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XVII. Qesto senso di Cielo, di Costellazioni concordemente dato dai primi chiosatori all' espressione tra feltro e feltro risponde al linguaggio, che usa il Poeta ogni volta che gli accade di accennare al suo Veltro. Rammentatevi le parole di Ugo Capeto:

O Ciel, nel cui girar par che si creda
Le condizion di quaggiù tramutarsi,
Quando verrà per cui questa disceda ?

Purg., XX, 12-14 (1):

e quelle di Beatrice :

lo veggio certamente....

A darne tempo già « stelle propinque.... »

Nel quale un Cinquecento Dieci e Cinque,
Messo di Dio, anciderà la fuia ecc.

Purg., xxx111, 40-44:

e Folchetto (Par., 1x, 139-142), raffermando le parole di Beatrice non sarà tutto tempo e Stelle propinque, usa pure un tosto; e quel tosto viene in appresso usato pure da S. Pietro (Par., xxvII, 63). Nè si creda che tra questo tosto di S. Pietro e le parole di Beatrice sulla fine dello stesso Canto (vv. 142-148) vi sia punto contraddizione, benchè apparentemente alla venuta del Veltro si dia quivi uno spazio di molti secoli; il Vellutello con molto senno avvertì e spiegò questo punto (2).

di San Gregorio, non reputerà avere altra famiglia, se non il gregge suo. » E la idea che l'Imperatore sia come in vigile pastore, » in Dante è manifesta; ed « Hectoreus Pastor » chiama Enrico VII« (Epist. V, 5). Quindi il Bartoli soggiunge: « Nella questione del Veltro videro meglio alcuni dei commentatori antichi, che non molti dei moderni. »>

(1) Cf. 3. xx.

(2) « Perchè questo non si può far senza il corso ancora di molte centinaia « d'anni, e il Poeta ha dimostrato, come di sopra abbiamo veduto, dover avvenir «tosto, abbiamo ad intendere ch' egl' usa qui di quel medesimo colore rettorico, che usò il Petrarca nel primo del Trionfo d' Amore, ove di esso Amore parlando in persona dell' Ombra disse: Mansueto fanciullo e fiero veglio, Ben sa « chi il prova, e fiati cosa piana. Anzi mi l'anni. E noi similmente, quando vo«gliamo dimostrare ad alcuno la cosa inaspettata dover tosto avvenire, molte « volte diciamo cosa simile: mu prima che passin cento o mill'anni tu lo ve<drai.» Dunque resta l'idea indeterminata, com'è e dev' essere in ogni profezia; ed anche non volendo intendere tosto, come fa il Vellutello, è tolta di mezzo la contraddizione tra questo e gli altri passi della Commedia sul Veltro.

La forma, dirò così, astronomica tra feltro e feltro, trova riscontro e rincalzo nella forma di linguaggio che il nostro Autore usò nella Monarchia (III, 15), come as sai a proposito notò il Lubin, benchè male poi traduca il testo (1): " Quumque dispositio « Mundi hujus dispositionem inhaerentem Caelorum circulationi sequatur, ecc. (2).

Pertanto vedemmo per le stesse testimonianze di Dante che il solo fra' mortali, che non possa più desiderare ed aver cupidigie; il solo che sia perciò bene disposto a governare e che possa ben disporre gli altri a essere governati (cf. 3. XIII), è l'Imperatore; dunque solo un Veltro-Imperatore atto a cacciar la Lupa, lui solo il naturale nemico di lei, lui solo che non ciberà terra nè peltro.

XVIII. Ora vediamo se nell' Imperatore, anzi nel solo Imperatore si riscontri il pieno carattere, dirò così, morale del Veltro, che non doveva cibare che sapienza, amore e virtute.

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1) Sapienza. Nel Convito (v, 6): « Si scrive in quello di Sapienza: Amate il lume della Sapienza, voi tutti che siete dinanzi a' popoli „ (3). E in che sta la vera sapienza in un reggitore di popoli? nel possedere pienamente l'abito della Giustizia, e nel saperla debitamente amministrare in beneficio comune. Perciò il Poeta, alludendo al libro dei Re (111, 3, 5 e segg.), ricorda Salomone, nella cui mente

(1) Il Lubin propugna il Veltro Imperatore (cf. Studi preparatorii illustrativi,, premessi al suo Commento, Parte 11, Capo 16): solo non mi par chiaro se "tra feltro e feltro» egli intenda della « venuta,, del Veltro, come propugna validamente dapprima, o se del « dominio, da un cielo all'altro, vale a dire da oriente in occidente, come afferma dappoi, e come sostiene a quel punto nel Commento; ne parmi di Oriente e Occidente potersi fare due Cieli distinti. Ne mi piace che il Lubin, dopo d'aver combattuto a sostegno del Veltro Imperatore, conchiuda il « capo, quasi accordandosi coi sostenitori di Uguccione e di Cangrande, ricorrendo per ciò ad un' ipotesi, che, lo dico schiettamente, non è seria.

(2) Il Franciosi (Scritti Danteschi, p. 26): « Quanto a quelle parole: tra feltro e feltro, io le intendo col più degli antichi tra cielo e cielo, ché dai cieli (giusta il pensiero di Dante) piove e quasi feltra il dolce vapore della Provvidenza di Dio. *

(3) Cf. Mon., I, 15. E perchè si conosca meglio come Dante potesse aspettarsi che il « Veltro» sorgesse fra qualcuno de' tirannelli d' Italia, scrive subito appresso: «Ponetevi mente, nemici di Dio, a' fianchi, voi che le verghe de' reggimenti d'Italia prese avete. E dico a voi, Carlo e Federigo regi, e a voi altri Principi e tiranni. »

si profondo

Saver fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo

Par., x, 12-14;

viene a dire, perchè da Dio

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chiese senno,

Acciocchè re sufficiente fosse

ivi, xu, 95-60.

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Salomone, quasi sgomento al vedersi re di popolo si grande, aveva chiesto a Dio: « Dabis servo tuo cor docile, ut populum tuum judicare possit, et discernere inter bonum et malum: e il Signore: « Quia postulasti tibi sapientiam ad discernendum " judicium; ecce feci tibi secundum sermones tuos, et dedi tibi cor sapiens, et intelligens, in tantum, ut nullus ante te similis tui fuerit, nec post te surrecturus sit. Egli è per questo che il Poeta nel Cielo di Giove fa che gli Spiriti trionfanti si dispongano in guisa, ch' egli vi può leggere le parole, con che si inizia l'ispirato Libro della Sapienza, Diligite justitiam qui judicatis terram (Par., xvII, 91-93). Di Enrico poi lo udimmo dire: Goliam hunc in funda sapientiae tuae prosterne (cf. §. IX). E che nell'Imperatore possa non solo aver luogo la Giustizia, ma solo in lui possa esser massima (Iustitia potissima est solum sub Mo narcha, Mon., 1, 13), come il solo che non può per veruna guisa essere traviato dalla Cupidigia, la quale Iustitiae maxime contrariatur (Mon., 1, 13), lo udimmo in più luoghi soprallegati delle Opere del nostro Autore (cf. §. XIII), nè fa mestieri spender parole più a lungo.

2) E che nell'Imperatore e nel solo Imperatore l'amore verso i soggetti possa esser massimo (perchè, secondo la parola dell' Autore, Giustizia e Amore sono come effetto e causa, come dalla Cupidigia ogni ingiustizia deriva), basta rileggere il bel tratto della Monarchia (1, 13), che ho riferito al . XIII; al che sarà bene ag giungere quanto dell'amore d' Enrico verso i sudditi anco felloni e della sua indulgenza predica e promette nella Epistola ai Re e Signori d' Italia (Epist. v, 3, 5); due luoghi che hanno conferma nella Epistola vì, 2.

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3. Virtute. Se nel Monarca, quale Dante sel figurava, è solo in lui, è massima la sapienza e l'amore, massima dev' essere la virtù; anche pel solo fatto che optime dispositum esse oportet, alios disponere volentem (Mon., I, 15); dove prova che il solo ben disposto a disporre gli altri è il Monarca. E sia per la sapienza che per l'amore e virtù, divisa del Veltro, io chiedo che gli spassionati indagatori di esso leggano con tutta l'attenzione queste parole, che intorno all' Imperatore Enrico Dante rivolgeva all' Italia: "Exsicca lacrymas, et moeroris vestigia dele, pulcher„ rima, nam prope est qui liberabit te de carcere impiorum (si rammenti l'Ahi, serva Italia, di dolore ostello ecc., Purg., vi, " 76-8, perchè abbandonata dall' Imperatore); qui percutiens ma,, lignantes, in ore gladii perdet eos, et vineam suam aliis loca", bit agricolis (qui è chiaro l'accenno ai tiranni, onde eran tutte „ piene le terre d'Italia, Purg., vi, 124), qui fructum justitiae reddant in tempore messis (Epist. v, 2). E altrove (Epist. vu 1): Diu super flumina confusionis deflevimus, et patrocinia justi "Regis incessanter implorabamus, qui satellitium saevi tyranni di"sperderet, et nos in nostra iustitia reformaret. E a coloro che per le parole sul Veltro « Questi non ciberà terra nè peltro », si lasciano trascinare a crederlo Cangrande, perchè in altra epoca Dante lodò la virtù di lui " in non curar d'argento nè d'afni „ (Par., xv1I, 84), domando se hanno bastantemente ripensato queste parole su Enrico: "Non sua privata, sed publica mundi commoda sítiens, ardua quaeque pro nobis aggressus est „ (Epist, v1, 5); ove ognun vede che di disprezzo d'argento e d'affanni ce n'è a dovizia troppo più che in Cangrande; tanto più che per costui accenna a cose future, per Enrico parla di cose già fatte, e che doveano esser caparra di altre anco maggiori. Innoltre, se il Poeta col succitato elogio voleva in Cangrande presagire il Veltro, com' è che del Veltro, Messo di Dio, scrisse poi quanto abbiamo nel Par., XXVII, 142, e lo scrisse appunto in quell'età che Cangrande era Capitano della Lega Ghibellina, e illustre per imprese e per gloria? Ancora; come può essere che Dante, scrivendo a Cangrande l'Epistola, con che gli dedica sublimem Canticam del Paradiso, nulla lascia trasparire di questo simbolo, che certo a Cangrande, solleticandone l'amor proprio, sarebbe dovuto tornar caro e gradito ?

XIX. Se Dante affermò senza ambagi che l'umanità non può

giungere alla sua felicità civile o temporale, la quale per terrestrem Paradisum figuratur (e che non è altro che il dilettoso monte, donde lo respinse la Lupa), senza la guida dell' Imperatore (Mon., 1, 15; cf, § XV); io insisto e insisterò sempre nel dire che il Veltro deve essere un Imperatore; e la Lupa non altro che tutti gli ostacoli, che si frapponevano all' umanità nel suo libero corso alla felicità temporale, nascenti dal fatto della avvenuta confusione dei due reggimenti (1). Fu Roma che il buon mondo feo civilmente (Purg., xv1, 106); nè mai il mondo fu tanto felice quanto sotto Augusto, existente Monarchia perfecta (Mon., 1, 18); perchè fuori del reggimento monarchico bonus homo est malus civis; mentre per converso, sotto il Monarca bonus homo et civis bonus convertuntur (Mon., 1, 14). Che l' unità di comando sia benefica, anzi affatto indispensabile al buono andamento delle cose sì pubbliche che private, lo sentimmo da Dante (cf. 8 XII), ed è principio ben sodo nella mente di tutti. Per ispiegare il cattivo andare d' un'azienda, d' una famiglia, d' un Comune, m' accadde di sentire, e m' ha fatto pensare, da povera persona: eh, niente, niente! un solo Dio, un solo Papa, un solo Imperatore; per dire che dove molti comandano, le cose non possono andare che alla rovina; e questa sentenza del buon senso del povero uomo combina perfettamente con altra, che, in sostanza, è identica, di Dante (Mon., 1, 7). Oso affermare: se Dante nel suo Veltro abbia inteso altri che un Imperatore, non mi saprei spiegare tutte le sue fatiche, i suoi sforzi, e tanta tenacità di propositi nel comporre la sua Monarchia e parte del Trattato quarto del Convito; ma infino a tanto che queste due Opere sono riconosciute lavoro di Dante, e infino a tanto che si crede, che, in fatto specialmente di grandi principj, un'opera d'un autore può versar luce sur un' altra dello stesso, sarà necessario nel Veltro ammettere Imperatore.

un

(1) Molto rilevante parmi un passo della Monarchia: perchè tanti guai, tanto sviamento nell' umanità, tante sciagure e confusione? perchè non c'era chi governasse (Par., XXVII, 139-141), perchè se c' eran le leggi, non c'era chi ponesse ad esse mano (Purg., xvi, 97 e seg ); chi sovrattutto vi si opponeva? i Guelfi, e de' Guelfi quelli specialmente qui corvorum plumis operti, oves albas in gregė Domini se iactant: e a qual fine? Hi sunt impietatis filii, qui ut flagitia sua exequi possint, matrem prostituunt, fratres expellunt, et denique (qui sta il forte) iudicem habere nolunt (Mon., 11, 3) ;e questo Giudice doveva essere l'Imperatore. E si legga, come bello schiarimento, il paragrafo primo dell' Epistola ai Fiorentini, e il settimo di quella ai Re e Popoli d' Italia.

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