa assai deplorabile che tanto acume d'ingegno e tanta virtù di dottrina si esercitasse a mostrar tenebre dove non era che luce, e a trovare nel suo significato arcana e misteriosa una narrazione, che invece era piana; dall'altra le nostre lettere ebbero a felicitarsi, perchè s'arricchirono di lavori siffatti, che se l'animo non può sempre essere disposto ad accoglierne le conclusioni, tuttavia sono una chiara testimonianza dell' invidiabile ingegno degli autori, e dell'amore agli studi danteschi tra noi.

Così la questione, variamente dibattendosi, è giunta a dividere i contendenti in tre campi opposti, di quelli che negano qualsiasi realità di Beatrice nella stessa Vita Nuova; di quelli che nella Vita Nuova escludono qualsiasi allegoria; e finalmente d'alcuni che tengono una via di mezzo, ammettendo la realtà di Beatrice, ma in pari tempo una incipiente trasformazione allegorica. I tre capitani fra noi sono il Bartoli il Giuliani, il d'Ancona; uomini al cui ingegnɔ e alle benefiche fatiche l'Italia e gli studiosi di Dante hanno debito di somma gratitudine. E mentre il Giuliani, anima così mite e tanto poco battagliera, senza mai citar nessuno, per timore di recar offesa e disgusto, si propone il suo argomento e colle ragioni, ch'ei reputa migliori, fila dritto al suo scopo; gli altri due si affrontano vigorosi e a visiera alzata, ingaggiando la

lotta; ma con tante lealtà e pulitezza adoperano le loro armi, che si resta incerti se più ammirare la dottrina e la destrezza dell'usarla, o il modo cortese: imitabile esempio in tempi che il mostrare d'avere altra opinione sur un dato soggetto, equivale di spesso a crearsi de' nemici; indizio questo che non si cerca la ve、 rità, ma la meschina soddisfazione dell'amor proprio.

Questi dotti uomini io vorrei saperli imitare; ad ogni modo non mi manca, se non altro, la schiettezza delle convinzioni; e queste, qualunque sieno, io verrò esponendo, dell' altrui dottrine facendo tesoro,

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II. Fu ben detto che la Vita Nuova" si deve riguardare come il genuino principio e il più sicuro fondamento del Poema sacro (Giuliani); non tanto per ciò che risguarda la persona di Beatrice, quanto più perchè ivi si trova in germe quell'alta Visione, la quale il Poeta, ampliandola all'uopo, descrisse nella Commedia.

Nel principio del Convito Dante dichiara: "Se nella presente Opera, la quale è Convito nominata, più virilmente si trattasse che nella Vita Nuova, non intendo però in parte alcuna a quella derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo siccome ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile essere conviene: chè altro si conviene e dire e operare a una etade, che ad altra.,, Dalle quali parole si conchiude chiaro, che se l'autore della Vita Nuova ha voluto più tardi per il Convito e per la Commedia trarre dei simboli, si fece un pronto dovere di avvisarci che non intende per questo che in quel libricciuolo, che ora da qualche critico si chiama misterioso, s'abbia da escludere la realtà.

Questo punto del Convito parmi assai grave, e per sè baste vole a frenare il troppo fervido ingegno di chi nella Vita Nuova vorrebbe scorgere l'allegoria; e più ancora di quelli che di Beatrice fanno una astrazione, un simbolo senza entità reale, colla esistenza storica di Beatrice disconoscendo l'amore di Dante, e la ispirazione che vien dall'affetto (D'Ancona.)

III. Il nostro Autore ci ha beneficamente lasciato qui e qua ne suoi scritti quanto è mestieri per poterci tener fuori dagli errori in quanto risguarda l'interpretazione delle sue Opere: occorre solo che lo si ascolti con mente docile ed attenta, e con animo disposto a sacrificare i nostri preconcetti alla verità della sua pa

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rola. Discorrendo nel Convito (II, 1) dei quattro sensi, onde uno scritto si può intendere e si deve esporre, ne ammaestra che « sem« pre lo litterale dee andare innanzi, siccome quello, nella cui << sentenza gli altri sono inchiusi, e senza lo quale sarebbe impos« sibile e irrazionale intendere agli altri, e massimamente all'allegoria »; il perchè il senso letterale, rispetto agli altri, e massimamente all'allegorico, diviene come il fondamento rispetto all'edifizio. E Dante a questo metodo si tenne invariabilmente stretto come ci dimostra nel commento allegorico che delle sue Canzoni fa nel Convito, e della Commedia nell'Epistola a Cangrande. Che se più tardi dalla Vita Nuova prese Dante il nome di Beatrice per farne un simbolo della Scienza divina o divina Rivelazione nel Poema, e quello della Donna gentile come simbolo della Filosofia nel Convito; ciò non prova che que' simboli si possano trasportare all' interpretazione allegorica della Vita Nuova, dove tutto è storia, tutto realtà; e sulla realtà Dante poggia i suoi simboli, come l'edifizio sul fondamento. Si guardi, avverte il D'Ancona, come Dante procede nell' uso degli enti allegorici introdotti nella Commedia. « Prima abbiamo la persona, l'ente << storico, vero, reale: poi, su di essa si adatta il simbolo. Egli < non crea, scomponendo e ricomponendo, un tipo della ragione « umana, della filosofia morale, ma a ciò si giova del personag<< gio storico di Virgilio: non crea un tipo della umana libertà, « della libertà interiore, ma dà questo significato al personaggio <storico di Catone.... E così è di Beatrice. »

IV. Sono le accalorate e sottili discussioni che molte volte, anzichè rischiarare un argomento servono ad infoscarlo, e fanno nelle menti rampollare ogni fatta di dubbi. Io credo fermamente che su cento giovani che si facessero a leggere la Vita Nuova (purchè, s'intende, non prevenuti ormai sulle discussioni che vi si fecero sopra), neppur uno penserebbe che sotto il velame di sì calda e ingenua narrazione si nascondesse l'allegoria; e penso che preso amore a quel libretto, ognuno si sentirebbe disgustato, come di perdita di cosa cara, quando venisse poi a sentire che i critici a forza di ingegno e di argomentazioni si persuadono di esser giunti a mostrare che nulla c'era di reale, e che tutto il grazioso lavoro non fu altro che uno sforzo d'ingegno, una smania di sottili allegorie; son certo che strabiglierebbe, nè vorrebbe si presto acconciarsi a simili conclusioni.

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